Tutti i volumi sono disponibili: dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia), su tutti gli store di vendita online e in libreria. Gli e-book sono disponibili su streetlib store e tutte le piattaforme online.

giovedì 21 novembre 2019

Remo Bassini: Il bar delle voci rubate.

"Sa di antico il mio piccolo bar, è sotto i vecchi portici, nel cuore di questo paese, proprio vicino alla grande piazza dove si svolgono i comizi, si va al mercato oppure in Municipio, dove gli operai salgono sull'autobus che li porta nella zona industriale e dove la domenica la gente prima va a sentir messa nella maestosa chiesa di Santa Flavia e poi va a comprare i dolci nella pasticceria Delrosso. Un bar d'altri tempi, questo, con qualche trasgressione: un televisore, un telefono a gettoni, un biliardo e un vecchio flipper. Ma il banco è più vecchio di me..."
Questo è il bar di Luca, e Luca è una persona che ascolta. Ascolta di giorno, di notte. Ascolta sempre, ma con riservatezza, e colleziona "voci" che annota su un quaderno a quadretti.
Ha iniziato per gioco, scrivendo le barzellette sentite al bar per non dimenticarle, poi ha continuato seriamente. Racconta di storie passate come quelle del nonno (un vecchio socialista un po' balordo) o del padre (fragile e incompreso). Racconta di storie presenti come quella di Luca, dei suoi amici, dei suoi amori. Racconta magistralmente storie che sono e saranno quelle di gente comune di una piccola città nella provincia torinese.
Remo Bassini: Il bar delle voci rubate
Pagine 167 - Prezzo di copertina € 16,00
Disponibile su Ibs con lo sconto del 15%
Disponibile su Amazon
Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
In copertina: Danae e la pioggia d'oro di Lorena Fonsato

Remo Bassini - Il bar delle voci rubate.

Ed ecco il quarto volume della collana Albatro Randagio:
Il bar delle voci rubate - di Remo Bassini
L'autore lo presenta così: "Venticinque anni fa scrissi il mio primo libro, Il quaderno delle voci rubate, ormai introvabile. L'ho riletto e in gran parte rivisto. Modificato anche. Molto è rimasto, molto è cambiato (migliorato) rispetto alla stesura originale, e quindi - affinchè abbia una vita nuova, l'ho intitolato Il bar delle voci rubate. Per me sarà come assistere a un parto: perchè questo vecchio libro è finalmente rinato. Ed è meglio - credetemi - del suo predecessore".
Grazie a Remo Bassini, che ci ha scelti come suoi editori per questo bellissimo progetto. Un altro importante tassello nella costruzione della casa editrice, che ci rende orgogliosi del lavoro che portiamo avanti.
#remobassini #ilbardellevocirubate #ilquadernodellevocirubate #ibuonicuginieditori #romanzo #narrativa
Disponibile su Ibs, su Amazon Prime e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 15% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Copertina: Danae e la pioggia d'oro di Lorena Fonsato 

mercoledì 20 novembre 2019

Era la colpa di essere nata. Tratto da: La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze.

Espulsi furono tutti gli ebrei dalle cariche pubbliche, insegnanti, professionisti, persone che avevano qualche grado nell’esercito, che lavoravano nei Ministeri. Perfino i libri adottati nelle scuole di colti professori ebrei furono cancellati, furono tolti dalle biblioteche comunali, furono tolti dai programmi scolastici.
Le leggi razziali furono infinite, lunghissime, e andavano dalla impossibilità di tenere piccioni, di vendere stracci se non di lana a quella  di non poter fare l’orefice, il bidello.
Qualunque cosa era vietata.
La fantasia di chi le redasse fu così sfrenata, che era veramente difficile trovare una branca qualsiasi in cui fosse possibile stare.
Si veniva cancellati dagli elenchi del telefono, si veniva cancellati dagli albi professionali, si diventava di colpo cittadini di serie B per poi pian piano...
Mi ricordo che una volta venne a casa la maestra, la mia maestra di prima e seconda elementare, ma non per trovare me, semplicemente perché l’aveva convocata mio papà che le aveva chiesto:
«Venga a casa a trovare la mia bambina, provi a dirle lei una parola di conforto...»
Lei venne a casa, non mi abbracciò. La sentii che diceva:
«Io cosa c’entro? Non è mica colpa mia, non le ho fatte io le leggi razziali!»
E quello fu l’inizio dell’indifferenza, di quel «Se una cosa non mi riguarda e riguarda l’altro, non me ne importa niente.»
Cambiai scuola e andai in un istituto privato  che mi accettò.
Andando lì, passavo dalla mia vecchia scuola.
Di tutte le bambine furono solo tre indimenticabili, che continuarono ad aprirmi la loro casa alle piccole feste, agli incontri per giocare, che mi telefonarono...
Tutte le altre sparirono nell’indifferenza.
Era molto dura passare da lì e vedere questi gruppetti di bambine che mi segnavano col dito e dicevano:
«Quella lì è la Segre, non può più venire a scuola perché è ebrea...»
Sono sicura che non sapessero che cosa significa essere ebree.
I banchi vuoti dei bambini espulsi non fecero sensazione.
Cancellati nell’indifferenza generale.
E cominciò nella mia famiglia, come in tutte le famiglie ebraiche, quel senso di farci sentire diversi: noi che eravamo italiani, patrioti... per esempio mio papà e mio zio erano stati ufficiali nella Prima Guerra mondiale e si sentivano italiani profondamente. Venne restituita loro la tessera di ufficiali in congedo. Quella di mio papà diceva: “Alberto Segre di razza ebraica viene cancellato dalle file degli ufficiali in congedo.”
Dopo che erano stati in trincea, dopo che avevano combattuto per la loro Italia!
Poi, man mano che le leggi razziste, molto severe, venivano applicate ecco che veramente per gli ebrei, italiani ebrei, cominciò una vita estremamente difficile anche dal punto di vista economico.



