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lunedì 11 agosto 2025

Antonio Petrucci: È il 6 agosto 1985, un martedì. Il vice questore Cassarà rientra a casa... Tratto da La pelle del serpente. Ricerche sulla mafia (1860-2006)

È il 6 agosto 1985, un martedì. Il vice questore Cassarà rientra a casa dopo sei giorni trascorsi interamente in ufficio. Prima di lasciare la Questura, ha telefonato alla moglie Laura, per avvisarla del suo arrivo, e la telefonata è stata certamente intercettata. Cassarà abita in via Croce Rossa. Lo sta aspettando un commando di nove killer, distribuito sui tre piani di una palazzina di fronte alla sua abitazione. Hanno già i kalashnikov puntati. Alle 14.55 in punto, non appena il vice questore scende dall’alfetta blindata, il commando apre il fuoco. Muoiono il vice questore Cassarà e l’agente Roberto Antiochia, che quel giorno si era offerto liberamente di accompagnarlo. Sopravvive il secondo agente, Natale Mondo, e ciò gli costerà l’accusa di avere tradito; ma tre anni dopo viene a sua volta assassinato. Perché sapeva troppo? O perché era sopravvissuto a una morte già predisposta per lui insieme a Cassarà e Antiochia?
Dopo la morte di Beppe Montana e di Ninni Cassarà, il pool degli investigatori era sostanzialmente “decapitato”. Ora si temeva per la vita dei due magistrati più esposti nella lotta alla mafia: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I due giudici furono costretti a lasciare Palermo e a rifugiarsi nell’isola di Asinara, dove portarono avanti il lavoro. (Falcone aveva con sé la moglie Francesca Morvillo, Borsellino la moglie Agnese Piraino Leto e i figli Manfredi, Fiammetta e Lucia.) 
Cessato l’allarme, tutti rientrarono a Palermo. 
L’8 novembre 1985 il pool antimafia depositava la sentenza di rinvio a giudizio contro Abbate Giovanni + altri 706. 

Antonio Petrucci: La pelle del serpente. Ricerche sulla mafia (1860-2006)
Pagine 141 - Prezzo di copertina € 15,00
Il volume è disponibile: 
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o raccomandata postale in tutta Italia).
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=la%20pelle%20del%20serpente
Disponibile su Amazon Prime e tutti gli store online. 
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte La Feltrinelli) 


martedì 29 luglio 2025

Antonio Petrucci: Poi arrivò la terribile estate del 1985... Tratto da: La pelle del serpente (Ricerche sulla mafia 1860-2006)

Poi arrivò l’estate; un’estate terribile, durante la quale furono assassinati il commissario Giuseppe Montana e il vice questore Ninni Cassarà. 
Il primo a cadere sotto i colpi dei killer è Montana. 
Domenica 28 luglio a Porticello, località balneare a est di Palermo, Montana rientra con la fidanzata da una gita in motoscafo. È in costume da bagno e perciò disarmato; ma in fondo ciò ha poca importanza: quando ti sparano e non te l’aspetti, armato o disarmato fa poca differenza. Muore Montana e muore, durante l’interrogatorio in Questura, Salvatore Marino, un giovane pescatore sospettato di avere partecipato – forse come “palo” – all’agguato. Può darsi che la morte di Marino abbia fatto precipitare gli eventi, ma è più facile credere che l’uccisione di Cassarà fosse decisa da tempo.
Occorre ricordare che già nel 1982 la squadra mobile di Palermo aveva redatto il “rapporto dei 162” (ovvero “Greco Michele + 161”) che costituiva il primo tentativo di disegnare la mappa dei clan mafiosi. Inoltre Cassarà aveva compreso che Cosa Nostra era “guidata dall’alto” e le sue azioni, apparentemente slegate, corrispondevano in realtà a una strategia unica. Montana e Cassarà facevano sul serio il loro mestiere e la mafia lo sapeva. Solo una decina di giorni separano la morte del primo da quella del secondo.


Antonio Petrucci: La pelle del serpente. Ricerche sulla mafia (1860-2006)
Pagine 141 - Prezzo di copertina € 15,00
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Antonio Petrucci: Il 29 luglio 1983 un'autobomba esplode uccidendo il giudice Rocco Chinnici... Tratto da: La pelle del serpente. Ricerche sulla mafia (1860-2006)

