Tutti i volumi sono disponibili: dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia), su tutti gli store di vendita online e in libreria. Gli e-book sono disponibili su streetlib store e tutte le piattaforme online.

venerdì 26 gennaio 2024

Giulia Petrucci: Fiori crescono persino in riva al mare... Tratto da: Giustizia a Palermo

Primavera siciliana.
Da anni non tornavo in Sicilia in primavera e quasi avevo dimenticato quanto fosse bella, quanto fosse verde. D’estate, l’erba è secca per il gran caldo e la mancanza d’acqua e il colore che prevale è il giallo paglierino. Ma in primavera esplode il verde in tutte le sue sfumature e macchie improvvise di colori vivacissimi spuntano qua e là con fiori d’ogni tipo. Vi sono intere colline rosse come il sangue o gialle come l’oro e prati in cui il viola e il lilla sono i colori dominanti.
Fiori crescono persino in riva al mare, tra la sabbia o tra le rocce e sembra quasi che siano le onde a depositarli lì, dopo averli portati via a prati nascosti negli abissi più profondi.
Mentre viaggiavo sull’autostrada tra Messina e Palermo, ripensavo al mito di Proserpina e mi dicevo che non a caso gli antichi greci avevano immaginato che il dio degli inferi l’avesse rapita dalla Sicilia, Terra della Primavera, gettando così il mondo nella desolazione e nel gelo dell’inverno.
Gustai in pieno quel viaggio, come una riscoperta di luoghi, paesi, colori, il cui ricordo nel tempo si era assopito, ma non scomparso del tutto.
Capo d’Orlando, Tindari, Santo Stefano di Camastra, Cefalù, passarono davanti ai miei occhi come in un vecchio film, dai colori ancora particolarmente brillanti e ben conservati, malgrado il tempo trascorso.
Ma ormai desideravo soltanto vedere il monte Pellegrino con il suo profilo caratteristico, che si vuole assomigli al Duce Benito Mussolini, fez compreso, ed è, comunque, il simbolo della città.
Palermo è il monte Pellegrino, è la Conca d’Oro, che la racchiude come un gioiello incastonato tra aspre montagne e il verde brillante degli agrumeti.
È il grande golfo col suo cupo mare salato, un tempo uno dei più belli del mondo ed oggi vittima illustre dell’inquinamento. Quel mare, nella mia infanzia, era stato compagno di giochi ed amico e, nell’adolescenza, il complice silenzioso di amori teneri delle sere d’estate.
Avrei amato comunque Palermo per il mare sempre presente, col suo respiro ampio e il suo colore, a volte intenso, a volte chiaro come la superficie di uno specchio su cui, il sole di giorno e la luna di notte, si frangono in mille frammenti di luce.
Per addentrarmi nella città scelsi la via Messina Marine, proprio perché costeggia il mare e attraversa Romagnolo, la borgata di pescatori dove sono nato. Volevo vedere se esisteva ancora la casa gialla che avevo abitato da ragazzo.
Con grande stupore vidi che era ancora lì, sebbene le fossero cresciuti intorno palazzi alti e moderni che quasi la soffocavano con la loro prepotenza e i loro colori vivaci. 



Giulia Petrucci: Giustizia a Palermo. Romanzo.
Prezzo di copertina € 16,00
In copertina: Dolcezza tra le spine di Natale Petrucci.
Disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102)

Giulia Petrucci: Tornare a Palermo... Tratto da: Giustizia a Palermo. Romanzo.

