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lunedì 4 marzo 2024

Oreste Lo Valvo: I Quattru Cantunieri. Tratto da: L'ultimo ottocento palermitano. Storie e ricordi di vita vissuta.

Questa piazza che, tuttavia, porta, ufficialmente, il nome di Vigliena, dal Duca di Villena, Giovanni Fernandez Paceco, che essendo vicerè, nel 1609 la dispose, desta prossimi e lontani ricordi, di vario ordine, su cui vale la pena di soffermarsi.
E ciò, tanto più, che il sensibile spostamento della vita cittadina verso il nuovo centro, che va dal Massimo al Politeama, ha fatto sì che i «Quattru Cantunieri», cuore della vecchia Palermo, a parte la persistente bellezza monumentale, restassero un quadrivio di semplice passaggio, non essendo più da tempo, quel luogo il ritrovo, che non pochi ancora rammentano, e che ebbe più in là, anche storicamente, la sua parte, come posto di svariati spettacoli, non che come punto strategico, in casi di moti e di dimostrazioni popolari.
Anticamente nelle ore del mattino vi si riunivano i servitori e i cocchieri disoccupati in attesa di «piazzarsi» presso nuovi padroni, che ne andassero in cerca.
Durante la giornata vi sostavano gli immancabili oziosi indigeni o quelli di passaggio, ma vieppiù, per le persone di affari, i Quattro Canti erano il luogo consueto per gli appuntamenti. Vedersi o trovarsi ai Quattro Canti era la parola d’ordine. 
Di sera, poi, sempre la bella e spaziosa piazza era il raduno preferito della spensierata gioventù e specie degli studenti di provincia, che non avendo, a quel tempo, dove andare, per difetto di quattrini e di pubblici ritrovi, stavano per delle ore a chiacchierare e a far baldoria sui marciapiedi, accanto alle fontane.
I più ardimentosi già si occupavano di politica, quando il fermento irredentista cominciava a dar noie alla Polizia dell’epoca.
Ai Quattro Canti, infatti, si complottava e lì, a volte inattesamente, al giunger di notizie che più eccitavano gli spiriti, formavansi le dimostrazioni, con una bandiera improvvisata, al grido di viva Oberdank, viva Trento e Trieste.
Ma in un batter d’occhio, tra botte, baruffe e qualche squillo, tutto tornava all’ordine, salvo a ricominciare in occasione di nuovi conati patriottici.
Frattanto che succedevansi le belle giornate domenicali, piene di sole e di brio, la medesima gioventù vestita a festa occupava il magnifico quadrivio in atteggiamento mondano, seguendo il passaggio delle ragazze, che accompagnate dai genitori, con pudico e modesto contegno, andando a messa o ritornando, erano costrette ad attraversare quel punto tanto dardeggiato o notoriamente strategico.
E così, la vita cittadina per ogni verso, e per tutti gli avvenimenti addensavasi ai Quattro Canti, nella storica e tradizionale piazza che, mentre per la sua centralità, e per l’incrocio delle due principali strade, dava luogo a un grande e continuo movimento, poi la sera, per la sua forma circolare, quando cessava il transito delle carrozze, prendeva l’aspetto di una immensa galleria, che pareva riunisse il pubblico tutto, in un recinto chiuso.
E che a rappresentare una grande sala ben si prestasse, ebbe a provarsi quando in varie occasioni di pubbliche feste ed in ultimo per l’incoronazione di Carlo III si congiunsero le quattro facciate con degli archi trionfali di uguale architettura e se ne coprì il cielo con un grande baldacchino in veli e vari altri ornamenti.
Era, dunque, la piazza Vigliena, considerata, come la sala di pubblico e ordinario convegno della città, onde fu sempre decorata di ricchi paramenti in occasione di feste sacre e profane. Ai Quattro Canti innalzavansi, infatti, preziosi altari in piedi a ciascuno dei quattro prospetti, specialmente per il festino di S. Rosalia, tutte le volte che fu più sontuosamente celebrato, e nel centro della piazza, fino ai giorni nostri vediamo innalzarsi l’altare, per la processione del Corpus Domini, usandosi che dal quadrivio fosse impartita la benedizione alla città.
E, come per le feste sacre, anche per quelle profane il popolo trovò il suo abituale posto di allegro concentramento nel vecchio ottangolo per le spensierate ed allegre baldorie del carnevale, per i suoi veglioni mascherati ed infine per assistere alla mezzanotte di l’ultimu jornu alla famosa cremazione d’u nannu fra lo sparare dei mortaretti ed il rimpianto dell’allegria che finiva allora solo annualmente, e che, purtroppo, poi finì per sempre, lasciando legato, proprio ai Quattru Cantunieri, il ricordo d’una tipica tradizione che non ritorna più.
Ma per la parte monumentale i Quattro Canti sono al loro posto. I Palermitani odierni vi passano e vi ripassano tutti i giorni sbadatamente assillati dagli affari o trasportati dalle veloci macchine, senza che alcuno si soffermi a guardare la bellezza e l’armonia architettonica della imponente piazza, senza che alcuno avesse conoscenza della storia di quei superbi edifici e della loro mirabile e complessa composizione.
Ed, invece, se qualcuno dei giovani qui nati avesse vaghezza di apprenderne il grande pregio ben potrebbe domandarne ai forestieri che, con la loro ammirazione, mostrano di capirne e di saperne qualche cosa. 
Dicono gli storici e le guide della vecchia Palermo che l’autore del progetto dei Quattro Canti sia stato l’Ingegniere Giulio Lasso, Regio Architetto, il quale immaginò le facciate dei quattro edifici divise in tre ordini di architettura, dorico il primo, ionico il secondo, composto il terzo.
Prima di andare oltre nella descrizione dei magnifici prospetti, sarà bene a sapersi che la costruzione di essi, iniziata nel 1609, ebbe il suo termine nel 1620, durata non lunga, data l’importanza dell’opera, e che, nel corso dell’esecuzione, vari mutamenti ebbe a subire il progetto originario, intesi opportunamente a migliorare il risultato d’insieme.



Oreste Lo Valvo (Oleandro): L'ultimo ottocento palermitano. Storie e ricordi di vita vissuta.
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale, pubblicato con le Industrie Riunite Siciliane nel 1937, arricchito dalle foto dell'epoca. 
In copertina: Esedra del giardino di Villa Giulia. Olio su tela di Umberto Coda. 
Pagine 258 - Prezzo di copertina € 22,00
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