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lunedì 4 novembre 2024

Salvatore Cuccia: 04 novembre 1918: c'è l'Armistizio! Tratto da: Era la fine del mondo. Un soldato siciliano nella Grande Guerra.

Ora siamo nel mese di Ottobre, ci portarono a Castelfranco Veneto, un bel paese ma disabitato che era vicino il Piave, vicino Montello, si preparava una grande offensiva, si vedeva arrivare tante munizioni, il cuore ci palpitava. Un giorno Totò Calì Pezzaniura mi disse
«Domani me ne vado all’Ospedale.» 
«Ma che ti prendi qualche pillola per farti venire la febbre?» 
«No non l’ho.» 
«Ma tu ti salvi, e io non so come mi finisce, così racconterai ai miei quando vai a casa.» 
Intanto l’indomani se ne andò all’Ospedale.
Era l’ultimo di Ottobre, la sera come fece scuro ci fecero appostare davanti il Piave a sinistra di Montello, c’era ancora un vigneto con l’uva che nessuno poteva raccoglierla e cominciammo a mangiare, quei forti bombardamenti nostri e di loro, il cuore ci palpitava dicendo
«L’ultima uva che ci mangiamo e moriamo.» 
La sera verso le 9 ci diedero ordine di passare il Piave con delle passerelle di tavole, che pareva che l’acqua ci portasse via. Appena passammo non tutti ancora, scoppia una granata e sentivo tanti lamenti, feriti, morti, volevo scatenarmi in mezzo ai retticolati, che mi strappai tutto, riflettori che ci facevano luce, finalmente mi scatenai, tutta la notte andare avanti, qualche pattuglia di loro si faceva sentire ma noi l’annientavamo con mitraglie. 
La mattina arrivati in un paesino, non mi ricordo come si chiamava, c’era qualche famiglia lacera morta di fame. Noi zappatori il giorno coprivamo fossi di granata e la sera andare avanti tutta la notte. Il secondo giorno in un paesino vidi una bambina che pareva un palloncino. Le dissi
«Quanti anni hai?» 
«Fra quattro mesi compisco 13 anni.» 
E un giorno o l’altro doveva dare alla luce un bimbo o bimba
«E ti sei data agli Austriaci?» 
«No, due mi tenevano e uno di sopra, io già a dodici anni ero signorina.» 
C’erano ragazzine a 12 o 13 anni ma più alte e più formate ma questa era proprio piccolina. 
Il giorno 3 novembre arrivammo in un paesino chiamato Follina proprio vicino Vittorio Veneto, c’era l’ospedale Austriaco ma rimase solo qualche moribondo, gli altri partirono tutti. La sera del 3 verso le sette eravamo pronti per andare avanti, si presenta un Tenente medico ma non era del nostro Reggimento, mi disse
«Di dove sei?» 
«Da Palermo, paese Villafrati.» 
«Io sono il dottore Calderone da Marineo.» 
Che già questo è morto ora da due o tre anni, e mi disse
«Pietro Mauro è stato assieme con me.» 
Veramente abbiamo provato piacere essere vicini di paese; ci abbiamo salutato e se ne andò. In questo mentre viene il nostro Tenente Bielli 
«Ragazzi, se mi promettete che non parlate vi do una grande notizia.» 
«Cosa c’è signor Tenente?» 
«Voi lo giurate che non parlate?» 
«Lo giuriamo.» 
«C’è l’Armistizio!» 
Che giurare e giurare, cominciammo a gridare, c’è l’Armistizio, le compagnie ma i zappatori uscirono pazzi, e sempre gridando, il Tenente
«Silenzio!» 
Ma che silenzio e silenzio, noi sempre a gridare e cominciano a gridare pure le compagnie. Allora gridi, pianti della gioia, ci abbracciavamo come tanti fratelli, allora ebbimo ordine di ritornare indietro, che tutti in allegria a cantare e gridare, e buttare razzi luminosi in aria e di notte stessa si vedeva in aria fino a mare tutto illuminato, che tutti gli altri lo seppero pure. 
La mattina siamo arrivati a Pieve di Soligo, un bel paesetto ma poca gente perché erano tutti scappati che c’era la guerra, noialtri ebbimo ordine di fare un palco che il nostro Generale doveva fare la parlata, ma miei compagni diversi analfabeta, volevano che gli scrivevo io alle loro famiglie. 
«Cuccia mettiti a sedere e scrivi ai miei.» 
E così prima scrissi a mio padre e madre, fratelli e tutti e poi a loro. La nostra gioia era grande di avere finita quella insopportabile guerra. Verso le dieci arriva un nostro caccia a bassa quota, e butta dei manifestini
«Sono il sergente tizio.» 
I borghesi dicevano 
«Questo sergente è di qua, eccola quella casa con quel buco di una granata è di lui, e suo padre poverino morì quando scoppiò quella granata, lui certo non sa niente.» 
Verso mezzogiorno il Generale ci fece la parlata dicendo di essere orgoglioso che l’esercito Italiano ha vinto combattendo contro un forte Impero. Siamo stati in quel paese tre giorni, e poi siamo partiti, traversando Treviso, Padova, Vicenza, Verona, arrivati vicino al lago di Peschiera, un paese chiamato Pozzolengo, le strade erano tutto fango, che oggi mi dicono che è un bel paese di villeggiatura, (si capisce che la gente vanno a farsi i bagni) e tutta questa strada facendola sempre a piedi col zaino addosso, ma la strada non ci pareva che eravamo contenti, che la guerra era finita, stiedimo a traversare quelle province 12-14 giorni.



