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lunedì 4 novembre 2024

Annunciata Beatrice Arrigoni: La seconda battaglia del Piave e la vittoria... Tratto da: Pinocchio nuovo Maciste. Sue gesta gloriose nella guerra mondiale.

Pinocchio trovatosi libero un’altra volta, prese le carte che gli parvero più importanti, le cacciò in quella valigia miracolosa, e cercò e trovò il modo e l’ora di mandarle al nostro Comando d’Informazioni, che si trovò al corrente dei piani e dei propositi del barbaro invasore e potè prepararsi alla riscossa. Pinocchio sparì, non si sa dove...
L’alto comando austriaco era stato affidato all’arciduca Giuseppe creato homo regius dall’Imperatore per il supremo tentativo di salvare la monarchia in isfacelo. La sera del 26 ottobre 1918 poco dopo l’imbrunire, una densa nebbia autunnale, scendeva dalla montagna a svelare la bassura.
Alle 8 i pontieri della XIIa Armata mista al comando del gen. F. Graziani, dell’VIIIa armata nostra al comando del gen. Caviglia e della Xa armata mista al comando di lord Caven, iniziavano il passaggio del Piave in tre zone distinte. Alle 10 il 1° fronte di barche toccava la riva sinistra e alle 11 il 2°.
Innanzi alla mezzanotte le nostre truppe cominciavano il passaggio del fiume rapido e rabbioso, largo in media oltre 1 Km. davanti al Montello, dilagando in breve su tutta la spianata alla conca di Sernaglia.
Alle 4 le artiglierie nemiche rompevano finalmente il silenzio con tiri di sbarramento da Pederobba alla Priola sur un fronte di 20 Km. Le nostre ribattevano all’unisono, tambureggiando, investendo il fronte della 6a armata comandata dal principe di Schoenburg da Valdobbiadene a Susegana e l’ala dell’Isonzo Armè, comandata dal general Von Wurm Wenzel dalla Priola a Roncadelle. All’alba, nonostante il nubifragio, le tre armate 12a, 8a e 10a, avevano creato sulla sinistra del fiume tre solide teste di ponte con l’aiuto degli aeroplani, così che le nostre truppe irrompevano profondamente nella pianura, sfondando il duplice fronte della difesa. L’obbiettivo del Comando italiano era di puntare in direzione di Vittorio per isfondare la linea nemica nel suo tratto di maggiore sensibilità, separare le armate avversarie ed avvolgerle e con tale azione incatenare sul Grappa le numerose forze in linea e richiamarvi quelle di riserva per la strada di arroccamento Feltre, Ponte delle Alpi, Vittorio. E così fu.
Sotto l’irresistibile pressione delle armate 12a e 8a, si rompevano continuamente le linee di ferro del nemico l’8a armata si gettava sulle Prealpi, puntando alla conca di Belluno; per effetto di questo poderoso colpo le armate austriache del Piave vennero nettamente divise da quelle del Trentino e spezzate in due tronconi. La disfatta del nemico veniva effettuata dall’entrata in lotta della 3a armata italiana. La 12a armata espugnava liberamente la conca di Feltre e la stretta di Quero. La sera del 29, l’8° Corpo s’impadroniva di Susegana, il 18° di Conegliano, i lancieri di Firenze e i bersaglieri ciclisti occupavano Vittorio.
Sotto l’irresistibile pressione combinata delle tre armate di manovra, il fronte frettolosamente rinsaldato dal nemico su posizioni retrostanti, veniva di nuovo sfondato in più punti.
La sera del 31 i battaglioni “Exilles” e “Pieve di Cadore” entravano in Feltre fra l’entusiasmo della popolazione, scacciandone il nemico disorientato; il reggimento Cavalleria Padova la mattina del 1° novembre sorpassando la vetta del Grappa si slanciava verso Belluno. Tutto l’esercito dallo Stelvio al mare avanzava come una poderosa valanga, travolgendo il nemico.