La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze. A cura di Anna Squatrito
In appendice una selezione delle principali leggi razziali del 1938, in particolare quelle relative alla difesa della razza italiana nelle scuole. 
Pagine 172 - Prezzo di copertina € 13,00
Disponibile su Ibs e in tutti i siti di vendita online. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it

Poi scoppiò la guerra... - Tratto da: La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze

Io mi ricordo lo scoppio, mentre le leggi razziali aumentavano di Consiglio dei Ministri in Consiglio dei Ministri con delle limitazioni che erano vergognose, ridicole. Cominciarono i bombardamenti su Milano molto forti, quasi tutte le notti e, come tutti quelli che potevano permetterselo, anche noi sfollammo in un paese della Brianza che si chiama Inverigo.
Ci trovammo lì al 25 luglio, alla caduta del Fascismo, e mio papà che era stato un antifascista della prima ora, mai iscritto al partito, era finalmente felice, pensava che avremmo potuto tornare a Milano, che la guerra sarebbe finita e avremmo potuto riprendere il nostro posto nel mondo.
Lì io non potevo andare a scuola
perché non c’erano le scuole private ma un’unica scuola pubblica di paese. Avrei dovuto fare la seconda media.
Ero una ragazzina di dodici anni nel 1942, l’unica ragazzina di quel paese che non poteva andare a scuola.
Le bambine che mi incontravano, mi dicevano:
«Ma tu, Liliana, come mai non vieni a scuola?»
E io che avevo adottato il sistema di non parlare mai di quello che succedeva a casa mia, rispondevo:
«Mah, io sto a casa perché mio nonno è molto malato e lo devo curare.»
Avevo imparato a vivere su due piani: uno era quello della casa, dove gli affetti si stringevano ancora di più, in cui vi erano gli sguardi preoccupati e tristi dei grandi, e io cercavo di interpretarli, di rallegrarli, cercavo di fare la scema, di ballare, cantare, capendo non fino in fondo, ma per una sensibilità che i ragazzi hanno quanto erano importanti la mia presenza e il mio modo di fare.
Capivo che l’atmosfera era tutta un’altra, per questo quando uscivo non parlavo mai di quello che succedeva in casa mia.
Avevo imparato a tacere.
A tacere per non esporre i miei a qualche tiro, a qualche cattiveria maggiore di quella che già si sopportava.
Ma in realtà quello che rispondevo era anche vero.
Io stavo a casa a curare mio nonno.
Oggi sono nonna e so che cosa sia di straordinario quell’osmosi che c’è fra nonni e nipoti, quando c’è. Sento una tenerezza enorme nei confronti dei miei nipoti e quando Filippo mi dice: «Tu nonna sei il mio arcobaleno» io sono una donna felice, cosa posso desiderare di più dalla vita di essere l’arcobaleno del mio nipotino adorato?
Io adoravo mio nonno.
Lui aveva il morbo di Parkinson all’ultimo stadio, che negli anni è stato in parte curato, ma allora no, e mio nonno tremava irrefrenabilmente in tutto il corpo, le braccia, le gambe, la testa, la bocca. Era un rottame umano in cui solo il cervello funzionava perfettamente, intelligente e attivo.
Io mi curavo di lui. Lo amavo tantissimo.
Con lui, quando stava bene, andavamo al cinema di pomeriggio, a vedere quei filmetti molto semplici, molto ingenui che c’erano prima della guerra. Film che erano adatti a vecchi e bambini. Ed in seguito era diventato lui il mio bambino perché io lo curavo, facevo una specie di teatro per tenerlo allegro...
Purtroppo gli leggevo il giornale.
Io non capivo francamente quello che gli stavo leggendo, ma lui così distrutto nel corpo e con la mente perfetta, lui che era stato un grande lavoratore, piangeva. Era un uomo fisicamente distrutto che piangeva, vedendo la rovina che arrivava e io cercavo di distrarlo.
Lui aveva il morbo di Parkinson all’ultimo stadio, che negli anni è stato in parte curato, ma allora no, e mio nonno tremava irrefrenabilmente in tutto il corpo, le braccia, le gambe, la testa, la bocca. Era un rottame umano in cui solo il cervello funzionava perfettamente, intelligente e attivo.
Io mi curavo di lui. Lo amavo tantissimo.
Con lui, quando stava bene, andavamo al cinema di pomeriggio, a vedere quei filmetti molto semplici, molto ingenui che c’erano prima della guerra. Film che erano adatti a vecchi e bambini. Ed in seguito era diventato lui il mio bambino perché io lo curavo, facevo una specie di teatro per tenerlo allegro...
Vivevamo preoccupati dalle notizie della radio dei vicini
Gli ebrei non potevano avere la radio.
I vicini erano persone molto buone e mi permettevano di andare a sentire la loro. Ascoltavo quella Radio Londra, che chi ha vissuto quei tempi si ricorda, perché c’erano dei messaggi cifrati per i partigiani, che in un italiano perfetto venivano trasmessi a tutte le ore.
Ci facevano sentire come qualche cosa si muoveva mentre in quel momento, in quei primi anni di guerra, l’esercito tedesco dilagava in tutta Europa, mettendo come dei birilli per terra tutte le truppe che avessero cercato di contrastarli, a meno che non diventassero loro alleati e allora combattevano insieme. E man mano che conquistavano una nuova nazione, ecco che con una ferocia incredibile vessavano tutti i cittadini, ma soprattutto perseguitavano gli ebrei di qualunque nazionalità.
Quando riportavo queste notizie a casa mia, sentivo la disperazione aleggiare e capivo, capivo senza fare domande, che qualcosa di grave stava per accadere.
Ecco che l’Italia passa un periodo incredibile nell’estate del 1943 perché, dopo la provvisoria caduta di Mussolini e la speranza di potere tornare a essere cittadini normali di serie A, dopo l’8 settembre i tedeschi diventano padroni anche dell’Italia del nord e alle leggi razziali fasciste, che erano state severe e umilianti, si sovrapposero le leggi della repubblica di Salò, che erano molto crudeli e quelle di Norimberga che avevano nel loro testo due parole: “Soluzione finale.”  Erano due parole sibilline di cui più tardi capimmo la portata, ma che allora non si voleva capire o non si capiva veramente.
La gente era talmente lontana dal pensare...  anche gli ebrei stessi non capivano che “soluzione finale” volesse dire “soluzione finale”, quello che poi si vide. 


