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giovedì 23 novembre 2023

Filippo La Torre: Fine agosto del 1951. Tratto da: La primavera della strummula

Quella mattina di fine agosto, i frutti avevano già raggiunto la grandezza di piccole mele. Mentre la mamma mi vestiva, mi ripeteva tante parole dolci e mi stringeva a sé come non aveva mai fatto.
Il mio corpo era stato cosparso di borotalco. Indossai un vestitino grigio di matapollo che lei stessa mi aveva cucito. Ai piedi avevo le scarpe di pelle lucida con le fibbiette nere regalate da nonna Paola. 
Il giorno era particolare. Le vicine di casa vennero come in processione a baciare i miei capelli. Mi accarezzavano e mi stringevano.
La signora Orsolina si presentò tenendo tra le mani un uovo bollito ancora caldo. Lo consegnò a mia madre dicendo:
«Chistu è pi Filippeddu».
Fu il regalo più gradito di quel giorno. La mamma mi mangiava con gli occhi dalla tenerezza. Non faceva che ripetere:
«Si troppu eleganti. Pari un cristianeddu giustu».
Mi sentivo a disagio. Non riuscivo a dire mezza parola. Poi, dopo avere pettinato i miei capelli con la riga di lato, continuò:
«Filippo, ora pigghiamu u filobus pi iri in un palazzu ranni. Ci sunnu tanti picciriddi e delle signore che ti vorranno bene. Facemu a prova pi una simana. Si nun ti piaci di stari cu iddi, fra setti jorna ti vegnu a pigghiari».
Io la osservavo freddo come un pupazzo di pietra. Forse avrebbe desiderato parole di conforto anche per lei ma io non potevo dargliene.
«Fai u bravu, mi raccomannu!» quasi m’implorava, e il mio cuore era così gonfio che nel petto non c’era più spazio e mi sentivo soffocare.
Prendemmo il viottolo che da casa mia portava a Pietratagliata e poi in Corso Calatafimi, la strada più larga e lunga che conoscevo, e ancora il filobus numero nove per scendere nella piazza larga, quella con la statua di un signore a cavallo. Era un cavallo grande con sopra un soldato con i baffi che teneva una mano sul fianco. Poi salimmo sopra un altro filobus, il numero uno. Dopo aver attraversato tante altre vie tutte grandi e alberate, scendemmo alla fermata di una piazza piccola con al centro la statua in marmo di un signore distinto con barba e baffi, vestito con un cappotto lungo, anch’esso di marmo. Di fronte c’era un albergo o almeno credevo che lo fosse. Ancora non sapevo leggere ma mi stampai la scritta nella memoria. All’ingresso un uomo vestito da generale con cordoncini dorati sulle spalle, camminava con la schiena curva. A destra una strada alberata. Alla fine della strada il collegio con la scritta in metallo che non luccica.
Questo memorizzai durante il mio viaggio per pianificare una fuga, ma l’angoscia era figlia della consapevolezza di una evasione impossibile.

Filippo La Torre: La primavera della strummula. Romanzo. 
Pagine 270 - Prezzo di copertina € 22,00
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