Tornare a Palermo.
Un desiderio di sempre, un sogno irrealizzabile all’apparenza che, improvvisamente, diventava realtà.
Com’era accaduto, difficile ricordarlo.
Quand’era cominciato il processo di distacco da mia moglie, dai miei figli, dai colleghi di lavoro, dagli amici, impossibile precisarlo.
D’un tratto, mi ero ritrovato con un divorzio alle spalle, una solitudine quasi totale e nessuna vera ragione per rimanere a Roma. Mentre diventava più forte, giorno dopo giorno, quel desiderio di sempre.
Tornare a Palermo.
Quasi una filosofia di vita, un tacito impegno con se stesso, per ogni palermitano che si allontana dalla sua città. Un modo di esistere, con la stessa sensazione di un uomo che, privato di un arto, abbia ricevuto assicurazioni che presto la scienza medica sarà in grado di ridargli, in carne ed ossa, l’arto mancante.
Quando e come non gli è concesso di saperlo, ma egli vive nella speranza che presto finirà la sua sofferenza.
Così era sempre stato per me, vissuto con la sensazione della mancanza di qualcosa di essenziale per il mio essere, che generava in me una sofferenza sorda, abituale e quasi inavvertita, che mi portavo dietro senza disperazione, perché sapevo che prima o poi mi sarei deciso a ritornare.
Ed ecco che, senza quasi rendermene conto, mi trovavo già in macchina, sull’autostrada del Sole, e la mia meta si faceva sempre più vicina... Mi lasciavo tutto alle spalle senza alcun rimpianto, ed anzi mi sembrava di riprendere a respirare di nuovo, liberamente.
Comprendevo adesso che, nei ventitré anni trascorsi a Roma, ero stato un prigioniero che ignora la sua prigionìa e non vede lo spessore delle sbarre tra cui è costretto a vivere. Uno strano prigioniero di se stesso, che aveva contribuito inconsapevolmente, giorno dopo giorno, a costruire con le sue stesse mani la propria prigione, illudendosi, però, di essere ancora libero.
E il risveglio era stato traumatico: quando finalmente avevo aperto gli occhi e mi ero accorto di quelle sbarre e di quella prigione, essa stava già per soffocarmi.
Ma, per fortuna, mia moglie era stata ragionevole, i ragazzi abbastanza adulti da poter scegliere il proprio destino consapevolmente, tanto che avevano deciso di seguire la madre originaria della Lombardia. La mia fama di avvocato presso il Foro di Roma era abbastanza grande da consentire facilmente il trasferimento al Foro di Palermo e, nello stesso tempo, non tanto da potermi creare impegni che non fosse possibile affidare a qualche collega più giovane, con sua soddisfazione e nessun danno per il cliente.
A Palermo non avevo idea di come sarebbero andate le cose, ma ero stranamente tranquillo.
Una volta presa la decisione di tornare, tutto mi sembrava facile e tutto, in effetti, si appianava come per una segreta magia.
Uscii dall’autostrada a Villa S. Giovanni, per prendere il traghetto.
Avevo sempre amato raggiungere la Sicilia in macchina e poi col traghetto. Quel lento avvicinarsi, quel vederla dapprima sfumata in lontananza, simile ad una Fata Morgana e poi sempre più vicina e reale, come un sogno che lentamente si avvera, mi dava la sensazione di nascere ancora una volta o meglio di ritornare lentamente alla vita.
E sempre mi commuove il modo in cui la città di Messina accoglie ogni viaggiatore che viene dal mare, col suo porto nel quale il traghetto penetra lentamente, come tra due grandi braccia e la statua della Madonna che attende all’imboccatura, benedicendo tutti coloro che arrivano: “Vos et ipsam civitatem benedicimus”...
E, quando sbarchi, sai già di essere a casa. Anche se la tua città si trova a chilometri di distanza, non importa. Quando hai messo piede sull’isola, sei già a casa e, senza rendertene conto, attraversi le strade linde e i giardini ridenti messinesi, per raggiungere le autostrade, con un’espressione più distesa sul volto e un immancabile senso di sollievo.
Ti sembra persino che nei tuoi polmoni penetri un’aria diversa, più leggera, più profumata...