La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze. A cura di Anna Squatrito
Pagine 172 - Prezzo di copertina € 13,00
Disponibile su Ibs, su Amazon e in tutti i siti di vendita online.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it

venerdì 15 novembre 2019

Nel 1938 avevi otto anni... - La civile indifferenza. Le parole della senatrice Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze

Nel 1938 avevo otto anni, andavo alla scuola pubblica di via Ruffini, come una bambina qualunque.
Abitavo lì vicino.
L’unica differenza tra me e le mie compagne era che nell’ora di religione (eravamo forse in tre nelle elementari) essendo esonerate, ovviamente, correvamo in corridoio ed eravamo molto invidiate da quelle altre che dovevano stare in classe.
Arrivò come uno Tsunami, oggi si direbbe, un temporale violentissimo, lo snocciolarsi di quelle prime avvisaglie, come quando sta per venire un temporale e ci sono i tuoni lontani, i lampi... ma speriamo che forse non avverrà, non pioverà qui... le avvisaglie di un antisemitismo che non si era sentito prima in Italia, non si era recepito assolutamente.
Ed era la fine dell’estate del 1938 quando mio papà cercò di spiegarmi che non potevo fare la terza elementare in via Ruffini, perchè per le leggi razziali fasciste, vergognose, avevamo perso i diritti civili.
E fra le leggi razziali c’era il divieto di andare a scuola.
Mi sentii dire quindi con voce rotta, con voce emozionata, umiliata, da mio papà che io, come tutti i bambini ebrei, tutti gli studenti ebrei delle scuole pubbliche d’Italia, ero stata espulsa.
Espulsa...
Voi ragazzi sapete bene che cosa vuol dire essere espulsi da una scuola, alle elementari poi non ne parliamo. Bisogna aver fatto davvero  qualche cosa di molto molto grave nell’ambito scolastico.
E io, che andavo a scuola con gioia, mi sentii dire mentre eravamo a tavola e c’erano tutti e due i miei nonni:
«Sei stata espulsa dalla scuola perché noi siamo ebrei.»
Fu veramente un colpo gravissimo. Io subito chiesi:
«Ma perché? Che cosa ho fatto?»
Era un momento tremendo, era soprattutto l’espressione di queste tre persone, che mi guardavano con grande pena, con grande preoccupazione per me.
Era amore, amore e disperazione.
Da quel momento cominciai a chiedere a tutti ma perché? perché? perché? perché? Ed ero ossessiva con questo perché, al quale a quel tempo era molto difficile dare una risposta. Soprattutto perchè ai bambini, allora non si parlava così chiaramente come si parla adesso, si cercava di tenerli separati, protetti dalle brutture della vita.
E quel perché mi ha seguita poi mille volte: ma perché, perché, perché, perchè, perché io non posso più andare a scuola? Perché sono stata espulsa?
Era la colpa di essere nata. 