È il 9 luglio 1983: dall’Ufficio istruzione del Palazzo di Giustizia, a Palermo, vengono emessi quattordici mandati di cattura contro mandanti e killer dell’omicidio dalla Chiesa: tra essi Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Salvatore Greco, Nitto Santapaola, Pietro Vernengo.
La risposta della mafia non si fece attendere. Il 29 luglio un’autobomba esplose uccidendo il giudice Rocco Chinnici, capo dell’Ufficio istruzione. Chinnici era stato avvisato del pericolo che correva e aveva informato le sue guardie del corpo lasciandole libere di scegliere se continuare quel pericoloso servizio. Gli uomini di scorta non vollero lasciarlo. Morirono così con lui il maresciallo Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta. Si salvò miracolosamente un terzo carabiniere, Giovanni Paparcuri. Nell’esplosione perse la vita anche il portiere dello stabile in cui abitava il giudice, Stefano Li Sacchi. “Palermo come Beirut” titolarono i giornali.
L’attentato a Chinnici è certamente il tentativo di bloccare la battaglia dichiarata a Cosa Nostra dall’Ufficio istruzione. Ma, a sostituire Chinnici, giunge da Firenze Antonino Caponnetto, un magistrato, siciliano d’origine, che sarà guida del pool fino al così detto maxi-processo (1986).
È lo stesso Caponnetto, nel suo libro, I miei giorni a Palermo, a ricordarci il nucleo originario del pool, cioè Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta (ed è interessante il “ritratto caratterologico” dei quattro tracciato dal loro capo).
Di questi eccellenti magistrati il più noto è Giovanni Falcone. Nato a Palermo nel 1939, Falcone era entrato in Magistratura nel 1964 e si era “fatto le ossa”, come sostituto Procuratore, a Trapani. Rientrato a Palermo nel 1978, era andato a lavorare all’Ufficio istruzione diretto da Rocco Chinnici, dove lo affiancò Paolo Borsellino. Nel 1980 Chinnici affidò a Falcone il processo contro Rosario Spatola che era diventato, partendo dal nulla, uno dei maggiori costruttori della città. Da questo momento la sua storia attraversa la storia di Palermo – una città che lui ama ma che non lo ama – una città difficile, almeno in quegli anni, dove si vive bene a patto di non entrare in rotta di collisione con la mafia.

Antonio Petrucci: La pelle del serpente. Ricerche sulla mafia (1860-2006)
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venerdì 11 luglio 2025

È anche questa una delle caratteristiche di Palermo, città tutta di amore, quella di essersi messa sotto la protezione di una santa giovine e bella. E quindi santa Rosalia è a Palermo ciò che san Gennaro è a Napoli, la onnipotente dispensatrice de’ benefici del cielo; ma più di san Gennaro ella è di razza francese e reale e discende in retta linea da Carlo Magno, siccome dimostra un albero genealogico, dipinto sopra la porta esterna della cappella, albero il cui tronco esce dal petto del vincitore di Vitikind, e che, dopo di essersi diviso in più rami, si riunisce in cima per dare nascimento a Sinibaldo, padre di santa Rosalia. Ma tutta la nobiltà della sua prosapia, tutta la ricchezza della sua casa, tutta la beltà della sua persona, non cangiarono in nulla le risoluzioni della giovane principessa; lasciò ella, a diciotto anni, la corte di Ruggiero, e, trasportata alla vita contemplativa, sparve ad un tratto, né si seppe più ciò che ne fosse, se non che dopo la sua morte fu rinvenuta bella e fresca, come se ancora vivesse, nella grotta da lei abitata, e nell’attitudine stessa in che erasi addormentata del sonno casto ed innocente degli eletti.

Finalmente al corpo della santa fu sostituita una bella statua di marmo, coronata di rose, e coricata nell’attitudine stessa in cui la santa erasi addormentata, ed al luogo medesimo dove fu rinvenuta. Il capo d’opera dell’artista fu ancora arricchito da un dono reale; poiché Carlo III di Borbone vi aggiunse un abito di tessuto d’oro, stimato del valore di cinquemila scudi, una collana di diamanti e di pietre magnifiche, e, volendo accoppiare gli onori cavallereschi alle ricchezze mondane, ottenne per essa la gran croce di Malta, che pende da una catena d’oro, e la decorazione di Maria Teresa, ch’è una stella circondata di alloro, con questa leggenda: Fortitudini.

Alexandre Dumas: Pasquale Bruno. Romanzo storico siciliano (pubblicato per la prima volta a Palermo dallo Stabilimento Poligrafico Empedocle nel 1841) preceduto dal saggio storico "Storie di Banditi" di Luigi Natoli (pubblicato in tre puntate sul Giornale di Sicilia dal 14 gennaio 1930)
Pagine 129 - Prezzo di copertina € 13,50
Copertina di Niccolò Pizzorno



Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it Consegna gratuita per chi ordina da Palermo. Selezionare dal menu a tendina del carrello il codice postale 90100. Consegna a mezzo corriere o raccomandata postale in tutta Italia. Contattaci alla mail ibuonicugini@libero.it
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In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte La Feltrinelli)

Un nuovo volume si aggiunge alla Collana Fiabe e Favole: Fedro e me. Favuli.

Isbn: 9791255470489
Pagine 141
Prezzo di copertina € 15,00
Copertina e illustrazioni di Totò Mazzara 
 
Le favole sono, nella loro semplicità allegorica, fonte di saggezza, trasmettono valori morali, sociali e culturali, insegnano a distinguere tra il bene e il male, stimolano l'immaginazione e il pensiero critico, fanno riflettere sui problemi della vita creando momenti di conforto e di speranza, nel credere di aver la forza per superare tutti gli ostacoli che la vita ci mette dinanzi. 
Per tutto questo si scrivono le favole, nella fiducia che l'una o l'altra possano servire da bastone d'appoggio per l'anima, nei momenti difficili della nostra esistenza. 
 
