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giovedì 28 dicembre 2023

Febo della Minerva: Il padre partì per Messina il 29 dicembre a bordo della Stura... Tratto da: Il pazzo che piacque a Dio. Biografia di padre Giovanni Messina

Il quadro apocalittico presentatoci dal Papasogli fu visto qualche giorno dopo dallo stesso padre Messina che fu sul posto appena avuta notizia del disastro.
Partì il 29 dicembre a bordo della Stura assieme a 1200 soldati. Arrivarono a Messina di notte, e misero piede a terra solamente alle ore 10 del giorno appresso.
“Che orrore!...” scrive il Padre. “Tutta la città è rasa al suolo... i pochi fabbricati che restano, è meglio demolirli e si dirà un giorno: Messina fu.
Dopo tre giorni di lavoro sia per il salvataggio, sia per la pietosa opera di Religione, assolvendo mentre si moriva da centinaia di persone, abbiamo raccolte due povere orfanelle a nome Antonina Mondello di anni 7 e Santina Mondello di anni 3, per essere ricoverate nella Casa Lavoro e Preghiera di Palermo. È superfluo dire che tutto mancava, e un po’ di minestra, fagiuoli e gallette ci toccarono a bordo della Stura dove, nientemeno, si riuniva il Comitato e Comando Generale per il disastro; cioè il Maggiore Generale Mazza Trinchieri Prefetto di Messina e tutto lo Stato Maggiore.
Avuto il Comando i militari il disordine fu al completo, appunto per le infinite burocrazie del corpo tanto che i soldati che arrivavano, per la mancanza del trasbordo, restavano sui piroscafi, lasciando la città intera in preda ai ladri.
Se non fosse stato, almeno nei primi giorni, per l’opera ammirevole dei Russi e degli Inglesi, gli stessi feriti che si sono spediti a Napoli, Palermo, Catania non sarebbero arrivati e avremmo potuto avere una completa e vera ecatombe generale.
Di chi la colpa? Di nessuno perchè nessuno poteva e sapeva comandare, e se si voleva comandare, si complicava maggiormente la matassa, e nessuno poteva sapere se esistesse autorità.
Il Comando a mare. I predoni a terra. Le comunicazioni tra mare e terra ridotte a una misera lancia a vapore e due barchette.
I soldati a bordo. I viveri che non bastavano per la sola truppa che si mandava senza indirizzo pratico e tecnico.
Nessun ordegno o barella pei feriti – tutto dice che l’anarchia fu al colmo, e che se il disastro fu immane, sarà detto favoloso nella storia per la mancata assoluta previggenza. Il guaio è accresciuto dalla certezza che in Italia non si può nè si sa provvedere a qualsiasi specie di disastro nazionale. Un povero spettatore Padre Messina”.
La confusione della descrizione, chiaramente dice le forti impressioni e le profonde emozioni del giovane Apostolo trovatosi, ancora una volta, dopo il 1905, in mezzo alle macerie, alla ricerca di corpi ed anime da salvare.
Dalle macerie arrossate di sangue, giungevano strazianti grida invocanti aiuto, gemiti soffocati dalle rovine, lacrime inconsolabili nei superstiti impazziti dal dolore e dall’orrore.
Il padre Messina quasi non credendo ai suoi occhi, e alla stessa realtà che lo circonda, si aggira tra le macerie come un fantasma.
Dietro un muro diroccato, una scena pietosa: due bambine, sole, inconsolabili, tremanti per il freddo e per la fame, invocano senza stancarsi: Mamma!... Mamma!... Mamma!... Due cuoricini, atterriti, che stanno per scoppiare. Il Padre ode: vede.
Protende le mani grosse, incallite verso quelle due nascenti esistenze in prova; si china fino a quel disperato dolore d’angeli in pena.
Con un nodo alla gola che gli impedisce la parola, riesce a balbettare: Coraggio, figlie mie, qui c’è Mamma.
Le bimbe forse non capirono le parole, forse non le udirono ma videro un volto umano chinarsi fino alle loro gote bagnate di lacrime e arrossate dal freddo, e mentre l’una si attaccava fortemente alla veste del salvatore, l’altra stringeva con le braccine sudice il collo dell’uomo vestito di nero, con la forza disperata della vita che non vuol perire.
Le lacrime poco a poco cessarono; i singhiozzi si fecero più rari; poi s’addormentò tranquilla.
Non furono i soli incontri col dolore e la sventura.
A Messina non fu meno eroico nè meno generoso nel sacrificio di quanto lo fosse stato nelle Calabrie.
E a Palermo le sue Figlie fecero la loro parte con i feriti giunti da Messina. Il cronista della Casa, annota il 31 dicembre 1908:
“Gli ospedali e le Scuole di Palermo rigurgitano di feriti provenienti da Messina. Le Pie Madri si danno il turno nell’assistenza dei feriti”.
A quel giovane Prete dal volto duro e abbronzato di pescatore, dal portamento poco signorile, dalle maniere affatto ricercate, proprio a questo Prete, Dio ha detto cosa vuole da lui: essere Padre all’orfano e all’abbandonato.
Calabria e Messina: due immani disastri: due parole di Dio. Due parole chiare per padre Giovanni Messina.
Tornò a Palermo portando con sè dieci bambine sottratte alla morte, rimaste prive della luce e del calore del cuore materno. 
Dove le metterà?
Non chiedetelo. Camminerà di più ogni giorno; salirà più scale, importunerà più negozianti; cercherà ancora pietre, calce, cemento e affini e ingrandirà le sue Case. Quelle bambine non resteranno incustodite e tanto meno mal custodite.
Egli sa che Amore più Amore meno matematica dà per somma: DIO. O, se meglio piace: PROVVIDENZA.


Febo della Minerva: Il pazzo che piacque a Dio. Biografia di padre Giovanni Messina.
Pagine 384 - Prezzo di copertina € 22,00
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