La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze. A cura di Anna Squatrito. 
Pagine 172 - Prezzo di copertina € 13,00
Foto in copertina: Maria Luisa Lamanna
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon
A breve disponibile su Ibs e in tutti i siti di vendita online

giovedì 14 novembre 2019

Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli edita I Buoni Cugini editori


Disponibili su Ibs, Amazon e in tutti i siti di vendita online
Disponibili presso La Feltrinelli libri e musica
Sconto del 20% se acquistati dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Segui il blog di Luigi Natoli edito I Buoni Cugini editori: 
https://luiginatoliblog.blogspot.com/

La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze. A cura di Anna Squatrito

A marzo di quest’anno ho ideato un progetto: raccogliere e trascrivere le testimonianze della senatrice Liliana Segre sulla sua esperienza di ragazzina che ha vissuto la Shoah e farne un volume da proporre soprattutto ai giovani, quale preziosa lezione sul valore della vita.
Ho sottoposto il progetto alla Senatrice Segre che con mia grande gioia lo ha accettato: da quel momento, ho ascoltato le sue parole nei diversi incontri da lei fatti con i giovani nelle scuole (gli incontri sono indicati nella premessa del libro) ed ho composto il libro trascrivendo tutti i passi della sua terribile esperienza, in ordine cronologico, dal momento in cui sono emesse le leggi razziali del 5 settembre 1938 e Liliana Segre, bambina di otto anni, non può più frequentare la scuola pubblica, fino alla fuga, all’arresto, alla deportazione, alla vita nel campo di Aushwitz-Birkenau, alla marcia della morte, ai successivi campi, fino alla liberazione nell’aprile del 1945. Ogni passo della pubblicazione è stato sottoposto all’attenzione della Senatrice Segre e da lei approvato: dalla prima bozza del libro, alla composizione della copertina, al titolo, alla quarta di copertina… Non abbiamo fatto nulla senza prima avere il suo consenso. 
Ed ecco il libro, LA CIVILE INDIFFERENZA, che si compone di due parti: nella prima la testimonianza di Liliana Segre diretta, chiara, in diversi punti commovente, nel suo complesso tragica e “indicibile”. Nella seconda “La dichiarazione sulla razza e le leggi razziali del 1938”: la trascrizione delle leggi razziali emesse il 5 settembre, il 6 ottobre, il 15 novembre, il 17 novembre del 1938 e l’elenco delle successive. La foto in copertina, che riassume perfettamente il titolo del libro, è di Maria Luisa Lamanna: "la civile indifferenza" chiude le finestre, e ti lascia dietro a un muro grigio.  

Il volume fa parte della collana “nel Bene e nel Male” edita I Buoni Cugini editori che raccoglie diari, testimonianze, cronache, biografie, affinché nulla venga dimenticato. 

Anna Squatrito

Pagine 172 - Prezzo di copertina € 13,00
Foto in copertina: Maria Luisa Lamanna 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Disponibile su Amazon 
Presto disponibile su Ibs e Librerie Feltrinelli 

domenica 6 ottobre 2019

Ivo Tiberio Ginevra: Gli assassini di Cristo

In una versione "riveduta e corretta dall'autore" ritorna "Gli assassini di Cristo" di Ivo Tiberio Ginevra. La nuova pubblicazione è impreziosita dai fumetti di Niccolò Pizzorno che, cogliendo le scene più intriganti del romanzo, le illustra al termine di ogni capitolo, dando un volto e una personalità al commissario Falzone, al vice-questore Bertolazzi e agli altri personaggi.
"Il libro si apre con una furia iconoclasta che pervade una città della Sicilia, ma non siamo nella prima metà dell'ottavo secolo, bensì all'inizio del terzo millennio... pare incombere una guerra di religione, non dichiarata da nessuna autorità religiosa, non voluta, ma capace sotterraneamente di impossessarsi dell'anima di alcuni uomini fino al sacrificio e al delitto. Il giallo marcia a ritmo incessante: nel clima assolato della Sicilia si contendono la scena gruppi di integralisti islamici, teppisti, preti e commissari... avviliti da una costante minaccia di trasferimento. Il libro non è solo un giallo avvincente, diventa unaa analisi sulla simbologia cristiana e pone una riflessione sulla convivenza religiosa e umana tra gli uomini" (Francesco Zaffuto)
Copertina e fumetti all'interno del romanzo: Niccolò Pizzorno
Elaborazione grafica copertina e disegni: Maria Squatrito 
Pagine 308 - Prezzo di copertina € 18,00
Disponibile su Amazon Prime al link 
https://www.amazon.it/Gli-assassini-Cristo-Tiberio-Ginevra/dp/8899102600/ref=sr_1_2?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&keywords=gli+assassini+di+cristo&qid=1570381149&sr=8-2
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it con lo sconto del 15% al link
http://www.ibuonicuginieditori.it/catalogo_prodotti_i_buoni_cugini_editori/ivo-tiberio-ginevra-gli-assassini-di-cristo.html
Disponibile su Ibs al link
https://www.ibs.it/assassini-di-cristo-libro-ivo-tiberio-ginevra/e/9788899102609

