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lunedì 11 marzo 2024

Oreste Lo Valvo: La rivolta di Giuseppe D'Alesi. Tratto da: L'ultimo ottocento palermitano. Storie e ricordi di vita vissuta.

Una lapide, che stava sul prospetto della Chiesa della Madonna della Volta, ricordava di essere stato in quei pressi ucciso il Capitano generale del popolo: Giuseppe D’Alesi e precisamente il 22 Agosto 1647.
La Sicilia era sotto il dominio spagnuolo ed a Palermo la grande massa del popolo, tra penurie e carestie subiva l’amara sorte di un governo inetto, affidato ad un vicerè pavido ed incapace, sopraffatto dalla prepotenza boriosa della invadente nobiltà dell’epoca.
A Napoli, per la medesima oppressione, il celebre Masaniello aveva dato, in quell’anno stesso, l’esempio della rivolta.
A Palermo non tardò l’occasione per imitarlo, giacchè mancando il frumento, le forme del pane cominciarono a mancare di peso e a crescere di prezzo.
Nel rione Conceria si organizzò la sommossa e finì per esserne coraggioso dirigente proprio Giuseppe D’Alesi, che pur essendo un tiratore d’oro, abitava fra i conciapelli.
Era quel rione un vero labirinto di vicoli, casette e misteriosi sotterranei, che andavano in ogni senso e che comunicavano per le sottostanti fogne ed acquedotti nei quali immettevansi gli scoli delle varie fabbriche di concia.
Per tale conformazione speciale, il luogo si prestava alle segrete congiure ed agli assembramenti, senza tema di essere scovati dalla polizia e dalle spie del S. Uffizio, che molto coadiuvava il Governo, specie contro i movimenti di carattere politico.
Fu appunto in una bettola presso la Chiesa di S. Antonio che si riunivano il D’Alesi, il console dei conciatori, un pescatore ed altri della plebe, ordendo la sollevazione della città per il 15 Agosto, festa dell’Assunzione, col proposito di assalire il vicerè ed il suo seguito, in occasione della visita che in quel giorno festivo facevasi ai santuari della Madonna, a Maredolce e a Gibilrossa.
Ma la congiura fu scoperta e dall’inquisitore Trasmiera ne venne informato il Vicerè marchese di Los Velez, il quale, dapprima, non diede importanza alla cosa, ma poi, per sincerarsene, fece invitare a palazzo i consoli dei calderai e dei saponai, che erano fra i capi della congiura. Costoro non volevano andare in bocca al lupo ed eransi rifiutati, ma poscia sollecitati e rassicurati dal Capitano della città e dai congiurati popolani vi si recarono, ma, come era da prevedere, per esservi trattenuti.
Venuti, pertanto, gli altri congiurati, e specie il D’Alesi, a conoscenza del tranello, misero in subbuglio la città e la rivolta divampò, per cui il Vicerè coraggiosamente fuggì dal palazzo con la famiglia e corse ad imbarcarsi al Molo sulla Capitana di Sicilia, veleggiando con altre galèe verso l’Arenella.
La nobiltà, gli inquisitori ed i religiosi erano in grande sgomento, temendo il saccheggio delle loro case. Ma il D’Alesi, che fu proclamato Capitano Generale del Popolo, frenò i rivoltosi, assumendo con grande prestigio la direzione della cosa pubblica, al fine di apportare bene alla popolazione, nei limili di giuste ed oneste pretese.
Ciò malgrado, quel vento di fronda che minacciava di diventare ciclonico, non garbava ai signori, che nulla volevano cedere e, quindi, auspice l’inquisitore Trasmiera, fu ordito uno stratagemma per abbattere l’organizzazione della rivolta, che faceva capo al D’Alesi.
Tutta quanta la nobiltà, con l’aiuto dei Padri Teatini, finse di volere venire a patti, discutendo le richieste del Capitano del Popolo, verso il quale ostentarono il massimo ossequio e la più grande stima.
Il povero D’Alesi abboccò all’amo e spesso convenne nella Chiesa di San Giuseppe e nella Casa Pretoria, parlamentando da pari, con principi e prelati.
Frattanto, la sua casa, sita nel modesto rione Conceria, si riempiva di ricchezze, facendo a gara i signori nel mandargli preziosi doni, arazzi, mobili, e financo una carrozza con quattro mule bianche regalavagli Don Ottavio Lanza Principe di Trabia.
Culminava l’arguzia dei potenti nemici con l’offerta fatta al D’Alesi della carica di Pretore a vita della città, con vistoso stipendio ed altre onorificenze, che egli dapprima recisamente rifiutò, ma che poi finì per accettare, per le insistenze dei suoi finti adulatori. Non appena, infatti, costoro videro l’inaccorto tribuno, carico di onori e di ricchezze, sottomano agivano perchè cadesse in sospetto e disistima della popolazione, che si credette tradita ed abbandonata dal suo capo.
Il colpo riuscì appieno. Furono sollevate le masse contro i caporioni della sommossa, venendo dapprima trucidato e decapitato Francesco D’Alesi fratello di Giuseppe, nella sua alba di nozze, e quindi lo stesso Giuseppe, che nobilmente, disprezzando la fuga, venne trafitto davanti la chiesa della Madonna della Volta, ove un cavaliere di casa Platamone gli recise il capo, perchè fosse portato in trionfo con quello del povero Francesco.
Ed allora il coraggioso Vicerè tornò.
Così, la storia di quei tempi tristi echeggia di frequenti ruggiti del popolo oppresso, fino all’avvicinarsi degli eventi decisivi per la causa della libertà.
Dopo i moti del 1820 il Governo borbonico sentiva ancora l’eco minacciosa della vecchia Conceria.
Non vi era altro mezzo che distruggerla; e però il Tenente Generale D. Vito Nunziante, temendo che l’ordine non fosse eseguito, con sufficiente apparato di forze prese stanza nella piazzetta davanti la Parrocchia di S. Margherita e non si rimosse se non quando furono chiusi i sotterranei, abbandonate le case ed espulsi i conciapelli.
Indi a che, sul luogo stesso, sorse il Mercato Nuovo, con la famosa Funtanedda, che per tanti anni dissetò con le sue fresche acque gli antichi palermitani che, quando avevano sete, bevevano acqua.
Ed ora è tutto un ricordo.


Oreste Lo Valvo (Oleandro): L'ultimo ottocento palermitano. Storie e ricordi di vita vissuta.
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale, pubblicato con le Industrie Riunite Siciliane nel 1937, arricchito dalle foto dell'epoca. 
In copertina: Esedra del giardino di Villa Giulia. Olio su tela di Umberto Coda. 
Pagine 258 - Prezzo di copertina € 22,00
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