Totò Mazzara
 
La raccolta si compone di sedici favole disposte a coppia di due: la prima di Fedro, scritta da Totò in dialetto siciliano, e la seconda di Totò.
La traduzione dal dialetto in italiano, a cura dell'editore, è stata fatta con testo a fronte e alla lettera, con una terminologia più vicina possibile allo scritto originale per facilitare la comprensione di chi legge, anche se a scapito di un italiano più corretto e adeguato. 
 
I Buoni Cugini Editori 

Il volume, in uscita dal 18 luglio, sarà disponibile: Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna in tutta Italia).
Puoi contattarci alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296.
Consegna gratuita per chi ordina da Palermo (selezionare dal menu a tendina del carrello il C.A.P. 90100). A mezzo raccomandata postale o a mezzo corriere in tutta Italia.
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In libreria e nello specifico presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte La Feltrinelli)

lunedì 7 luglio 2025

Benedetto Naselli: Il Festino. Tratto da: I misteri di Palermo. Romanzo storico siciliano.

Quando una pestifera lue nel giugno 1623, violenta, subitanea contaminava la bella Palermo, che apparve quasi incredibile come vi si andasse rapidamente moltiplicando, e tanto mutamento facea, onde gli umani aiuti prodigati con sol­lecitudine e magnanimità, mancaron d’effetto. Ma un’angioletta della prosapia dei Marsi e per essi di Carlo Magno, congiunta per consan­guineità a Costanza figlia di Ruggiero, nel pa­rentado affine all’imperatrice Costanza ed al pri­mo Guglielmo; Rosalia riportava all’eterno colle sue lacrime i pianti di quaggiù, tenera colomba che sospirando il suo compagno fuggìa dal fre­mito d’ogni umano consorzio ricercandolo nella solitudine. Essa dietro una vita di stenti volò agli amplessi beati, all’ebbrezza interminabile lasciando la fredda salma su di un’erta inacessa. Ecco l’erta sacra, ecco la statua di sua onoranza. Il suo piano ci valse nei dì del dolore il perdono dell’eterno; si terser le lacrime, la chiesa fu in ricca veste, la salma di lei rinvenuta sul ciglione rimoto, fu iride di speranze e consolazioni avvenire.
Pei borghi, per le campagne, pei trivi, e per le strettissime vie della città di Palermo, si conducevano quelle reliquie preziose; e qual nelle uste lande di Egitto spargeva tra il popolo immenso, immense le grazie l’arca del patto, così dal tepor santo di quelle ossa era scacciata la peste ingagliardita, dal tepor di quelle ossa si ebbe la salvezza fra tutti, dal tepor di quelle ossa le benedizioni sgorgarono, ed il sorriso.  
E non delle grame femine e paurosi vegliardi fu sola la credenza, la venerazione ed il culto, ma di cuori i più rotti alle sfrenatezze, delle menti trascendentali che riverenti prostraronsi ad omaggio della vergine, e che la gente minuta non solo, ma ben anco duchi e baroni disarmato il fianco e col cereo votivo, procedeva­no a ringhiere innanzi la sacra urna che contenea le reliquie della benedetta. 
A meglio perpetuarne la gioia quindi, della ricevuta beneficenza si vollero dai palermitani istituite annue solennità; si volle, e ogni anno alla cara memoria del fatto e ad eternare gli encomi, il giubilo e laudazioni, cinque dì si consacrano alla Verginella romita come in tenero tributo di amore. 
Fin da quell’anno poi, cioè dal 1626, come che avesser cambiato i costumi e le tendenze, a seconda delle diverse fisonomie del secolo pure fermo e duraturo è rimasto, e rimarrà pei tempi avvenire l’istesso culto e gli stessi trion­fi; poiché ogni secolo ha la propria fisonomia, ogni tempo ha le sue mode, i suoi costumi, le sue scene di vita; ogni epoca è sempre avida di novità buone o cattive poco monta, purché s’innovi, non si cura del vantaggio o del detri­mento; nelle società vi è sempre vaghezza di riforme, di mode, di tramutamenti negli abili, negli adorni, nei passatempi; ma le religioni che vi regnano sono indelebili, il culto che si pro­fessa è sempre intaminato, in ciò sol non s’in­nova, si è ligi ben anco nei pregiudizi, si è uni­formi anche nel modo. 