venerdì 3 maggio 2019

Benedetto Naselli: il bandito Pasquale Bruno. Tratto da: I misteri di Palermo

Il solo lettore non la conosce per esteso sin’ora, ma da’ brani forse nel presente volume dettati, avrà potuto farsene una idea, e quale noi non la sappiamo. Perché non farnetichi però o vaneggi ne’ possibili a concretare un raziocinio sulla persona di Pasquale gliene daremo or ora i connotati.
Nato da onesti e agiati genitori in Corleone a trenta miglia lontano dalla capitale, il suo animo era cresciuto libero in mezzo alla campagna, educando il corpo a tutti quegli esercizi che lo rendono robusto ed atletico. Giunto all’età della ragione, divenne il giovine il più forte, il più generoso e il più sensibile nello stesso tempo della contrada. A Pasquale non potea dirsi il voglio, perché era fiato perduto, colle buone invece e colla persuasiva denudavasi sin’anco se occorreva. Appena maneggiato il fucile parve il più valente tra’ cacciatori, e non avea uguali o compagni a snidare una lepre, a scovacciare un coniglio, a perseguir selvaggiume. Questa passione predominavalo grandemente, ed aveasi fatto un nome gigante pel contado. Un giorno cacceggiando si era impostato in una tenuta guardando un cignale. Da lì a non molto sopravvenne un’autorità del paese, accompagnato d’adulatori e cortigiani e pretendeva ceduto il posto: Pasquale si negò, quegli insistè, qualcuno si fece lecito alzargli sopra le mani. Rabbioso dello sfregio e della vergogna ammaniva il fucile; ma fu trattenuto afferrato e tradotto in carcere. Soffrì lunga prigionia, e quando fu libero smaniava di vendetta. L’autorità intanto lo vegliava e lo pedinava, e ad ogni piè sospinto, buscavasi il carcere e la persecuzione. Alla fine Pasquale non ne volle dippiù, e giurando eterno odio ai soprusi dei prepotenti cominciò collo scannare il suo persecutore, e fuggendo darsi alla vita nomade e raminga.
Vivente il padre non abbandonò le contrade della terra natale, ed ebbe sempre fortuna a non cadere in prigione; morto quegli se ne allontanò, esulando altrove la vita tra gli stenti della fame e i sussulti della persecuzione, che dopo il fallo erasi ringagliardita.
Cominciò quindi a darsi al furto ed al saccheggio, ma non rubava già o saccheggiava negli averi e nelle sostanze chi n’era scarso, o limitato, sivvero i facoltosissimi, i doviziosi, i nobili infine, e dove trovava urto o reazione scannava a dirittura senza misericordia; e col danaro poi dal furto ritratto e qualche volta di sangue bagnato, sollevava il miserabile, leniva la sciagura, confortava l’afflizione, ed il suo nome divenia giorno per giorno gigante e formidabile, come quello di Golia. I suoi persecutori lo sentivano con ispavento, e i beneficati con amore e con gratitudine. Alla perfine dopo varî tentativi e rimostranze una taglia considerevolissima fu imposta alla sua testa. Ma egli non la temeva già, chè non avea nè amici nè compagni a tradirlo, ed i suoi fidi erano tre soli alani, che dividevano sempre con lui i pericoli delle zuffe e i favori della vittoria.
Una giornata Pasquale fu inteso che un capo bargello per oscene voglie di amorosa passione perseguiva furente un povero ed onesto villanello. Egli lo pedinò, l’appostò, e quando gli fu sotto, tolse con una fucilata l’innamorato e il persecutore.
Altra volta un pubblico funzionario sordo ai moti della giustizia, intento solo allo scroscio dell’oro, tradendo infamemente i suoi doveri, spogliò d’una fortuna un miserabile orfanello, ingrossando gli scrigni del tutore: ebbe guiderdone competente nel pugnale di Pasquale. Questi fatti così pubblici ed eclatanti lo aveano reso sì popolare, che niuno ardiva farsene delatore; ed egli acquistando fama sulla moltitudine, ne profittava dei favori, talchè quante spedizioni tentò a suo danno la giustizia tornaron privi d’effetto, e Pasquale ogni giorno acquistava nome e prestigio, e mettea mano su tutto e su tutti, minacciando e castigando quanto per loro male opere capitavan sotto i suoi sguardi.