Giulia Petrucci: Giustizia a Palermo. Romanzo.
Prezzo di copertina € 16,00
In copertina: Dolcezza tra le spine di Natale Petrucci.
Disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102)

martedì 23 gennaio 2024

"La primavera della strummula" di Filippo La Torre recensione di Marco Valenti dal blog Libroguerriero di Marilù Oliva

 #grandangolo di Marco Valenti

Una volta si sarebbe detto “tratto da una storia vera”. Oggi i tempi sono cambiati, e molte delle espressioni di un tempo sono andate lentamente a sparire, sostituite da neologismi che non aggiungono nulla, ma che sembrano divenuti imprescindibili. Sta di fatto che “La primavera della strummola” è davvero parte di quella che potremmo considerare come l’autobiografia romanzata di Filippo La Torre.
Nelle pagine del romanzo troviamo infatti le vicende che hanno caratterizzato i cinque anni che l’autore ha dovuto trascorrere nell’Istituto Superiore dell’Infanzia Abbandonata di Palermo. I suoi sono i ricordi 
di un bambino vissuto in un collegio per orfani o disadattati, che s’innestano nelle condizioni di vita di un piccolo agglomerato di case abitate prevalentemente da braccianti agricoli, quasi un guscio, nella periferia di Palermo: il Baglio di Villa Nave.

“Dumani ti portu in una casa granni. U sai? Ci sunnu tanti picciriddi. Tra setti jorna ti vegnu a truvari e se u postu nun ti piaci, ritorni a casa cu mia” […] “Figlio mio, ci dobbiamo separare. Ho la morte nel cuore ma ho la consapevolezza che dovunque sarai, ti troverai meglio. Adesso dovrò fare violenza a me stessa per sorriderti, e invece ho solo sofferenza. Dovrò mentirti, come già ti mento. Tra una settimana non ritornerai a casa, ma ho la forte speranza che tu avrai un futuro migliore. Studierai e avrai la pancia sempre piena, anche di sole spine, ma piena!” Questi erano i pensieri nascosti e le parole non dette di mia madre nell’anno 1951, mese di agosto.
Ovvio che, con una premessa del genere, si sia portati ad approcciare il volume con uno sguardo meno disincantato e, almeno parzialmente, condizionato. “La primavera della strummula” però stravolge sin da subito tutto quanto, lasciandosi apprezzare, per il suo stile avvincente e, in alcuni momenti davvero travolgente, che esula da tutta quella serie di cliché che, spesso, saturano i romanzi che approcciano gli stessi argomenti. Si tratta certamente, non serve nemmeno ribadirlo, di argomenti delicati, che guardano all’infanzia, e in particolare alle difficoltà e alle privazioni che gravano su tutti quei minori che, come il protagonista, vedono troppo prematuramente sparire l’innocenza di un mondo che hanno appena iniziato a conoscere.
Dalla spensieratezza del Baglio alle regole dell’istituto, il passo è davvero troppo breve. E il soggiorno, che avrebbe dovuto essere di una settimana, finirà tristemente per prolungarsi per cinque lunghissimi anni, in cui Filippo dovrà necessariamente rivedere e riscrivere la propria vita. Non ci sarà tempo per la sua infanzia, dovrà crescere in fretta, facendo, sin da subito, conoscenza con le delusioni di un’esistenza in salita. La perdita dell’innocenza quindi, ma anche, più materialmente parlando, delle piccole cose e dei gesti di tutti i giorni, caratterizzeranno la sua permanenza in istituto. Sapori, odori e ritualità del baglio finiranno per essere archiviato come sbiaditi ricordi di un tempo che non tornerà.

Ci sono stati momenti della mia vita che avrei voluto gridare o stare zitto con le labbra incollate, battere così forte i piedi da far rimbombare i pavimenti o rimanere immobile in attesa della morte. Quella volta rimasi con lo sguardo vuoto, a guardare il nulla, con le braccia inerti, scivolate sul corpo. Le mie mani erano chiuse in un pugno e io le stringevo quasi a farmi male.