Era la gran macchina del trionfo un magni­fico carro, che già dì faceasi altissimo tanto da sprofondare il terreno, far guasti e rovine; ma di anno in anno si è venuto diminuendone la mole, accrescendone però la gaiezza dei drappi che l’adornano, meliorandone il disegno, l’idea e la maniera. Esso carro giunto a porta Nuova pose termine per quel dì alla sua missione. La folla dietro a lui dileguavasi equilibrandosi per la città insino a sera, che alle ore 24 comin­ciava a illuminarsi la via Toledo ed il Foro Bor­bonico, ove sorgea la gran macchina dei fuochi artificiali, che rappresentava un tempio sullo stile composto, negl’intramezzi del quale erano dipinti temi esclusivamente propri di glorie patriottiche, pel santo scopo, onde il popolo per vie indirette conosca la sua prisca grandezza, e perché una volta privo di avere attinto al sacro fonte della storia patria, o a delle luminose tradizioni, possa conoscere qual furono gli avi suoi, per mezzo dei simulacri e dei dipinti. 
Un popolo immenso affollato stretto sino a perderne il respiro, gremiva tutto il Foro Borbo­nico; un’onda di popolo sbucava incalzando dalle porte cittadine, e parea che la piena rovinosa volesse soverchiare il terreno; ma più che si avanzava, più correva al suo equilibrio, come l’onda marina incalzata dall’onda, si sconvolge per poco e si appiana. Da ogni altura, da ogni terrazzo era un brulicar di teste, che miste tra il buio della notte, parean fantasmi vagolanti nell’aere. Le due ore della notte si udivano battere più d’una volta successivamente dagli spessi oriuoli della città, ed era il punto che Sua Maestà Ferdinando I, di augusta ricordanza, giun­geva col treno al terrazzino di contro alla gran macchina dei fuochi. Ciò era in quei dì beati quando la Corte allietava Palermo colla sua pre­senza. Colà era tutt’altra scena e tutt’altra ga­iezza. Una tenda vaga di bei colori, rischiarata da mille profumate facelle, ove un coro di scelte dame, cavalieri e baroni, ricambiavano i loro complimenti: ah! quella era tutt’altra scena! I brillanti dei loro monili che gareggiavano col foco delle torce, i colori svariati dei loro veli, dei loro ricami e dei loro guardinfante, sem­bravan quelle dell’arcobaleno; tutto era brio e magnificenza, tutto era vago e leggiero come i loro pensieri, tutto era caro come la loro leg­giadrìa, tutto cortese, tutto alla moda, perché la moda predominava nei loro vestiti, nelle loro maniere, nei bei motti, nelle loro arrendevo­lezze. Un folgore che si lanciò per l’aere, poi uno ed un altro, annunziavano lo sparo. E allora bombe che si estollevano in alto co­me palle di fuoco, e ricadevano scoppiando a forme di pioggia d’oro e d’argento. 
Il rimbombo, lo scoppio, le fiamme, il cre­pitare, le acclamazioni, eccedeano nella fine ogni illusione – motus in fine velocior – un minuto e una bomba, poi un’altra, e tutto fu silenzio, se non che succedevano ad atomi le voci dei rivenduglioli, le imbandigioni di sementi cotte, di rinfreschi, e tutte sorta di golosità. 
La folla cominciò nuovamente a rimestarsi: uno incalzava l’altro che incalzato camminava più per la corrente impetuosa che pel proprio divisamento, andava sbucando per diverse direzioni, chi a furia di gomiti spingeasi per la Villa così detta per antonomasia, cioè Flora o Villa Giulia, talmente appellata da Giulia Guevara moglie del vicerè Colonna, che la ridusse. 
Questa Villa era tutta ingemmata di luce nei suoi alberi, nei suoi viali, nelle sue belle fontane, gremita di piante, di cupolette, vaga e ridente di poggi e di terrazze, cara e melanconica fra i cipressi e le tombe d’illustri trapassati. 
Scelte bande musicali spartite in diversi punti aggiungean prestigio a quel luogo divenuto soggiorno di Silfidi e di Driadi oretee, poiché tanto il romanticismo che la favola gareggiano a dare un nome alle vaghe pulzelle, che profumata la chioma e vestite a gala, ivan lievi rabbellendo quella scena di soavità, riducendola scuola di lusso, di amore e galanteria. E misti secoloro zerbinotti leggieri che lor facean corona, citta­dini e regnicoli coi loro visi stralunati camminavano coi loro abiti da festa, come chi porta da dosso un peso; e foresi dalle ville prossimane che a torma e colle mani tenentisi l’un l’altro andavano estatici girando come per meccanismo. E tra la folla in vaga e facil maniera biancheggiavano certi cori di garzoni e donzelle coi loro candidi scialli quest’ultime, ed in bianche giacchette i primieri, affettando un travestimento che a loro pensiere gli assicurava l’incognito, ma che più su loro attirava gli sguardi della moltitudine.