Pasquale avea già fatta la sua professione di fede. Egli nato libero in mezzo alle campagne, educato alla buona fede ed alla campestre morale, forte nell’animo e di maschi pensamenti, ch’erasi visto alla perfine dalla prepotenza perseguitato e ridotto com’era a camparsi la vita per boschi e per dirupi, disonorato in faccia al mondo, con un nome pieno d’onta e di vergogna, avea fatto proposito, non retrocedere d’un passo sulla sua via, e fidar tutto all’evento. Egli erasi ben persuaso che un giorno l’altro dovea finirla in un attacco o sur un patibolo, e cercava contrapporre alla infamia di un nome che la società suo malgrado aveagli buttato in faccia, la più costante, la più ferma, la più permanente persecuzione contro il prepotente, sollevando il povero coll’oro del ricco, tranquillando la vergine colla morte del seduttore, sollevando l’onestà col prostrare ed abbattere il vizio e le turpitudini.
Ed in questo pensamento occupavasi tutti i giorni, cercando sin’anco da per se solo sventure a lenire, desolati a confortare, soprusi a combattere, senza che per niente in questo entrasse la propria tranquillità o il bene proprio, ma per elezione, per proponimento.
La generosità adunque e le ricchezze del principe di B... eran di pascolo alle sue mire, né volle ad ogni costo abbandonare la sua vita, attaccata com’era a tanti proponimenti, con una fuga oltremare, o limosinando una grazia, che ove fosse stata generosa, offrivagli sempre una catena al piede.
Egli adunque amava il principe come a padre puossi amare; e questi rispondeva con affetto fraterno…


Benedetto Naselli: I misteri di Palermo.
Nella versione originale pubblicata presso Francesco Abate nel 1852
Prezzo di copertina € 21,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile presso Librerie Feltrinelli. 
Nella foto: Disegno di Niccolò Pizzorno, che così lo immagina nella copertina di "Pasquale Bruno" di Alexandre Dumas pubblicato nella stessa collana.

Benedetto Naselli: La Vicaria. Tratto da: I Misteri di Palermo

Di fronte alla piazza marina a Palermo, sorge un bellissimo fabbricato di stile toscano a tre piani, vestito di stucco lucido, guardate le finestre da verdi gelosie e adorno il vestibolo da uno spaziosissimo portico ricco di colonne, d’intagli, arabeschi, con lo stemma reale nel centro, e chiuso da una ricchissima inferriata fusa a fantasia. Ai lati sorgono due smisurati candelabri dello stesso metallo, lavorìo dei nostri artigiani e delle fonderie nostre.
Sul frontone del portico a lettere di rame dorato leggesi  “Reali Finanze”.
Questo palazzo fu eretto nel 1578, e poi fu destinato a servire per le pubbliche prigioni, e prendea nome di Vicaria (14). La sua forma era quale osservasi tuttora, ma la sua figura era ben diversa. Allora non sorgeano colonne scannellate a sorreggere l’ampiezza del portico ma invece aprivasi un meschinissimo portone raccomandato a due o tre ordini di grate di ferro, e grate di ferro spesse e replicate stavano in luogo delle attuali linde e leggiere gelosie. Allora non eranvi candelabri e colonnette e intagli ed arabeschi, ma due sole fontane di marmo ad uso pubblico, e qualche lapide su cui, leggevasi il nome di Diego Enriquez de Guzman conte di Albadelista. Al portone, alle grate succedevano il cortile e le scale quali osservansi tutt’ora se non che meno linde e luride, come più triste e più barocco era l’insieme del palazzo, e parea che anco l’architettura contribuisse alla laidezza del locale, alla squallida miseria di un buon migliaretto di delinquenti ed inquisiti e condannati di tutte le forme, di tutti i modi, di tutti i delitti. Quel fabbricato era un osceno contrasto, tra la imponenza del nostro Toledo e la meschinità e luridezza della sua forma, una anomalia topografica per dir così, un errore di scopo.
Quella sera che Pietro e Luigi furono arrestati come il lettore conosce, dopo un lungo interrogatorio sostenuto in presenza del capitano d’arme in persona che per forza o per amore volea farne di quei due disgraziati i compagni di un fuor-bandito come diceva, verso la mezzanotte furono condotti alla Vicaria, e posti separatamente a carcere duro, volgarmente detto fra noi camera serrata.
Queste prigioni, o a meglio dire questa specie di sepolture, erano di forma bislunga, ed alte pressoché la statura regolare di un uomo. Aveano un piccolissimo pertugio che malamente chiamavasi finestrino a discapito della nostra filologia e della nostra architettura, e vi si entrava da una stretta e bassissima porticina, raccomandata a due o tre buonissimi chiavistelli e catenacci. Una luridissima stuoia per terra che rigurgitava acqua, inzuppata com’era da una soperchiante umidità, facea le funzioni di letto, ed un accurato lavorio di ragno suppliva alla coltrice. Altri mobili non ve n’erano, che l’angustezza del locale nol permetteva mica.
Il lettore visiterà con noi uno a uno i nostri due sventurati amici.
Luigi, anco nel suo dolore fu colpito a tal vista, e facendosi puntello colla mano sinistra alzossi dalla sua positura e lesse.
“Infelice colui che in questa terra non seppe ispirare che odio, ma infelicissimo quegli che abbisogna della pietà altrui – settembre 179..” e al fianco: “I costumi non si migliorano con una legge penale, e chi tutto tende a riformare, nulla riforma – 18...” Queste poche righe erano dell’istessa mano e scritte a lapis e ricalcate. Più sotto, poi vidde incisi i seguenti versi, ed erano incisi e non altrimenti, e non col bulino o qualche altro strumento dell’arte, ma con un semplicissimo chiodo.
E tanto valse il tremito
Di un scellerato male
M’eran sì diri i palpiti,
Ch’esterrefatta, e frale
L’alta possente e provvida,
Natura ammutolì.
D’atra bufera al fremito
Per se tremaro i figli, 
A’ padri ansanti esanimi
Mancarono gli ausigli,
Fu visto un tetto accogliere
Chi visse, e chi morì.