Per lui, come per tutti i bambini relegati ai margini, che hanno visto il mondo da una posizione di svantaggio, non è stato e non sarà facile cancellare il ricordo di un passato che ha inciso solchi davvero troppo profondi sulla sua pelle. Alcune cicatrici restano per sempre, e la maturità dei nostri giorni, in cui Filippo vive da adulto, non aiuta in alcun modo a venire a patti col passato. Ricordi in bianco e nero che niente e nessuno saprà mai rendere a colori, neanche grazie alla tecnologia di cui disponiamo oggi.

Se in quel giorno di fine agosto fosse caduta la pioggia, le gocce sarebbero state stille di piombo o lacrime di sangue rappreso.

Il romanzo si apre negli anni ’50, nella periferia palermitana alle prese con una quotidianità lontana da quel boom economico che nel resto del paese sta dilagando. Qui siamo in una sorta di enclave chiusa in sé stessa, in cui regole non scritte, tramandate da sempre, e forti dell’impossibilità di emanciparsene, dettano legge. Ma al tempo stesso permettono ai bambini di crescere con la giusta lentezza e la giusta distanza da un mondo che sta iniziando a correre troppo velocemente.

“Che cosa scriverebbero oggi le mie mani senza memoria? […] Alcune di queste mie memorie sono molto nitide e hanno radici forti nella mia mente come se fossero scolpite nella ciaca più dura, anche se peccano di un filo cronologico. Altri ricordi sono annacquati dal tempo e la loro solidità è incerta ma sono mantenuti vivi da forti e brevi emozioni. Ancora oggi.”

Ci sono libri che lasciano interdetti, e libri che lasciano dentro sensazioni che sono sfiorano e a volte sublimano il dolore. “La primavera della strummula” appartiene sicuramente a quest’ultima categoria. Il suo carico emotivo, e la facilità di immedesimazione, lo contraddistinguono tra i tanti che quotidianamente ci passano davanti agli occhi, in quella sfilata di vanità che sono diventati i mezzi di comunicazione contemporanei nel momento in cui si sono assoggettati alle regole dei social network, e in cui la superficialità regna incontrastata.
Lo spessore di un testo come questo, che guarda al passato, senza ipocrisia e senza vergogna, lo rende una lettura tanto gradevole, quanto pregna di contenuti, che non possono non portarci a riflettere su come le nostre esistenze differiscano per pochi, infinitesimali dettagli, che però, alla lunga, assumono un’importanza decisiva per farci crescere in modo differente, pur se appartenenti allo stesso mondo.
Un libro toccante, che scava nel profondo delle nostre vite, riportandoci con la mente agli anni che per noi sono stati spensierati, ma che per altri, meno fortunati, hanno rappresentato un trauma che li ha condizionati per sempre. Nell’età della conoscenza e delle scoperte il mondo agli occhi è lo stesso, ma è troppo differente l’approccio che possiamo permetterci di mettere in atto.
La regola di base è sempre la stessa. E viene puntualmente disattesa. Partire alla pari.
https://libroguerriero.wordpress.com/2024/01/20/la-primavera-della-strummula-di-filippo-la-torre-i-buoni-cugini-editore/2/

lunedì 8 gennaio 2024

Filippo La Torre: Le anime del Purgatorio. Tratto da: La primavera della strummula. Romanzo

