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venerdì 22 dicembre 2023

Filippo La Torre: "Canta Astro del Ciel!"... Tratto da: La primavera della strummula (Vigilia di Natale 1951)

 
Era arrivata l’ora per uscire nell’atrio e suor Maria, dopo aver scambiato un’occhiata d’intesa con suor Gioacchina, si avvicinò al mio tavolo e mi strinse un braccio due volte. Lo interpretai come un gesto a metà strada tra l’incoraggiamento e la prevaricazione, poi mi accompagnò sopra la pedana disponendomi come un burattino sotto la gigantografia dell’Ultima Cena. Meccanicamente lisciò le mie spalle e i capelli che non avevo, mi accarezzò il viso. Fu un’affettuosità fuori luogo e fuori tempo. Senza alcun affetto. Abbassandosi su una guancia mi disse all’orecchio:
«Canta Astro del ciel!»
Facevo parte del coro che accompagnava la Santa Messa e, al contrario di tutti gli altri bambini, avevo una voce tenorile.
Fui annunciato. La cosa mi sorprese ma non m’intimidì, anzi mi sentii importante. Le dame di carità si avvicinarono alla pedana squittendo e finsero un tiepido interesse. Suor Maria si accomodò al pianoforte. La signora dal cappello a sacco estrasse dalla sua borsa un contenitore di tartaruga lucidata. Sollevò il coperchio, prese dal suo interno un batuffolino che pressò delicatamente sulla cipria rosa guardandosi a uno specchietto, e lo passò con movimento circolare sulle raggrinzite  guance. La osservai mentre cercava di mentire senza risultati, alle cattiverie del tempo. Lei ricambiò con uno sguardo pieno di sdegno, insofferente e invidiosa della mia giovane età. Chiusi gli occhi, feci un bel respiro, un profondo respiro e il profumo di zagara regina che si sprigionava dalle dame di carità mi condusse al giardino di Villa Nave. Non volevo che quell’immagine scomparisse dalla mia mente. Mi riportava i ricordi degli odori d’acqua, terra, fango e immagini, tante immagini, e voci, e abbaiare di cani, canti di uccelli, grida conosciute di uomini e donne. Continuai a rimanere con gli occhi chiusi. Partirono le prime note. Non riuscivo a vedere le dita grassocce di suor Maria ma le immaginavo, mentre zappavano sui tasti bianchi e neri di avorio ed ebano del pianoforte. Cantai, ma più che note erano grida di mal sopportazione:

Astro del ciel
Pargol divin
Mite Agnello redentor
Tu che i vati da lungi sognar...

Alla fine della mia esibizione aprii gli occhi. Le dame di carità applaudirono ma con molta, troppa discrezione. Sembravano avere le mani doloranti. Molto più fragoroso fu l’applauso dei piccoli ospiti dell’Istituto Superiore per L’Infanzia Abbandonata. Non provai nessun prio. Avrei voluto essere a casa, nel giardino di aranci del nonno. Suor Maria aveva le lacrime agli occhi ma non riuscirono a trarmi in inganno. Anche se ero consapevole di aver cantato bene, capivo che non si trattava d’intenerimento: la suora aveva sempre difficoltà a digerire e tratteneva i suoi rutti a fatica. Subito dopo ci avviammo verso l’uscita. Passando dal tavolo ancora imbandito delle dame di carità, che mangiarono poco e con troppa lentezza, rubai un pezzo di cassata siciliana. Pensai che fosse destinato a finire nell’immondizia o dato in pasto alle galline. Sarebbe stato uno spreco, di quelli gravi.
«Miché, talìa chi ti pigghiavu!»
Michele non credeva ai suoi occhi acquosi mentre osservava la pasta di mandorle, colorata di verde, ripiena di morbida e bianca ricotta. Sopra, a guarnire come prezioso diamante rosso, stava un mezzo mandarino candito. Le lacrime di gioia somigliarono a quelle dei suoi pianti e divorò il dolce in soli due bocconi per la paura che suor Maria potesse accorgersene, ma soprattutto per non rischiare di dividerlo con qualcun altro. La crema di ricotta si sparse ai lati della sua bocca, divenne più liquida e mischiandosi alle sue usuali bave, gli colò sul mento facendomi schifo. Ancora due giorni e sarebbe venuta la mia mamma a prendermi. Il Natale lo avrei trascorso a casa insieme alle mie sorelle. Michele, invece, sarebbe rimasto assieme a pochi altri, tra le mura dell’Istituto. Chiesi alla mamma se potevamo portarlo con noi a Villa Nave, ma suor Gioacchina si oppose. Mentì, dicendo che non era stato possibile mettersi in contatto con i suoi genitori e che l’Istituto non poteva prendere nessuna responsabilità di quel tipo.


Filippo La Torre: La primavera della strummula. Romanzo. 
Pagine 270 - Prezzo di copertina € 22,00
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