La poesia era continuata, ma vedeasi cancellata e rotta dalla umidità, e del suo seguito, non leggevansi che altri due versi:
D'accatastate vittime
Morte trionfa, e sta.
E sotto 18... Era forse la cifra del millesimo, ma non poteasi leggere il rimanente mancamento non procacciato dalla mano del tempo, o dalle gocciolature dell’acqua, ma dal pentimento forse o dal proposito dell’autore.
Il lettore che ci ha seguito fin qui nel nostro fastidioso cammino, che noi a malincuore abbiamo segnato, dolorando i casi e le vicissitudini di tanti esseri infelici, avviliti, dimenticati ed insultati, sentirà forse ribrezzo dell’abbrutimento, al quale si riducono questa classe d’uomini che il delitto e l’educazione ha tratti in quel cerchio vizioso. Se il suo cuore non si sente forte abbastanza da accompagnarci sino alla fine salti se il vuole a pie pari queste poche pagine; che non per questo la nostra storia sarà monca o divisa.
Noi epperò lo ripetiamo ancora una volta il nostro scopo è quello di svertare dall’occulto, vizî e virtù, magnanimità e delitti, onde per vie indirette si arrivi ad immegliare almeno sin dove si può la classe di tutti quegli infelici, che dondunque partano, sono sempre gli stessi, persuasi che a malgrado tutti quanti gli sforzi della filantropia e delle speculazioni umanitarie ce ne saranno sempre: il solo numero potrebbe esser diminuito, e questo sarebbe assai speranza lusinghiera per chi sparge pel bene pubblico sudori e voti. 


Benedetto Naselli: I Misteri di Palermo
Nella versione originale pubblicata presso Francesco Abate nel 1852
Prezzo di copertina € 21,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile presso Librerie Feltrinelli 
Nella foto: La Vicaria del pittore Umberto Coda