Certo non si poteva pretendere che le povere suore di piazza Martiri avessero una buona preparazione in pedagogia e psicologia infantile. E fu così che suor Maria, proditoria e ignorante, alla fine delle lezioni, ci raccontò delle anime del purgatorio.
«Se non pregherete per loro, arderanno per sempre tra le fiamme. In eterno» – ci disse proprio così.
Parole terribili. Poi non contenta aggiunse:
«Appena andate a letto e prima di dormire, vi raggiungeranno i loro lamenti. Sentirete anche il rumore delle pesanti catene, dove sono legate».
Michele terrorizzato dalle descrizioni di suor Maria, cercò conforto nei miei occhi:
«Filippu, ma tu ci cridi?»
Mi ha sempre fatto tenerezza Michele con la sua ingenua e cieca fiducia nei miei confronti, ma come potevo confessargli che anch’io ero rimasto impressionato dall’enfasi con cui suor Maria ci descrisse le sofferenze di chi navigava speranzoso nel Purgatorio? Dovevo sforzarmi di apparire come un cavaliere senza macchia e senza paura. Maledizione a me, che mi ero dato questo ruolo fin dal primo giorno del nostro incontro.
«No, Miché, nun ci cridu e nun c’hai a cridiri mancu tu. Sunnu tutte minchiate!»
Suor Maria non riusciva a nascondere il godimento che provava, nel vedere quanto i suoi racconti di mistero e terrore facevano presa sulle nostre giovani menti. Ci diceva spesso di corpi nudi, senza colore, che fluttuavano sofferenti, sospesi in un’atmosfera a volte di fuoco a volte di ghiaccio. Il mio amico mi stringeva la mano con forza, nella ricerca di fiducia e coraggio. Al mio tentativo di sganciarmi si legò ancora di più, implorandomi con gli occhi di non farlo. La stessa sera, appena coricati, Michele, che era distante da me solo tre lettini, continuava a chiamarmi, domandandomi ripetutamente:
«Filippu, ma tu ci cridi?»
La sua voce non aveva continuità. Le parole facevano fatica a uscirgli dalla bocca, alcune erano deglutite, altre intervallate da strascichi di balbuzie. Si poteva toccare con mano la profonda paura che torturava la sua mente ristretta.
«Filippu, stanotti mi fai curcare cu tia? Sulu stanotti! Ca poi dumani può essiri che all’animi du purgatoriu nun ci pensu cchiù.»
«Va bene, Miché, ma sulu pi stanotti!»
L’accettai nel mio letto con una raccomandazione:
«Girati ri l’autra banna che a mia i to vavi mi fannu schifo».
«Dicemu i preghieri insemmula. Facemu comu dissi suor Maria.»
«Dilli tu, Miché, puru pi mia.»
«Ma accussì nun hannu valuri.»
«Ci l’hannu, ci l’hannu. Però l’ha diri sulu ca menti. In silenziu.»
Io mi addormentai subito, Michele non so.
Nelle mie fantasie di bambino, per un certo periodo anch’io ci credevo davvero. Il forte condizionamento mi faceva sentire sin anche il rumore delle catene trascinate dalle anime del purgatorio, e i loro lamenti mi sembravano canti di dolore.
La notte successiva al racconto di suor Maria e per altre notti ancora, avevamo paura di andare in bagno. Gli orinatoi stavano in fondo a un lungo corridoio molto illuminato e la troppa luce ci incuteva la paura che le nostre anime rimanessero senza protezione. Rintanati sotto le coperte, l’angoscia ci attanagliava. A letto, pensavo spesso che forse una leggera oscurità ci avrebbe dato più coraggio, invece, molti bambini trasfiguravano nelle ombre le loro ansie e le loro incertezze. Molti fecero la pipì per terra, in camerata, e quando fu possibile, accanto ai lettini altrui senza farsene accorgere. 
Alla sveglia del mattino si creò un caos indescrivibile e furono presi dei drastici provvedimenti, soprattutto per chi si era fatto trovare con il letto bagnato. In questi casi, la punizione consisteva nel dormire nudo sopra delle assi di legno. Purtroppo, a ogni minimo movimento le assi si accostavano e spesso, durante la notte, si sentivano le grida di bambini che rimanevano con qualche parte del corpo incastrata...