Benedetto Naselli: I misteri di Palermo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di inizi ottocento. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato unicamente nel 1852.
Pagine 276 - prezzo di copertina € 21,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 

Il volume è disponibile:
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lunedì 23 giugno 2025

Un nuovo volume si aggiunge alla Collana L'Isola a Tre Punte: La pelle del serpente. Ricerche sulla mafia (1860-2006) di Antonio Petrucci


Una storia della mafia di taglio giornalistico, veloce ed efficace. 
Una "visione d'insieme" che non dimentica nulla. Ma anche una dichiarazione d'amore per Palermo, la "città martoriata", segnata dal sangue dei suoi uomini. 
"Questa - scrive l'autore - è una storia con un numero molto alto di eroi". 

Pagine 141 - Prezzo di copertina € 15,00
Il volume è attualmente disponibile:

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Su Amazon al venditore I Buoni Cugini

A breve su tutti gli store di vendita online e in libreria. 


mercoledì 11 giugno 2025

Un nuovo volume si aggiunge alla Collana Frammenti di idee...: Oche e papere in Comunità. Animali sociali. Memorie da una esperienza educativa di Marcello Squatrito

ISBN: 9791255470564
Pagine 35
Prezzo di copertina € 10,00
Copertina e illustrazioni di Marcello Squatrito 
Dal ricavato di ogni copia verrà dedotta una quota da destinare a iniziative e ricerche per la lotta alle dipendenze patologiche. 
 
Memorie da una Esperienza educativa
 
 
Interessante è riflettere sulla inutilità di alcuni atteggiamenti dell'uomo, che rispetto agli animali, in questo caso le oche, possiede un mondo di vantaggi e opportunità sprecate o non sfruttate. 
Alle oche e alle papere non occorre “sembrare”, vogliono “essere”. Le oche “sono” e basta. 
Non comprano scarpe o vestiti, non seguono la moda, non vanno dal parrucchiere o dal dietologo. Non usano profumi, non colorano i capelli. 
Sono già belle così, pure e di un bianco candido. 
Si svegliano già belle, si bagnano e si pettinano, non pensano di dover piacere ai maschi, non è un problema legato alla loro sopravvivenza. 
Stessa cosa i maschi, anche se alcuni esemplari di uomo sono meno curati delle oche. 
Almeno OCA ONE è bello, fiero, si lava, non si lamenta e non puzza. 
Comunque la vita più semplice e più vera, qual è? 

Il libro è disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere o raccomandata postale. Consegna gratuita a Palermo).

Un nuovo volume si aggiunge alla collana Frammenti di idee...: Emozioni. L'Oasi: pensieri ed emozioni in una gabbia d'oro senza barriere di Marcello Squatrito

Isbn: 9791255470540
Pagine 64 
Prezzo di copertina euro 18,00
Illustrazioni: Opere di Marcello Squatrito 

Prefazioni:
dott. Claudio Pepi, dottore in discipline psicosociali, counselor relazionale.
dott. Giuseppe Violo, educatore e pedagogista.
fra' Domenico Spatola, frate cappuccino, dottore in Teologia con specializzazione in ecclesiologia. 
 
Dal ricavato di ogni copia verrà dedotta una quota da destinare a iniziative e ricerche per la lotta alle dipendenze patologiche.
 
Questo piccolo manoscritto lo catalogherò nella sezione “avventura”.
Parla di forza, di lotta, di coraggio, di rivincita, di bellezza, di cambiamento; parla del mio sè, del mio ero, del mio sono e del mio sarò.
Parla molto dell'anima e tanto dell'amore; parla delle nostre esistenze.
Parla di Dio.
Parla di progetti di vita, racconta la liberazione dalla schiavitù della dipendenza patologica.
Come scrivevano gli antichi filosofi greci, il segreto di ogni uomo per essere felice è riuscire a guarire le ferite della propria anima.

Marcello Squatrito

Il volume è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere o raccomandata postale. Consegna gratuita a Palermo). 
Presto in libreria e su tutti i siti online. 


sabato 24 maggio 2025

Il 24 maggio maggio 1949 moriva padre Giovanni Messina, protettore dei piccoli orfani siciliani, fondatore della Casa Lavoro e Preghiera.

Poco più tardi un mucchio di corrispondenza. E la lettera fatale. 
Lesse, rilesse; lesse ancora...
Non gli dava pace, gli toglieva il fiato quella conclusione: 
“L’Ill.mo signor Sindaco, presidente della Commissione Edilizia, ha convalidato la decisione come sopra espressa”. 
Le Suore non ricordano d’aver visto il loro Padre, piangere tanto – in tanti anni. Il volto si tinse color dei morti. Cadde in uno stato di vera impressionante angoscia. 
La Rev.da Superiora, Madre Serafina Lanza, per tranquillizzarlo si precipitò ai Lavori Pubblici per scongiurare l’esecuzione dei drastici provvedimenti. 
L’Ingegnere Direttore Boscaino non c’era. Parlò a lungo con il Sig. Girolamo Luciano, consigliere comunale, il quale aveva fatto tanto per l’acquisto del terreno arenile. Questi disse che il buon padre Messina poteva star sicuro che niente gli sarebbe capitato di male. 
Tentò anche giustificare il sindaco dicendo che era sua abitudine apporre la firma sui documenti senza prenderne visione. 
Tutte le assicurazioni non valsero a far nascere nell’animo depresso del Padre, un barlume di speranza. 
Ingoiò pochi bocconi di minestra, di mala voglia, e solo per tacitare le istanze delle buone Figlie.
Si ritirò poi, a passo lento, nella sua stanzetta, piccola più d’una cella, tenendo stretta tra le dita nervose, quella lettera e ripetendo a fior di labbra:
– Cinquant’anni di fatiche, distrutti... i miei bambini sulla strada... cinquant’anni di stenti... mio Dio, non me la fido più!...
Si chiuse a chiave, come sempre. 

