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mercoledì 21 settembre 2022

Giacomo Pagano: Venerdì, 21 settembre 1866. Tratto da: Sette giorni d'insurrezione a Palermo. Avvenimenti del 1866

Era l’alba di questa sesta giornata di agonia mortale e il fuoco ricominciava vivissimo e per ogni dove.
Il Generale Angioletti dispose anzitutto ogni cosa per mettersi in comunicazione col Palazzo Reale. Ponendo agli ordini del generale Masi il 31° bersaglieri, il 1°, 3° e 4° battaglione del 53° di linea e due pezzi da sbarco, dispose la marcia sul Palazzo per la via delle Croci che è accosto le Grandi Prigioni, onde per via Cavallacci e via Malaspina riuscisse nel sobborgo dell’Olivuzza. Lasciò il capitano di fregata Acton a custodia dei Quattro Venti, base delle sue operazioni. A tergo verso il Monte Pellegrino mandò la compagnia Vigna dei granatieri ad esplorare il terreno, e tolto il comando del 24° bersaglieri, dei quinti battaglioni del 19° e 51° fanteria e di due pezzi di sbarco coi carabinieri, che si trovavano alle Carceri, mascherò il movimento offensivo, che sulla sua destra dovea fare il Generale Masi, mettendo in sulle vie intermedie tra lui e l’Olivuzza i battaglioni del 19° e 51° e collocando in sulla via della Libertà i due cannoni protetti dal battaglione bersaglieri e dai carabinieri. Come aiutante di campo gli prestò valido aiuto il Luogotenente di carabinieri Raffaele Lamponi.
Erano queste in vero buone disposizioni militari. Dimenticava però l’Angioletti che egli era un cittadino italiano; e tale essendo essere dovere di qualunque generale il mantenere i suoi soldati nel rispetto della vita e delle sostanze, sì dei combattenti che dei non combattenti.
La squadra comandata dal contrammiraglio Ribotty avea ripreso il fuoco a granate. Intanto il generale Angioletti sulla via della Libertà di piè fermo attraeva l’attenzione degl’insorti con piccole avvisaglie e con colpi a mitraglia su Porta Macqueda. Erano circa le otto del mattino quando gli pervenne annunzio essere arrivati in porto tre battaglioni del 54° di linea. Fu dato ordine immediatamente di farli sbarcare sulla spiaggia di Romagnolo, perché si tenessero nella linea del fiume Oreto, sulla destra della posizione del Palazzo Reale, in modo da circuire interamente la città e togliere agl’insorti delle campagne che potessero sfuggire per le strade di Bagheria e di Misilmeri.
L’attacco era generale, generale la difesa ed ostinata. La truppa avente alla testa il generale Masi, marciava sull’Olivuzza dove ad ogni passo incontrava torme d’insorti che combatteano valorosamente. Accortosi l’Angioletti del suo arrivo in quel sobborgo diè ordini al Rasponi, maggiore comandante il 5° battaglione del 51°, d’impadronirsi del convento di S. Francesco di Paola, al capitano Acton di lasciare i Quattro Venti per occupare i Quattro Cantoni di campagna, e al maggior Brunetta del 24° bersaglieri, coadiuvato dai pochi granatieri dell’antica guarnigione delle Carceri e dai carabinieri del Luogotenente Lamponi, di correre all’assalto della barricata dei Quattro Cantoni di campagna. Fu uno splendido fatto d’armi eseguito con slancio impareggiabile. Quei bravi soldati assalirono con gran furia né li sospinse alcun intoppo in che pur s’abbattevano. Superate due barricate, gl’insorti per quell’improvviso correre sgomentati non sapeano più da qual parte farsi. A questo sgomento avea da canto suo contribuito il Comandante del Castellammare col tiro dei suoi cannoni diretto contro le Stimmate. Infatti ciò che, per gli ordini contrari del Ribotty, il mercoledì dopopranzo non avea potuto giovare in quel punto riesciva giovevolissimo. Intanto il Maggiore Brunetta, seguito da una cinquantina de’ suoi, più degli altri si avanzava; ma poi ripreso