Filippo La Torre: La primavera della strummula. Romanzo. 
Pagine 270 - Prezzo di copertina € 22,00
Sconto del 15% se acquistato online al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store online (anche in e-book) e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria Nike (Via Marchese Ugo 56), Libreria Macaione (Via Marchese di Villabianca 102) La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15).
Nella foto una sala dell'Istituto Thomas More (allora Istituto superiore per l'Infanzia abbandonata) 

Filippo La Torre: L'orsacchiotto acefalo. Tratto da: La primavera della strummula. Romanzo

Da sempre all’Istituto Superiore per l’Infanzia Abbandonata, finita la ricreazione, si perpetuava la brutta usanza del riposo pomeridiano. Tutto partiva dall’ordine perentorio di suor Maria e, immediata, la pantomima aveva inizio:
«Bambini, adesso chiudete gli occhi e dormite!»
Tutti seduti, appoggiavamo le braccia sopra il banco ad accogliere la testa, chiudendo contemporaneamente gli occhi e la bocca. L’aula piombava in un silenzio assoluto, innaturale. Anche le mosche andavano a riposare, mentre suor Maria percorreva il lungo corridoio che separava i banchi stringendo in mano una bacchetta lunga circa mezzo metro, che batteva delicatamente sulle nostre spalle, una volta a destra e una volta a sinistra. Al tocco della canna, i bambini dovevano restare con gli occhi chiusi dimostrando così di dormire e suor Maria, in quell’occasione, aveva un sorriso da bambina insoddisfatta. Ma quella volta che accadde il fattaccio, era impegnata a visionare i disegni che avevamo fatto sulla Santa Pasqua, e così Gaspare ricevette l’incarico di battere la canna sulle spalle dei bambini. Per quello che successe dopo, la scelta di suor Maria non si rivelò né buona né meditata, specialmente per Gaspare.
Gaspare aveva una cicatrice sotto l’occhio sinistro causata da un pugno sferratogli da suo padre, illustre ospite con alternanza all’Ucciardone. A suo dire, era andato in difesa della madre mentre il genitore ubriaco la riempiva di botte e non di pane e carezze. La cicatrice gli lasciava in faccia l’espressione di un ghigno malefico, e si sposava benissimo con l’aspetto del prepotente che si divertiva a tiranneggiare sui più deboli. Ma con me, il giorno prima, aveva truzzato duro.
«Francesco, picchì chianci?»
Francesco era seduto a terra con le spalle appoggiate al tronco del gigantesco albero di ficus, quasi nascosto dalle radici e dalle ombre che calavano dall’alto. Aveva gli abiti sporchi di polvere bianca e singhiozzava forte. Il suo pianto era vero.
«Gaspare m’arrubò l’orsacchiotto!»
Le sue lacrime sapevano dello stesso dolore e candore delle mie. Sentivo forte il compito di riparare a quell’ingiustizia. Decisi di riportaglielo a qualunque costo. 
Il giorno prima, domenica, suo padre gli aveva regalato un orsacchiotto senza testa, di sicuro rinvenuto tra i rifiuti durante il suo giro quotidiano alla ricerca di stracci. Il papà di Francesco, lo prese convinto che quel giocattolo avrebbe reso felice suo figlio, e così era stato. Con quell’orsacchiotto tra le mani, il bambino si sentiva importante perché non tutti i giorni si riceveva un regalo. Gli si dava la corda tramite una chiave a farfalla inserita sulla schiena pelosa e subito dopo, l’orsacchiotto agitava le braccia battendo su un tamburo sopra la pancia. Quanta pena faceva quell’orsacchiotto senza testa: non poteva vedere, ascoltare o sorridere, però il bambino ne andava ugualmente orgoglioso.
Mi allontanai alla ricerca di Gaspare. Non lo vidi, però mi accorsi, che in fondo all’atrio, tra l’ingresso della lavanderia e la legnaia, si era formato un assembramento. E il nostro amico era lì, al centro, motivo e attrazione del gruppo, e dava vita all’orsacchiotto costringendolo a battere sul tamburo ogni volta che si fermava. Finsi di essere curioso e mi avvicinai. Mi vide. Era pieno di sé e io fremevo. Gli diedi il tempo di posare il giocattolo a terra, e fui lesto ad afferrarlo. Calò il silenzio, tutti ammutolirono, e anche l’orso smise di battere sul suo tamburo: la molla era arrivata al suo traguardo. I bambini intuirono che era in arrivo una tempesta. 


