Ora siamo nel mese di Ottobre, ci portarono a Castelfranco Veneto, un bel paese ma disabitato che era vicino il Piave, vicino Montello, si preparava una grande offensiva, si vedeva arrivare tante munizioni, il cuore ci palpitava. Un giorno Totò Calì Pezzaniura mi disse
«Domani me ne vado all’Ospedale.»
«Ma che ti prendi qualche pillola per farti venire la febbre?»
«No non l’ho.»
«Ma tu ti salvi, e io non so come mi finisce, così racconterai ai miei quando vai a casa.»
Intanto l’indomani se ne andò all’Ospedale.
Era l’ultimo di Ottobre, la sera come fece scuro ci fecero appostare davanti il Piave a sinistra di Montello, c’era ancora un vigneto con l’uva che nessuno poteva raccoglierla e cominciammo a mangiare, quei forti bombardamenti nostri e di loro, il cuore ci palpitava dicendo
«L’ultima uva che ci mangiamo e moriamo.»
La sera verso le 9 ci diedero ordine di passare il Piave con delle passerelle di tavole, che pareva che l’acqua ci portasse via. Appena passammo non tutti ancora, scoppia una granata e sentivo tanti lamenti, feriti, morti, volevo scatenarmi in mezzo ai retticolati, che mi strappai tutto, riflettori che ci facevano luce, finalmente mi scatenai, tutta la notte andare avanti, qualche pattuglia di loro si faceva sentire ma noi l’annientavamo con mitraglie.
La mattina arrivati in un paesino, non mi ricordo come si chiamava, c’era qualche famiglia lacera morta di fame. Noi zappatori il giorno coprivamo fossi di granata e la sera andare avanti tutta la notte. Il secondo giorno in un paesino vidi una bambina che pareva un palloncino. Le dissi
«Quanti anni hai?»
«Fra quattro mesi compisco 13 anni.»
E un giorno o l’altro doveva dare alla luce un bimbo o bimba
«E ti sei data agli Austriaci?»
«No, due mi tenevano e uno di sopra, io già a dodici anni ero signorina.»
C’erano ragazzine a 12 o 13 anni ma più alte e più formate ma questa era proprio piccolina.
Il giorno 3 novembre arrivammo in un paesino chiamato Follina proprio vicino Vittorio Veneto, c’era l’ospedale Austriaco ma rimase solo qualche moribondo, gli altri partirono tutti. La sera del 3 verso le sette eravamo pronti per andare avanti, si presenta un Tenente medico ma non era del nostro Reggimento, mi disse
«Di dove sei?»
«Da Palermo, paese Villafrati.»
«Io sono il dottore Calderone da Marineo.»
Che già questo è morto ora da due o tre anni, e mi disse
«Pietro Mauro è stato assieme con me.»
Veramente abbiamo provato piacere essere vicini di paese; ci abbiamo salutato e se ne andò. In questo mentre viene il nostro Tenente Bielli
«Ragazzi, se mi promettete che non parlate vi do una grande notizia.»
«Cosa c’è signor Tenente?»
«Voi lo giurate che non parlate?»
«Lo giuriamo.»
«C’è l’Armistizio!»
Che giurare e giurare, cominciammo a gridare, c’è l’Armistizio, le compagnie ma i zappatori uscirono pazzi, e sempre gridando, il Tenente
«Silenzio!»
Ma che silenzio e silenzio, noi sempre a gridare e cominciano a gridare pure le compagnie. Allora gridi, pianti della gioia, ci abbracciavamo come tanti fratelli, allora ebbimo ordine di ritornare indietro, che tutti in allegria a cantare e gridare, e buttare razzi luminosi in aria e di notte stessa si vedeva in aria fino a mare tutto illuminato, che tutti gli altri lo seppero pure.
La mattina siamo arrivati a Pieve di Soligo, un bel paesetto ma poca gente perché erano tutti scappati che c’era la guerra, noialtri ebbimo ordine di fare un palco che il nostro Generale doveva fare la parlata, ma miei compagni diversi analfabeta, volevano che gli scrivevo io alle loro famiglie.
«Cuccia mettiti a sedere e scrivi ai miei.»
E così prima scrissi a mio padre e madre, fratelli e tutti e poi a loro. La nostra gioia era grande di avere finita quella insopportabile guerra. Verso le dieci arriva un nostro caccia a bassa quota, e butta dei manifestini
«Sono il sergente tizio.»
I borghesi dicevano
«Questo sergente è di qua, eccola quella casa con quel buco di una granata è di lui, e suo padre poverino morì quando scoppiò quella granata, lui certo non sa niente.»
Verso mezzogiorno il Generale ci fece la parlata dicendo di essere orgoglioso che l’esercito Italiano ha vinto combattendo contro un forte Impero. Siamo stati in quel paese tre giorni, e poi siamo partiti, traversando Treviso, Padova, Vicenza, Verona, arrivati vicino al lago di Peschiera, un paese chiamato Pozzolengo, le strade erano tutto fango, che oggi mi dicono che è un bel paese di villeggiatura, (si capisce che la gente vanno a farsi i bagni) e tutta questa strada facendola sempre a piedi col zaino addosso, ma la strada non ci pareva che eravamo contenti, che la guerra era finita, stiedimo a traversare quelle province 12-14 giorni.
Salvatore Cuccia: Era la fine del mondo. Un soldato siciliano nella Grande Guerra.
Le memorie del soldato Salvatore Cuccia, partito per il fronte da Villafrati il 23 settembre 1916 e congedato il 10 aprile 1920. Copiate dal manoscritto, lasciato nella sua originalità.
Introduzione del nipote Salvo Cuccia, regista cinematografico.
Prefazione di Santo Lombino.
Pagine 104 - Prezzo di copertina € 10,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=era%2520la%2520fine%2520del%2520mondo
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