Tutti i volumi sono disponibili: dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia), su tutti gli store di vendita online e in libreria. Gli e-book sono disponibili su streetlib store e tutte le piattaforme online.

mercoledì 10 gennaio 2018

Benedetto Naselli: Le pubbliche prigioni. Tratto da: I misteri di Palermo.


Di fronte alla piazza marina a Palermo, sorge un bellissimo fabbricato di stile toscano a tre piani, vestito di stucco lucido, guar­date le finestre da verdi gelosie e adorno il ve­stibolo da uno spaziosissimo portico ricco di co­lonne, d’intagli, arabeschi, con lo stemma reale nel centro, e chiuso da una ricchissima infer­riata fusa a fantasia. Ai lati sorgono due smisu­rati candelabri dello stesso metallo, lavorìo dei nostri artigiani e delle fonderie nostre. 
Sul frontone del portico a lettere di rame dorato leggesi – Reali Finanze
Questo palazzo fu eretto nel 1578, e poi fu destinato a servire per le pubbliche prigioni, e prendea nome di Vicaria. La sua forma era quale osservasi tuttora, ma la sua figura era ben diversa. Allora non sorgeano colonne scannellate a sorreggere l’ampiezza del portico ma invece aprivasi un meschinissimo portone raccomandato a due o tre ordini di grate di ferro, e grate di ferro spesse e replicate stavano in luogo delle attuali linde e leggiere gelosie. Allora non eranvi candelabri e colonnette e intagli ed arabeschi, ma due sole fontane di marmo ad uso pubblico, e qualche lapide su cui, leggevasi il nome di Diego Enriquez de Guz­man conte di Albadelista. Al portone, alle grate succedevano il cortile e le scale quali osservansi tutt’ora se non che meno linde e luride, come più triste e più barocco era l’insieme del pa­lazzo, e parea che anco l’architettura contribuisse alla laidezza del locale, alla squallida miseria di un buon migliaretto di delinquenti ed inqui­siti e condannati di tutte le forme, di tutti i modi, di tutti i delitti. Quel fabbricato era un osceno contrasto, tra la imponenza del nostro Toledo e la meschinità e luridezza della sua forma, una anomalia topografica per dir così, un errore di scopo.
Quella sera che Pietro e Luigi furono arrestati come il lettore conosce, dopo un lungo in­terrogatorio sostenuto in presenza del capitano d’arme, in persona che per forza o per amore volea farne di quei due disgraziati i compagni di un fuor bandito come diceva, verso la mezzanotte furono condotti alla Vicaria, e posti separatamente a carcere duro, volgarmente detto fra noi camera serrata. 
Queste prigioni, o a meglio dire questa spe­cie di sepolture, erano di forma bislunga, ed alte pressoché la statura regolare di un uomo. Aveano un piccolissimo pertugio che malamente chiamavasi finestrino a discapito della nostra filo­logia e della nostra architettura, e vi si entrava da una stretta e bassissima porticina, raccoman­data a due o tre buonissimi chiavistelli e cate­nacci. Una luridissima stuoia per terra che ri­gurgitava acqua, inzuppata com’era da una so­perchiante umidità, facea le funzioni di letto, ed un accurato lavorio di ragno suppliva alla col­trice. Altri mobili non ve n’erano, che l’angu­stezza del locale nol permetteva mica.
Il lettore visiterà con noi uno a uno i nostri due sventurati amici.
Luigi quando fu spinto ivi dentro, rifinito di forze dal lungo cammino e dalle battiture che eran state spesse e dolorose, brancolò fra quella oscurità, strisciando a tentoni i piedi sul terreno, si accorse di quel poco soffice origliere e vi si accovacciò. La sua mente perdevasi in un caos di tristi e strazianti pensieri, tanto che abbandonava momentaneamente i malori del suo corpo, ed alzavasi furiosamente tutto a una volta, ma senza una idea fissa, senza una risoluzione, senza uno scopo, e poi ricadeva, e piangeva, e singhiozzava. Ripensò la sua catastrofe della sera, la beneficenza del Principe, il suo ami­co che credea averlo trascinato a quella nuova disgrazia ed inattesa, a Maddalena, ma in cima a tutte queste care e sciagurate rimembranze, stava la madre, la povera Genoveffa, di cui ne ignorava la fine. Egli la vedea disperata, abbat­tuta: agonizzante, bella però nel suo dolore e nel suo abbattimento, quanto la sublime donna ai piedi del Calvario, ma poi rincoravasi allargando il cuore alla speranza fiduciando nella sua in­nocenza, e raccomandandosi ai suoi santi pro­tettori, e poi avvilendosi novellamente e cor­rucciandosi, sonnacchiò dolorando tutta la notte.
La dimani un raggio di debolissima luce che frangevasi alle spranghe del finestrino illuminò le pareti di quella stanza. A Luigi parve più or­ribile e strana che non immaginolla nella oscurità. Il tetto era gocciolante acqua e cosparso in molti siti da ragni, e da fuligini, le murate erano ruvide e sporche, se non che in qualche punto osservavansi, quasi imbianchite e raffinate dallo strofinio di una lima, ed erano talune righe come una scrittura.
Luigi, anco nel suo dolore fu colpito a tal vista, e facendosi puntello colla mano, sinistra alzossi dalla sua positura e lesse. 
“Infelice colui che in questa terra non seppe ispirare che odio, ma infelicissimo quegli che abbisogna della pietà altrui – settembre 179..” e al fianco: “I costumi non si migliorano con una legge pe­nale, e chi tutto tende a riformare, nulla riforma – 18...” Queste, poche righe erano del­l’istessa mano e scritte a lapis e ricalcate. Più sotto, poi vidde incisi i seguenti versi, ed erano incisi e non altrimenti, e non col bulino o qualche altro strumento dell’arte, ma con un sem­plicissimo chiodo.


E tanto valse il tremito
Di un scellerato male
M’eran sì diri i palpiti,
Ch’esterrefatta, e frale 
L’alta possente e provvida,
Natura ammutolì. 
D’atra bufera al fremito 
Per se tremaro i figli,
A’ padri ansanti esanimi 
Mancarono gli ausigli,
Fu visto un tetto accogliere 
Chi visse, e chi morì.

La poesia era continuata, ma vedeasi cancel­lata e rotta dalla umidità, e del suo seguito, non leggevansi che altri due versi:

D'accatastate vittime 
Morte trionfa, e sta.

E sotto 18... Era forse la cifra del millesimo, ma non poteasi leggere il rimanente mancamento non procacciato dalla mano del tempo, o dalle gocciolature dell’acqua, ma dal pentimento forse o dal proposito dell’autore.
Luigi dopo tal lettura fu costretto per un momento abbandonare l’idea terribile della sua scon­solata posizione, scordò se stesso, e rivolò col pensiero agli autori di quelle poche righe, che egli nella sua fantasia credé essere non oscuri e volgari, ma di classe elevata ed istruita: e qui un diluvio di considerazioni morali occuparono la di lui mente...



Benedetto Naselli: I misteri di Palermo. 
Pagine 274. Prezzo di copertina € 21,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 205 se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 


Nessun commento:

Posta un commento