Filippo La Torre: La primavera della strummula. Romanzo. 
Pagine 270 - Prezzo di copertina € 22,00
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martedì 2 gennaio 2024

Palermo, venerdì 19 gennaio 2024 ore 18:30 presentazione del libro: Barricate a Palermo. La rivolta ibrida del Sette e Mezzo di Santo Lombino e Domenico Michelon


 

Quella guerriglia contro il governo: Lombino e Michelon svelano una storia. Le strade e le piazze del capoluogo messe a ferro e fuoco nel 1866.

 

Articolo di Giusi Parisi

Un’insurrezione popolare palermitana del settembre 1866 sconosciuta ai più. Una crisi tra (neo) governati e governanti del neonato regno di Sicilia e non un semplice episodio di delinquenza collettiva come, invece, fu bollata. Quella che oggi chiameremmo guerriglia, all’epoca fu un moto di forte ribellione di un gruppo di repubblicani radicali i quali, grazie all’aiuto di esponenti clericali e filoborbonici, cercavano la rivincita contro i moderati e Giuseppe Mazzini.
La rivolta che mise a ferro e fuoco le strade e le piazze del capoluogo durò all’alba del 16 a mezzogiorno del 22 settembre 1866 cioè sette giorni e mezzo e fu così chiamata utilizzando il nome di un noto gioco di carte.
Barricate a Palermo. La rivolta ibrida del Sette e Mezzo (I Buoni Cugini editori; pp. 184; € 17,00) di Santo Lombino e Domenico Michelon è il libro che ogni siciliano dovrebbe avere nella biblioteca di casa, perché racconta un avvenimento avvenuto nell’isola che sui libri di storia non c’è. La rivolta, che aveva le stesse caratteristiche di quelle del 1820, del 1848 e 1860 e che era guidata dagli stessi capisquadra che avevano agito in quelle occasioni come Giuseppe Badia, vero capo della rivolta, fu definita dalla stampa nazionale di “barbarie e inciviltà” e frutto di manovre della nascente mafia.
In realtà, furono le nuove governative (che temevano di perdere prestigio a livello internazionale) a soffiare sull’argomento mafia. I palermitani scesero in piazza per ribellarsi ai “predoni” di casa Savoia ma finirono malamente tra repressioni e condanne a morte di speciali tribunali. Lombino e Michelon, invece, con dovizia di particolari e un taglio storico-politico-scientifico, ce la presentano per quella che fu: una storia di malcontento popolare con migliaia di morti tra gli insorti che non disponevano di armi a sufficienza.
Barricate a Palermo si compone di quattro parti. La prima ripercorre le vicende politiche in Sicilia dal plebiscito del 1860 per poi esaminare le cause del nascente e crescente malcontento, l’atteggiamento delle classi dirigenti nazionali nei confronti dell’isola, gli esponenti governativi e testimoni dell’epoca.
Nella seconda parte, gli autori accompagneranno il lettore in quello che potremmo definire il diario giornaliero della sollevazione popolare e la conseguente reazione delle autorità politiche. La terza parte, invece, presenta le biografie dei principali personaggi che prepararono l’insurrezione mentre la quarta è una “guida ragionata” con disegni e cartine ai luoghi del Sette e Mezzo, alle strade e piazze che furono teatro degli scontri e agli edifici provati e pubblici assaliti dagli insorti.

Santo Lombino e Domenico Michelon: Barricate a Palermo. La rivolta ibrida del Sette e Mezzo. 
Pagine 184. Prezzo di copertina € 17,00.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via Marchese Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), Libreria Forense (Via Maqueda 185)