Quella che doveva essere la solita mezz'oretta di siesta dovette essere agitatissima, se riapparve presto tra le Figlie a passo incerto e col volto chiazzato color paonazzo. 
La Rev.ma Superiora e Suor Bernardina, che negli ultimi anni gli stavano più da presso, allarmate insistettero perché tornasse a riposare, a star tranquillo. 
Pochi minuti dopo dei lamenti:
– Sono morto... sono morto…
– Aprite Padre... per carità aprite…
A scassinare la porta furono don Giovannino Catalano – capomastro dei lavori in corso – e il giovane Giovanni Gandolfo, affezionatissimo al Padre che l’aveva accolto nella Casa, all’età di nove anni. 
Il Padre, riverso sul letto, parea ferito a morte. Sangue veniva fuori dall’orecchio. 
Una sola ansiosa domanda sulle labbra di tutti: 
– Padre cosa avete... Padre che vi sentite...
– Niente... niente... il sindaco Cusenza ha ammazzato padre Messina!...
Furono le sole parole dette. 
Per sei giorni e sei notti fu una dura, spossante lotta tra la vita e la morte. 
Nel camerino del bagno furono trovate chiazze di sangue e i suoi occhiali. 
Quel meraviglioso campione di Dio che, per oltre cinquant’anni, avea sbalordito per quel che aveva fatto avversari e benefattori, autorità e povera gente, era stato messo a tappeto da un pezzo di carta dalla testata autorevole. Un pezzo di carta contenente il veleno che gli avea fatto scoppiare il cuore. 
Alla morte andò serenamente. Aveva fatto quanto possibile, perché il Bene fosse ben fatto. 
Coscienza pulita e retta, non aveva sentito peccare d’orgoglio quando, un anno prima di morire, aveva detto: – Ho qualche cosa da potere, un giorno, mostrare indegnamente e umilmente al Padreterno. 
Per ciò si rese degno d’aver scolpito sulla tomba l’epigrafe da lui dettata per i consacrati a Dio:  – Qui giace un amante di Gesù. 
“La morte è il momento più bello dell’uomo. Chè trova allora tutte le virtù praticate, la forza e la pace di cui si è provvisto” scrisse il pio padre Lacordaire. Ed è vero per chi vive e muore come è vissuto e morto il padre Giovanni Messina.
Per quell’ “amante di Gesù” il morire fu davvero il “cadere” nelle braccia di Dio. Se n’andò nel giorno di Maria, che pazzamente amò: il 24 maggio. 
Alle ore 16,30 se n’andò “in sul calar del sole” che dolcemente e lentamente, tingeva d’oro fino, l’orizzonte lontano, il mare attonito e commosso, il Pellegrino vigile e silente. Se n’andò prima che il sole se n’andasse per tuffarsi gioiosamente nella immensa Luce dell’infinito Amore. 
Si tacquero le labbra smorte alla preghiera umana, e le pupille vivide e lucenti lentamente s’ascosero dietro le palpebre sonnolenti e stanche. 
Allora ogni pietra della Casa ridonò alla sua lacrima cocente al Costruttore tenace e vigoroso. Nelle lacrime abbondanti delle Figlie sconsolate e nei singhiozzi incontrollati dei “dolci orfanelli” rimasti, ancora una volta senza il Padre, si lesse lo smarrimento di un vuoto che non si sarebbe più potuto colmare. 
Ogni pietra della Casa rivelò allora, i gemiti occulti del Fondatore santo nei gemiti sinceri della folla riverente, diventata un mare. 
Ogni pietra della Casa lanciò allora la sua sfida agli uomini del mondo e al tempo che s’eterna: noi non ci muoveremo mai più da qui. 



Febo della Minerva: Il pazzo che piacque a Dio. Biografia di padre Giovanni Messina.
Pagine 384 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Nike (Via Marchese Ugo 56), Libreria Macajone (Via M.se di Villabianca 102), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour).

lunedì 28 aprile 2025

Dario Cascio e "Vuci luntani" a La via dei Librai

Nei giorni de La Via dei Librai l'emozione ha raggiunto il massimo sabato 26 aprile, con Dario Cascio e "S'astutò l'uittima stidda", il racconto di "Vuci luntani" ambientato nella Palermo straziata dalle bombe della seconda guerra mondiale.
La suggestiva coreografia di Piazza Bologni piena di persone e la musica di fondo con violino di Rossella Palumbo e Gaetano Gabriele Palumbo hanno fatto da cornice a Dario, che con Vicè e le stelle ha commosso tutti. 
Il lungo applauso del pubblico, alla fine, ha commosso lui. 
Domenica 27 aprile, tra le palme di Villa Bonanno, Dario ha coinvolto il pubblico con "Ma cu eranu sti Fenici?", narrando tra storia e invenzione le origini della nostra città.
"Vuci luntani" ha raggiunto un altro bel traguardo. Grazie a Dario, per l'amore e la passione con cui porta avanti il nostro lavoro. 
Grazie al numeroso pubblico intervenuto ad entrambe le presentazioni, per tutti i complimenti ricevuti, una marcia in più nella strada di questo libro. 
Grazie agli organizzatori de La Via dei Librai, per la preziosa collaborazione. 

Vi ricordiamo che "Vuci luntani" seconda edizione è disponibile:

Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna con poste o corriere, consegna gratuita a Palermo)
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56).
Su Amazon Prime e tutti gli store online. 

