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venerdì 22 dicembre 2023

Filippo La Torre: Quella mattina c'era un gran fermento... Tratto da: La primavera della strummula (Vigilia di Natale 1951)

Quella mattina c’era un gran fermento. Saremmo usciti prima dall’aula perché le dame di carità venivano a farci visita. Così ci dissero già di buon mattino, mentre ancora infreddoliti e assonnacchiati ci accalcavamo ai lavandini. Suor Maria vigilava dietro di noi con la solita raccomandazione:
«Lavatevi bene le orecchie e il collo!»
Questa era una sua fissazione e quel giorno lo aveva ripetuto più volte a voce alta. Ci spiegava che le dame di carità erano delle signore per bene che portavano in dono dolci e regalini, proprio come i Re Magi, ma senza il manto regale e la corona. Arrivano sempre ogni anno alla vigilia di Natale e in quell’occasione mangiavano con noi, però su un tavolo a parte insieme alla Madre superiora. Io non avevo mai visto una tavola apparecchiata così elegantemente, con la tovaglia di un bel colore bianco e i quattro lati ricamati di margherite rosse. Per ogni posto c’erano bicchieri diversi, tante forchette e coltelli e piatti bordati d’oro. Il tavolo, in tutta la sua lunghezza era arricchito da vasetti colmi di semplici e delicati fiori; tra l’uno e l’altro, i candelieri accesi tremolavano la loro luce come se fosse un altare. Margherita, una delle ragazze addette alla cucina, era stata messa a disposizione delle dame e girava attorno al loro tavolo cambiando ogni volta il piatto sporco. Non indossava il solito grembiule grigio scuro ma, per quel particolare evento, era vestita di un bianco candido. Per noi avevano cucinato, come sempre, i cavatuna con il sugo e polpette di uova e mollica, anch’esse con il sugo, e tutte e due le pietanze ci furono servite nello stesso piatto di plastica. Mentre affondavamo le forchette nell’intingolo, il nostro pensiero andava costantemente agli illustri ospiti benefattori, con un unico interrogativo: ci avranno portato il dolce? 
L’ampio salone del refettorio accolse i bambini con un timido silenzio, poi partì un brusio indefinibile a commento degli eleganti e strani cappelli delle dame, tutti dai motivi floreali. Le loro teste sembravano dei giardini fioriti, finti e decadenti. Una dama dal volto piuttosto incipriato, si scapricciava di un cappello viola a sacco, ornato da rose dello stesso colore, che le cadeva mollemente sulla testa. Quei fiori mi fecero pensare alla morte. Attimi di tristezza per colpa di una liturgia che associa il colore violaceo alla Commemorazione dei Defunti. Un’altra signora indossava un cappello fucsia, di panno francese, addobbato con grosse margherite bianche e gialle. La più audace, a dispetto dell’età avanzata, si adornava impudicamente di un gigantesco crisantemo beige, senza stelo, attaccato su una testa spelacchiata di vecchia donna. Malferma, si appoggiava a un bastoncino anch’esso colore beige, dal pomello rosa. Margherita fu premurosa nel prendere i loro cappelli e soprabiti, mostrando una distinzione e una grazia che non le riconoscevo.
Le dame di carità profumavano tutte come la zagara regina che cresceva dietro la casa del nonno. Era la moda del momento e, cosa che mi sembrò strana, mangiavano con la bocca chiusa; tra un boccone e l’altro nessuna parola, soltanto cenni di accondiscendenza e occhi sgranati. Alla fine del pranzo, annoiata e sbuffante, Margherita passò tra i nostri tavoli con una cesta. A ciascuno diede un sacchetto di carta con dentro tre taralli. La delusione fu di tutti, eppure già lo sapevamo.
«A mia nun mi piacinu, avissi vulutu un cartocciu ca ricotta!» – disse imbronciato Michele.
Leggevo sul volto del mio amico uno sconforto prossimo al pianto. Gli presi il sacchetto dalle mani con una promessa:
«In canciu ti dugnu mezzu cartocciu. Ni spartemu chiddu ca mi porta u nonnu a duminica».


Filippo La Torre: La primavera della strummula. Romanzo. 
Pagine 270 - Prezzo di copertina € 22,00
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