animo le squadre, tornarono in buon numero ad occupare le barricate; e chiusero la via al resto del battaglione, e tolsero al Maggiore Brunetta di potere riunirglisi. Né di questo il valoroso ufficiale si diede gran fatto pensiero. Era stato per alcuni mesi di guarnigione in città e ne conosceva le strade. Procedette quindi sempre avanti alla baionetta e traendo colpi con quella sua truppa ardita che gli tenea dietro. Tutta la via Macqueda infino ai Quattro Cantoni percorse correndo sempre e portando il terrore nel cuor della plebe armata e nei cittadini la speranza di una prossima fine di quell’infausta anarchia. Come vi giunse si fermò, diede alcuni ordini con un sangue freddo incredibile, guastò un poco quella barricata di mobili e scambiando ancora pochi colpi colle bande che erano al Municipio, pel Corso pervenne a Palazzo Reale, due ore dopo l’arrivo della testa di colonna (31° bersaglieri) del Masi. Questi infatti avea colle sue truppe superata la posizione, dispiegando molta bravura ed abilità di comando, e giungeva al Palazzo, ricongiungendo completamente le comunicazioni colla flotta e liberando quella truppa di presidio dal pericolo imminente della fame. Per mezzo del Masi, l’Angioletti facea noto al Generale Carderina che si poneva a’ suoi ordini.
Questo Generale, che avea dato magnifica mostra della propria inettitudine al principio e nel corso dell’insurrezione, parve volesse non lasciare sfuggire nuova occasione di mostrarsi eguale a se stesso. Vano forse un po’ troppo del trovarsi finalmente alla testa di buon nerbo di truppe, immagina di ordinare all’Angioletti, che sgombrasse dalla presa posizione i battaglioni del 54°, desse loro un nuovo imbarco e ne li sbarcasse di nuovo per inviarli a Palazzo Reale.
Ciò militarmente tornava lo stesso che rinunziare ai vantaggi di felici disposizioni di truppe, che racchiudevano la città in una cinta di ferro e, impedendo l’evasione delle bande, offrivano l’agio di troncare d’un tratto quella misera insurrezione.
In sul far della sera di quel venerdì fu ordinato al 31° bersaglieri di prendere d’assalto il Municipio e di ardere la tela appesa ai Quattro Cantoni. Fu detto e fatto. Vennero con fiaccole accese e tirata in giù la tela, cadde, e in breve furon padroni del Municipio dove, al dir di taluni, trovarono uno scribacchino con tutti gli elenchi della forza armata insurrezionale, che si facea pagare dal Comitato. Epperò (la ragione militare è un mistero) il Carderina avea ordinato a queste truppe di non conservare la posizione, limitarsi a disfare la barricata dei Quattro Cantoni e ritornare sul Palazzo Reale!
La catastrofe si avvicinava, e gl’insorti se n’accorgeano. Le due cariche dei bersaglieri fatte nel cuor della città, la liberazione delle Autorità della Provincia e del Comune dalla cinta assediante, il continuo arrivare di truppe faceano avvertito ognuno, che l’anarchia stava per cessare e che tra poco il Governo avrebbe ristabilito l’ordine. Mancanti di munizioni, disperanti ormai dal trovare aiuto veruno dalla cittadinanza, stremati di forze per sostenere in qualsiasi modo una lotta maggiore od eguale a quella già resa vana, gl’insorti non osavano affacciarsi all’esito di quel lor movimento e si ristavano sbalorditi.
Ciò che in quel punto commosse i più influenti capisquadra, fu il pensiero della vita di fuorbanditi che loro naturalmente toccava in sorte per la sicura vittoria delle truppe...

Giacomo Pagano: Sette giorni d'insurrezione a Palermo. Avvenimenti del 1866.
Cause, fatti, rimedi, critica e narrazione. 
L'opera è la fedele riproduzione del volume originale pubblicato da Antonino Di Cristina Tipografo editore (1867)
Pagine 313 - Prezzo di copertina € 21,00
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