E non dimenticate che Vuci luntani è anche audiolibro, disponibile su Google Play e Il Narratore. 

giovedì 10 aprile 2025

Un nuovo volume si aggiunge alla Collana Sbirri & Sbirrazzi edita I Buoni Cugini: Una buona idea, romanzo poliziesco di Peter Iann.

Pagine 149 - € 17,00

ISBN: 9791255470465
"Guarda il sole, ammira la luce riflessa sull'acqua, tra un po' arriverà il tramonto e la luce finirà, ecco, un altro giorno che muore!
Un giorno dopo l'altro, il tempo se ne va, un giorno dopo l'altro, la vita se ne va! Averti incontrato dopo più di venticinque anni non è un caso, penso sua uno scherzo voluto dal destino".
Non capivo cosa gli prendesse. Quando gli dissi che secondo me stava delirando, mi indicò infine perchè ci trovavamo lì.
Peter Iann
Il volume è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna a mezzo raccomandata postale o con corriere, consegna gratuita a Palermo).
Disponibile su tutti gli store online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro).

lunedì 27 gennaio 2025

Il 27 gennaio del 1945 io ero una di quelle disgraziate che camminava e non poteva cadere per terra. Tratto da: La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze

Settecento chilometri a piedi.
Voi pensate queste schiere di 56.000 scheletri.
Di gente che aveva perso già tutto.
Che era prigioniera da un anno come ero io o da più tempo, o qualcuno da poco.
Avviata per chilometri, per mesi, sulle strade prima polacche, poi tedesche, per sfuggire all’Armata Rossa. E i tedeschi non volevano far trovare noi.
Il 27 di gennaio del 1945, giorno della Memoria, io ero una di quelle disgraziate che camminava e che non poteva cadere per terra.
Non potevi appoggiarti a nessuno, e nessuno poteva appoggiarsi a te. 
Non si poteva cadere: chi cadeva, in quei sentieri pieni di neve, veniva finito con una fucilata alla testa dalle guardie della scorta che venivano cambiate perché si dovevano riposare.
Nessuno poteva rimanere lì, sulla neve, vivo.
Tornata in Italia, alla fine di agosto del 45, dopo qualche tempo ho cominciato a guardare la carta geografica, perché la mia ignoranza era totale, e non avevo neanche ben capito da Auschwitz   dove ci avessero portato. E quando ho visto che da lì a piedi, in varie marce, siamo arrivati (quelli che sono arrivati vivi) fino al nord della Germania, che avevamo fatto settecento chilometri, beh... una volta di più ho pensato:
«Ma come ha fatto quella Liliana lì, di quattordici anni, compiuti ad Auschwitz   da sola?»
Una gamba davanti all’altra.
Una gamba davanti all’altra, una gamba davanti all’altra, una gamba davanti all’altra...
Cammina, cammina, cammina...
Voglio vivere, voglio vivere, voglio vivere...
Ci gettavamo sui letamai, negli immondezzai, mangiavamo qualunque schifezza che avessimo trovato, gli scarti dei civili tedeschi che ci rubavamo una con l’altra, ossa rosicchiate già da un cane, sicure che il giorno dopo avremmo avuto vomito, diarrea... scheletri orribili con le bocche sporche... ma intanto lo stomaco si riempiva e il cervello comandava.
Cammina, cammina, cammina, cammina...
E allora la Marcia della Morte si trasforma in marcia per la Vita.
Voi giovani dovete sempre pensare che la vostra marcia deve esser sempre una marcia per la vita! Mai buttarla via questa vita! La vita è una cosa importantissima, è una cosa meravigliosa, è una cosa straordinaria perché anche attraverso il dolore, attraverso le esperienze più negative, ti può arrivare alla fine un bambino che ti dice: «Ma tu nonna sei il mio arcobaleno.»
Una gamba davanti all’altra... ed era faticosissimo, ed era la neve e c’eravamo noi su quelle strade dove camminammo per giorni e giorni, traversando paesini e città, i cui nomi neanche mi ricordo, dove i civili tedeschi non aprivano mai le finestre per darci un piccolo aiuto, per darci una sciarpa, per darci un pezzo di pane. Come fecero i detenuti di San Vittore.
No... erano tutte asserragliate le persone.
Nell’indifferenza.
«Ma noi non sapevamo.» 
Hanno detto dopo la guerra. Non sapevano neanche quelli che avevano le case ai bordi del lager. Loro non sapevano. 
Era meglio non sapere. 
Era meglio dire: 
«No, non sapevamo niente.» 
Era più facile. 
L’indifferenza. Lo stupore per il male altrui. 
Beh, camminavamo su quelle strade, soprattutto di notte, strade di campagna, strade secondarie, e venivano uccisi con una fucilata alla testa quelli che cadevano... 
Morti senza tomba che sono rimasti lì per la colpa di esser nati. 
Io non li guardavo, io non volevo sapere. 
Non volevo vedere quella strada con la neve rossa. Non volevo vedere quello che accadeva intorno a me. 
E camminammo, camminammo. 
Eravamo fortissimi! 
Nella nostra debolezza eravamo di una forza straordinaria, e io cerco sempre di trasmettere questa forza a voi giovani, miei nipoti ideali. Non dite che siete stanchi, non è vero. Siamo fortissimi! Ce la fate, ce la facciamo, se vogliamo. Possiamo fare tantissimo con le nostre forze. 
Io l’ho visto in quella povera disgraziata Liliana che camminava con le altre, una gamba davanti all’altra. 
E ci furono altri lager.
Tutti pensati dal male assoluto, tutti pensati con crudeltà, con cattiverie, con togliere la dignità completamente alle persone. 
Arrivammo al campo di Ravensbruck... 