Chi dirà tutta la grandiosa epopea che si svolse in quei tre giorni di tremenda battaglia? Chi numererà le armate, le divisioni, i reggimenti che si segnalarono in quella lotta? Chi le stazioni del duello mortale, gli ardimenti, le imprese? Forse la penna di un Omèro, di un Ossian, di un Milton? Verrà giorno in cui qualche poeta sorgerà a quelle grandi altezze e placherà col canto le Ombre immortali.
L’avversario non essendo più capace di ristabilire le linee spezzate, si ritirava. Si ritirava in modo tumultuario, tentando tenaci resistenze isolate, ostinandosi sui salienti montani, perdendo cannoni, materiali, prigionieri, sempre inseguito dai nostri. E i nostri soldati, passando traverso imboscate, agguati e insidie d’ogni sorta rovesciarono d’impeto tutte le resistenze e spazzarono via come un fetido accampamento di zingari tutto ciò che l’austriaco fuggendo aveva lasciato: il suo tanfo, la sua bava, il suo sudiciume, in quelle case profanate dov’erasi perpetrato un ladroneccio minuto e quotidiano, dove gli Ungheresi, i Germanici, i Turchi, i Bulgari erano entrati a rubare pane e onore col più cinico degli oltraggi con una frenesia di criminali esasperati. La disfatta nemica già delineatasi fin dal 28, decisa il 29, precipitava il 30; il 31 il suo fronte del Grappa era crollato, il 1° novembre quello dell’Altopiano e con essa si dissolse l’esercito nemico. Così a un anno di distanza, quell’esercito austriaco che seguendo le avanguardie germaniche aveva spezzato il nostro fronte, ebbe a sua volta il fronte spezzato, e ripiegava inseguito dai nostri e dalle maledizioni degli oppressi.
Le truppe italiane alle ore 15 e ¼ entravano in Trento al trotto serrato: prima gli squadroni di Alessandria, poi le “Fiamme verdi”, poi gli Alpini “Pavione”, poi i fanti della “Volturno” fra una pioggia di fiori e un delirio di applausi.
Sui monti si combatteva ancora l’ultima battaglia. Il nemico raccoglieva le sue ultime forze a resistere; erano gli ultimi tratti di una belva che muore, le ultime scintille di un grande incendio che dopo aver divampato in pianura illanguidisce e si spegne. Il nemico raccoglieva le vele.
D’un tratto fu visto Pinocchio staccarsi sull’orizzonte, correre con due bandiere e salire su di un monte in vista al nemico. Tutti stettero stupiti a guardarlo. Giunto lassù, dove nessun nemico era mai potuto salire, né alpinista, né guerriero, si fermò, con gli abissi sotto ai piedi, con la testa nel sole, come in una gran gloria d’oro. Fu visto spiegare un vessillo con una grand’aquila a due teste nel mezzo; l’odiata bandiera austriaca. Da principio fu un urlo generale dei nostri, un applauso generale dell’esercito nemico. Poi la scena cambiò. Fu visto Pinocchio lanciare con le braccia una maledizione al nemico, poi avvicinare una face alla bandiera che divampò fra un urlo generale di gioia e di imprecazioni.
Allora incominciò lo scoppiettìo della fucileria avversaria. Cessato l’incendio, il gran gigante di legno spiegò al vento un’altra bandiera assai più bella, dai tre colori simbolici; il rosso dei siculi vulcani, il bianco delle nevi alpine, il verde delle pianure lombarde; con la gran croce dei Savoia inquartata nel mezzo e scritto a grandissimi caratteri “Vittoria!” e la piantò fissa sul cucuzzolo del monte.
- Viva Foch e Diaz! – gridò Pinocchio.
Abbasso s’intonò l’inno di Garibaldi, fra un coro di voci, imponente...


Annunciata Beatrice Arrigoni: Pinocchio nuovo Maciste. Sue gesta gloriose nella guerra mondiale. 
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato nel 1920 dalla Società Tipografica Artigianelli di Pavia. Illustrato con le immagini dell'epoca. 
Pagine 124 - Prezzo di copertina € 16,00
Il volume è disponibile:
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In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60). 

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