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mercoledì 21 novembre 2018

Marco Gregò: Nella terra del sole che sboccia. Recensione di Raffaella Tamba. (Libroguerriero.it)

Al centro di questo originale e sorprendente romanzo scritto dal giovanissimo Marco Gregò (nella foto sotto), è il tema del ricordo non come un elemento del passato da conservare relegato in un piccolo cantuccio della mente, ma come essenza viva e tangibile della vita di ogni giorno. I ricordi sono il filo conduttore della narrazione che si svolge su più binari paralleli: quello del protagonista Albatro, io narrante in prima persona, in una sorta di racconto immediato, spontaneo, senza filtri; quello di Albatro in forma di diario, più sommesso e quasi lirico; quello di due cani abbandonati, Cane Grigio ed Oliver che rappresentano la prospettiva più intima delle emozioni dei protagonisti umani. Intorno ad un medaglione con al centro la lettera A, ritrovato dal cucciolo Oliver, Cane Grigio, con un registro linguistico leggero e poetico come quello delle fiabe, tesse la trama di una storia che inizia come una favola improvvisata e acquista via via realismo e passione fino a diventare la trama principale del romanzo. I capitoli alternano i tre punti di vista, offrendo al lettore la visione a 360° delle emozioni di un giovane alla ricerca della realizzazione professionale, della ragazza perduta e della felicità. Albatro è uno scrittore mancato, alla stanca ricerca di qualcuno che accetti il suo libro, un libro diverso da tutti gli altri, perché lui non voleva seguire le strade semplici per arrivare al successo: “Non sopportava l’idea di accaparrarsi il cuore dei lettori facendo leva sulle loro ferite più profonde. Pensava che fosse troppo semplice arrivare al cuore degli altri con la morte. Lui voleva arrivarci con la vita”. Il fallimento professionale gli offre l’alibi psicologico per crogiolarsi nell’insoddisfazione sentimentale. Le prime pagine vedono infatti la drastica rottura della relazione tra Albatro e Julie, una relazione di lunga data che avrebbe potuto essere molto probabilmente amore vero se fossero stati entrambi capaci di accettarlo anche nelle sue sfaccettature negative: “Potevamo cammuffare la nostra malinconia con felicità da passeggio, fingendo di stare bene, di viverla ok. Ma lala fine arrivava. Un viaggio breve. Scendeva in un baleno. Ed eravamo i maestri di cerimonia della tristezza che dovevano trovare qualcosa da fare per non accartocciarsi su se stessi”. 


E a quella tristezza, cedono. Albatro, per primo, non riesce o non vuole compiere quel semplice passo di accettare la felicità. È più facile, a quel punto, sentirsi eroicamente infelice. Perde la fiducia in Julie che, a sua volta, perde la fiducia in lui. Un’altra delusione cocente, che lo porta a cercare la donna amata non più nella realtà, ma nella propria immaginazione (“Gli uomini vivono delle cose che perdono”).  Il mondo che circonda Albatro, la libreria in cui lavora nonostante l’antipatia per l’acido e severo titolare, l’amicizia semplice, sincera e devota del rozzo Fazzoletto, la confidenza discreta e fedele del barista Pixel, la disponibilità dolce e generosa del vecchio barbone Enzo, “uno di quelli che metteva da parte se stesso per mostrarti quanto vali”, sono gli affetti che lo nutrono e lo proteggono. Il giovane tuttavia respinge il conforto del suo ambiente circostante e concreto, per correre dietro a quell’amore perduto e al sogno di diventare scrittore, ben sapendo che nessuna delle due cose, conquistate, gli darebbe la vera felicità. È una fuga nel surreale, che gli richiederà un prezzo altissimo.  La maturazione definitiva di Albatro è simboleggiata dalla splendida poesia “Se avessi potuto tenerti per sempre”, nella quale, ancora una volta capovolgendo il banale, l’autore rivela il grande valore della ‘banalità’ della normale vita quotidiana coniugale, nella quale ogni gesto, ogni abitudine, ogni rituale anche quelli più incresciosi o snervanti, sono un’infelicità che non va perduta, perché perdere i dolori è come perdere se stessi, non si può vivere senza guardare dentro l’oceano che siamo stati”. Il leit-motiv del sole, la cui immagine quasi personificata chiude ogni capitolo, accompagna tutti i personaggi, come una guida profonda e solenne, alimentandosi delle loro emozioni: nell’incertezza e nella paura, “il sole non era ancora sbocciato”, o “il sole era ancora distante”; nella rabbia, nel rancore, nella violenza, “gli uomini visualizzavano il sole senza dargli ascolto” o “il sole non ricordava più nulla”; solo nelle ultime pagine, con l’accettazione che porta serenità, all’orizzonte, si vede, finalmente che “il sole era appena sbocciato”.

https://libroguerriero.wordpress.com/2017/10/18/nella-terra-del-sole-che-sboccia-di-marco-grego-i-buoni-cugini-editori/
Marco Gregò: Nella terra del sole che sboccia. Collana Albatro Randagio. (www.ibuonicuginieditori.it) 




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