La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente racconte e trascritte dalle sue testimonianze. A cura di Anna Squatrito 
Pagine 174 - Prezzo di copertina € 13,00
In copertina: Foto di Maria Luisa Lamanna
Il volume è disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia. Consegna gratuita a Palermo) 
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=la%2520civile
In ebook su tutti gli store online. 

Ma quando i russi entrarono nel campo di Auschwitz, i tedeschi erano fuggiti da giorni... Tratto da: La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze.

Da un anno ero prigioniera.
Avevo imparato a parare i colpi quando mi arrivavano. Avevo imparato a essere invisibile, anche a me stessa.
Verso la fine di gennaio del 1945, anzi diciamo verso il 20 (io le date le ho sapute dopo perché non avevamo né radio, né calendario, mai letto un giornale, vivevamo nel nulla) cominciammo a sentire rumori di aerei che passavano sopra di noi, cosa che non avevamo mai sentito prima, perché vivevamo in un mondo di solitudine assoluta e circondati dall’indifferenza del mondo.
E qui apro una parentesi.
Si è molto discusso, teologi, filosofi, liberi pensatori che hanno detto la loro sui grandi silenzi di quel tempo.
Ci fu il silenzio degli alleati che non bombardarono le ferrovie, portatrici fino all’ultimo di ebrei e oppositori ai regimi, e le tennero sane e salve perché servirono dopo, avendo fatto già un progetto del dopoguerra.
Ci fu il silenzio della Croce Rossa, a cui venne fatto vedere quello che faceva comodo ai nazisti e loro non si diedero da fare più di tanto.
Ci fu il silenzio della chiesa, sul quale ancora si parla tantissimo. Prima o poi credo che si parlerà fino in fondo del silenzio di Pio XII, anche se è verissimo che i conventi si aprirono in tutta l’Italia occupata dai tedeschi e i miei nonni materni si salvarono a Roma in un convento di suorine poverissime che non avevano da mangiare neanche per loro e divisero con una ventina di ebrei la cena tutte le sere.
Queste persone si salvarono.
Noi vivevamo in un limbo dove non sapevamo niente della guerra, ma non sapevamo neanche l’ora, il giorno, solo dalle stagioni e dai nuovi arrivi potevamo capire in che mese fossimo. E dopo un anno di questa non-vita improvvisamente capimmo che stava cambiando qualcosa.
Alcune, meno sciocche, dissero:
«Sono i russi.»
I russi... finalmente... avevano rotto il fronte dell’Est e si avvicinavano ad Auschwitz così in fretta che i nostri persecutori decisero di far saltare con la dinamite le strutture di morte: i crematori, le camere a gas, molte segreterie, molti documenti, e altri li portarono via e noi dalla fabbrica sentivamo questi scoppi e non sapevamo se fosse un bombardamento o qualche altra cosa.
Ma quando i russi, in questo famoso 27 gennaio del 1945, giorno della Memoria, entrarono nel campo di Auschwitz, i tedeschi erano fuggiti già da giorni. Quindi non lo liberarono, come si è detto dopo.
Falso storico non da poco. Quando arrivarono il 27 gennaio trovarono migliaia di corpi mischiati, i morti e i vivi, perché c’erano migliaia di cadaveri e forse duemila prigionieri, fra cui Primo Levi, che essendo gravissimamente malati non avevano potuto obbedire all’ordine di evacuazione.
I russi erano arrivati così in fretta che i tedeschi non avevano fatto in tempo a uccidere tutti i prigionieri malati ancora in vita. Primo Levi racconta dei quattro soldati a cavallo entrati una settimana dopo che i tedeschi avevano abbandonato il Campo. Erano ragazzi ignoranti, quattro soldati semplici di campagna e lui lesse nei loro occhi tutto lo stupore per il male altrui.
I prigionieri «ancora in piedi» e in vita, uomini e donne, circa 56.000 persone, di colpo, intorno al 20 di gennaio del 1945, senza aver capito che cosa stesse succedendo, furono obbligate tutte a uscire, messe in fila. E cominciò senza nessun preavviso, senza nessuna preparazione, senza nessuna provvista, senza nulla di nulla quella che giustamente si è chiamata la «Marcia della Morte.»


La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente racconte e trascritte dalle sue testimonianze. A cura di Anna Squatrito 
Pagine 174 - Prezzo di copertina € 13,00
In copertina: Foto di Maria Luisa Lamanna
Il volume è disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia. Consegna gratuita a Palermo) 
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In ebook su tutti gli store online.