Benedetto Naselli: I Misteri di Palermo

Come i romanzi dei "Misteri" scritti da vari autori per ogni città, i protagonisti vivono tutti nello stesso luogo: "scendendo sulla diritta del piano di S. Teresa, succede un magnatizio palazzo, e dalle spaziose sale, che fan bella mostra del gusto e della squisitezza dei nostri tempi andati… soprastanno al frontone d'una delle molte entrate le armi gentilizie della illustre famiglia a cui appartiene. 
Soprastanno al frontone d’una delle molte entrate, le armi gentilizie della illustre famiglia a cui pertiene. Al cominciare del presente secolo, di costa a tal palazzo, e propriamente in una viuzza che lo fiancheggiava, esistiva una casa di modesta apparenza a due piani ove si alloggiavano due famiglie cadute nell’infortunio e nelle meschinità, al pianterreno un giovane scultore colla madre, ed in soffitta due incogniti, due anonimi come direbbesi, due esseri misteriosi, due di quegli uomini infine, che escono la mattina per ritirarsi la sera, che non sono mai dimandati, che non si vedono, che sono la smania delle male lingue del vicinato, stizzantesi in tali occasioni a non poter mormorare ad occhi veggenti sul loro conto…
Il pianterreno del palazzo, abitato dallo scultore, componevasi di una sola stanza. A destra dello entrare, un  focolare in pietra, e per una scaletta di legno si saliva ad un mezzanino che ricevea la luce dalla stanza istessa. Ivi erano riposti due meschinissimi letti con pagliericci, l’uno per Genoveffa madre dello scultore, l’altro per lo stesso... 
Nella casa, al di cui pianterreno abitava il nostro Luigi, al primo piano lavorava un giovine pittore, ed al secondo la vedova con la famiglia di un impiegato morto da parecchi anni. In soffitta, come il sapete, nascondevansi Odoardo e Maria unitamente al vecchio Tom.
Il pittore chiamavasi Guglielmo. Era un uomo a trentacinque in su i trentasei anni. Magro e snello, con una bella capigliatura castagna e due occhi nerissimi che luccicavano come stelle. La di lui famigliuola componevasi di una buona moglie, vero tipo delle oneste madri di famiglia, e tre bambinelli, dei quali il più grande contava allora sei anni, e l’ultimo poppava. La casa non avea che due sole stanzette e una cucina. Il buon Guglielmo era figlio dell'arte…"
Accanto ai protagonisti ruotano altri personaggi non meno importanti, come il principe di Butera "il Principe di B... di cui abbiamo sin dal bel principio descritte la casa e la corte, era ben differente fra quanti avea compagni di stato e di fortuna. Egli era buono... ma il di lui cuore potea menomarne gli abusi e lenirne le pene, abbatterli no davvero, che niuno pensò mai scapitare in dritto o in fatto dalle avite pretese delle antiche usanze…" e il bandito Pasquale Bruno, già noto nell'omonimo romanzo di Alexandre Dumas (padre) che nel corso del romanzo assume sempre più la parte di co-protagonista. "Da bel principio credettero esser soli; ma poi fecersi accorti, che al fianco della porticina dalla quale era uscito chi li avea condotti, sedevasi un uomo, una specie di villanzone, vestito di velluto con una berretta nera posata sulla gamba sinistra. E Pietro seguitava a contemplare quel volto plebeo che la necessità colorisce e corruga, e quelle mani callose e tarchiate, che muove il bisogno di un pane e la conservazione e difesa propria; quelle mani che mosse appena procacciano un tozzo di pane al ventre o una catena ai piedi. Il villanzone accovacciato com’era, rimpicciolivasi, e parea cosa morta, nè curavasi d’altro che de’ suoi pensieri che doveano starsi ben a martello per non muoverlo affatto dalla sua positura."
Il tutto nella cornice di una Palermo ottocentesca descritta nei minimi particolari…


Benedetto Naselli: I misteri di Palermo
Nella versione originale pubblicata presso Francesco Abate nel 1852
Copertina di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina € 21,00
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile presso Librerie Feltrinelli

Benedetto Naselli: I misteri di Palermo

Nel 1842 Eugène Sue pubblica I misteri di Parigi, inaugurando ben presto un fortunato genere letterario che varcherà  i confini francesi. Il romanzo tradotto in italiano nel 1848 influenza i nostri scrittori fino a creare una vera e propria moda che dilaga per tutta la penisola italica con la pubblicazione di diverse opere di "Misteri", come quelli di Roma, Torino, Firenze, Livorno, Genova solo per citare i più noti. 
Ma oltre a quelli più famosi di Napoli di Francesco Mastriani, un posto a parte lo occupano I misteri di Palermo di Benedetto Naselli, oggi riproposti nell'unica e rarissima versione originale. 
L'opera, pubblicata nel 1852 è la realistica rappresentazione di una Palermo degli inizi ottocento ed è piuttosto sensibile al ritardo culturale e al degrado materiale del popolo, avversato dai capricci dei potenti e dalle loro corruzioni, da una privatistica e influenzabile amministrazione della giustizia, da una miseria che è solo sofferenza e disperazione senza riscatto. Naselli ci descrive una società  governata dal male utilitaristico come volto necessario del potere, dove il carcere con le sue torture è la normale conduzione dell'infelice vita di genti affamate di pane e giustizia. 
Il realismo di questo romanzo è dato anche dalla sua perfetta ambientazione nella Palermo ottocentesca, dove tutti i personaggi si muovono con estrema naturalezza e si distingue soprattutto per il primario tentativo d'indagine sociale con la descrizione di una vita giornaliera, che seppur usando il registro narrativo di un tardo romanticismo per le sue tematiche in costante conflittualità  fra i grandi temi del bene e del male, della virtù e del vizio, lo colloca prepotentemente fra i grandi romanzi popolari dell'ottocento. Un autorevole dramma dell'ingiustizia, del quale sembra vittima in prima persona questo sconosciuto scrittore palermitano, avvolto nel mistero di una feroce dimenticanza collettiva.

Benedetto Naselli: I misteri di Palermo 
Nella versione originale pubblicata presso Francesco Abate nel 1852. Copertina di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina € 21,00 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime
Disponibile presso Librerie Feltrinelli