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venerdì 29 dicembre 2017

Benedetto Naselli: Il figlio del fallito. Tratto da: I misteri di Palermo.


Il pianterreno del palazzo, nella cui soffitta eransi rifugiati Odoardo e Maria, abitato dallo scultore, componevasi di una sola stanza. A destra dello entrare, un  focolare in pietra, e per una scaletta di legno si saliva ad un mez­zanino che ricevea la luce dalla stanza istessa. Ivi erano riposti due meschinissimi letti con pagliericci, l’uno per Genoveffa madre dello scul­tore, l’altro per se stesso. Un armadio di legno antico a piccoli cassoni verniciato in nero, un ta­voliere, poche sedie ed una poltrona, eran tutti i mobili. Al capezzale del letto della madre eravi appeso un crocifisso di avorio sur una croce di tartaruga guarnita in argento che apparteneva un tempo alla madre di Genoveffa, e questa lo avea sempre ritenuto come una santa tradizione, ricor­do dei suoi vecchi genitori, e santuario alle sue diuturne e serotine preghiere. Al di sotto poi nella stanza, due o tre panche di legno, rottami di marmo, modelli in gesso, scalpelli e scalpellini, ed una statua non finita rappresentante Ercole, l’eroe di Tebe della Beozia. Era questo lo studio di Luigi il nostro artista, il quale dopo aver lavorato molte ore della notte, ora si sdra­iava sur un seggiolone a bracciuoli a riposarsi contemplando, col contento di una prima inspirazione, l’opera del suo genio, che acquistava giorno per giorno forma e figura. 
Luigi non potea dirsi assai bello, ma la sua persona era molto seducente. La sua testa era, come direbbesi oggi, un bel tipo per una testa italiana. Avea larga la fronte, occhi cilestri, ma un po’ ingrottati e penetrantissimi, il suo naso era aquilino a cui sottostavano un bel paio di baffi neri. La capellatura pur nera e liscia, e la carnagione bruna. La sua figura alla perfine attiravasi gli sguardi degli uomini sensibili, perchè dal viso trasparivagli l’angosce ed i tormenti che tutto lo martoriavano. Il cuore di Luigi era stato educato alla sventura, sin dalla infanzia respirò l’alito della miseria, bevve al calice delle amarezze, e i suoi primi palpiti non furono che per la memoria di suo padre, per la madre e per l’arte. Eran questi i sentimenti che infioravano la vita di Luigi, ed avrebbe tutto arrischiato, per sostenere la ca­dente genitrice e procacciarsi il nome di valente nell’arte sua.
Luigi adunque contemplava l’opera sua; egli avea già terminata la testa del suo eroe, ed ora se ne stava a riguardarla con quell’estasi e quella ebbrezza di chi è contento del fatto suo. Sfio­ravagli il labbro un dolce sorriso; come quello della vergine il giorno della promessa, ed una lacrima tremolava sul ciglio... lacrima di desìo e di contento! Luigi era felice. 
Eppure egli era povero... ma povero assai. Il di lui padre ricco ed onesto speculatore trasci­nato da bugiardi amici nel vortice di mali affari, fiduciando nella di costoro buona fede, quando credè più presto preparato un agiato avvenire alla sua famigliuola, fu costretto a ritirarsi e fallire. Da uomo onorato che era, cedè tutto ai creditori ed impazzì. Scorsero poche lune, e travagliato dalle catene in cui giacea, se ne moriva fra gli spasimi e le angosce, lasciando una moglie desolata ed un orfanello in sulla strada. La madre ed il figlio per lunghi anni una vita di stenti e di mortificazioni. Ancor bambinello, Luigi, nel più fitto inverno, vedeasi ronzare per quelle casette alla Kalsa intirizzito dal freddo e colle lacrime agli occhi , ora con un fardellino di oggetti a vende­re, ora un prestito a dimandare, e quindi tor­nare, quando avea fatti quattrini, allegro alla ma­dre, che lo satollava con una buona fetta di pane ed un po’ di formaggio, che dovea saziarlo, sino alla dimane, ed intanto
la buona madre non lasciava di educarlo e d’insegnarlo a leggere e scrivere; ed anzi il curato della vicina parroc­chia lo iniziava in quei primi rudimenti, e le mille volte la lezione finiva con un bel piatto di legumi che l’orfanello dividea colla madre.
A quindici anni Luigi era un bel giovanetto, ma ignaro di se e del suo avvenire. Già da qualche anno, tratto dal suo genio, nelle ore di ozio baloccava con della creta formandone ora un cavallo, ora un animale, or una figura, e quindi si era posto a studiare scultura sotto la direzione di un nostro valente concittadino. Però dovea pensare giornalmente come sfamar se e la sua buona madre, né l’arte intrapresa promettevagli da vicino fornirlo del bisognevole. Pensò suo malgrado adunque abbandonarla, ed ebbe un posto di scritturale presso la casa di un trafficante a pegni, val quanto dire un marcio usuraio. 
Colà passava molte ore del giorno a schiccherar cifre e poi cifre, ch’eran sangue e poi sangue di tanti poverelli. Ma era tanto e sì tenace l’istinto che chiamavalo alla scultura, che riducendosi a casa nella sera, stanco delle molte ore spese a quel noioso e crudele travaglio, ributtante per se stesso e per l’umanità, prendeva un pezzetto di legno e della creta, e modellava teste e gambe e braccia, e passava in siffatta guisa alquante ore della notte. Però questa triste continuità di noie e di dolori, di sforzi e di fatiche, questo contrasto permanente del suo cuore e della sua posizione affralirono talmente il di lui spirito che si ammalò! Pensate con che cuore la povera Genoveffa, si stava al pagliericcio del figlio! Quante lacrime dovè ella versare al pensiero della di lui perdita, e questo pensiero presentavasi più funesto all’animo di Luigi, chè avrebbe lasciata sola e senza speranza la madre! 

Benedetto Naselli: I misteri di Palermo. 
Pagine 274 - Prezzo di copertina € 21,00 - Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

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