Salvatore Cuccia: Era la fine del mondo. Un soldato siciliano nella Grande Guerra.
Le memorie del soldato Salvatore Cuccia, partito per il fronte da Villafrati il 23 settembre 1916 e congedato il 10 aprile 1920. Copiate dal manoscritto, lasciato nella sua originalità. 
Introduzione del nipote Salvo Cuccia, regista cinematografico.
Prefazione di Santo Lombino.
Pagine 104 - Prezzo di copertina € 10,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=era%2520la%2520fine%2520del%2520mondo
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria.

Annunciata Beatrice Arrigoni: La seconda battaglia del Piave e la vittoria... Tratto da: Pinocchio nuovo Maciste. Sue gesta gloriose nella guerra mondiale.

Pinocchio trovatosi libero un’altra volta, prese le carte che gli parvero più importanti, le cacciò in quella valigia miracolosa, e cercò e trovò il modo e l’ora di mandarle al nostro Comando d’Informazioni, che si trovò al corrente dei piani e dei propositi del barbaro invasore e potè prepararsi alla riscossa. Pinocchio sparì, non si sa dove...
L’alto comando austriaco era stato affidato all’arciduca Giuseppe creato homo regius dall’Imperatore per il supremo tentativo di salvare la monarchia in isfacelo. La sera del 26 ottobre 1918 poco dopo l’imbrunire, una densa nebbia autunnale, scendeva dalla montagna a svelare la bassura.
Alle 8 i pontieri della XIIa Armata mista al comando del gen. F. Graziani, dell’VIIIa armata nostra al comando del gen. Caviglia e della Xa armata mista al comando di lord Caven, iniziavano il passaggio del Piave in tre zone distinte. Alle 10 il 1° fronte di barche toccava la riva sinistra e alle 11 il 2°.
Innanzi alla mezzanotte le nostre truppe cominciavano il passaggio del fiume rapido e rabbioso, largo in media oltre 1 Km. davanti al Montello, dilagando in breve su tutta la spianata alla conca di Sernaglia.
Alle 4 le artiglierie nemiche rompevano finalmente il silenzio con tiri di sbarramento da Pederobba alla Priola sur un fronte di 20 Km. Le nostre ribattevano all’unisono, tambureggiando, investendo il fronte della 6a armata comandata dal principe di Schoenburg da Valdobbiadene a Susegana e l’ala dell’Isonzo Armè, comandata dal general Von Wurm Wenzel dalla Priola a Roncadelle. All’alba, nonostante il nubifragio, le tre armate 12a, 8a e 10a, avevano creato sulla sinistra del fiume tre solide teste di ponte con l’aiuto degli aeroplani, così che le nostre truppe irrompevano profondamente nella pianura, sfondando il duplice fronte della difesa. L’obbiettivo del Comando italiano era di puntare in direzione di Vittorio per isfondare la linea nemica nel suo tratto di maggiore sensibilità, separare le armate avversarie ed avvolgerle e con tale azione incatenare sul Grappa le numerose forze in linea e richiamarvi quelle di riserva per la strada di arroccamento Feltre, Ponte delle Alpi, Vittorio. E così fu.
Sotto l’irresistibile pressione delle armate 12a e 8a, si rompevano continuamente le linee di ferro del nemico l’8a armata si gettava sulle Prealpi, puntando alla conca di Belluno; per effetto di questo poderoso colpo le armate austriache del Piave vennero nettamente divise da quelle del Trentino e spezzate in due tronconi. La disfatta del nemico veniva effettuata dall’entrata in lotta della 3a armata italiana. La 12a armata espugnava liberamente la conca di Feltre e la stretta di Quero. La sera del 29, l’8° Corpo s’impadroniva di Susegana, il 18° di Conegliano, i lancieri di Firenze e i bersaglieri ciclisti occupavano Vittorio.
Sotto l’irresistibile pressione combinata delle tre armate di manovra, il fronte frettolosamente rinsaldato dal nemico su posizioni retrostanti, veniva di nuovo sfondato in più punti.
La sera del 31 i battaglioni “Exilles” e “Pieve di Cadore” entravano in Feltre fra l’entusiasmo della popolazione, scacciandone il nemico disorientato; il reggimento Cavalleria Padova la mattina del 1° novembre sorpassando la vetta del Grappa si slanciava verso Belluno. Tutto l’esercito dallo Stelvio al mare avanzava come una poderosa valanga, travolgendo il nemico.
Chi dirà tutta la grandiosa epopea che si svolse in quei tre giorni di tremenda battaglia? Chi numererà le armate, le divisioni, i reggimenti che si segnalarono in quella lotta? Chi le stazioni del duello mortale, gli ardimenti, le imprese? Forse la penna di un Omèro, di un Ossian, di un Milton? Verrà giorno in cui qualche poeta sorgerà a quelle grandi altezze e placherà col canto le Ombre immortali.
L’avversario non essendo più capace di ristabilire le linee spezzate, si ritirava. Si ritirava in modo tumultuario, tentando tenaci resistenze isolate, ostinandosi sui salienti montani, perdendo cannoni, materiali, prigionieri, sempre inseguito dai nostri. E i nostri soldati, passando traverso imboscate, agguati e insidie d’ogni sorta rovesciarono d’impeto tutte le resistenze e spazzarono via come un fetido accampamento di zingari tutto ciò che l’austriaco fuggendo aveva lasciato: il suo tanfo, la sua bava, il suo sudiciume, in quelle case profanate dov’erasi perpetrato un ladroneccio minuto e quotidiano, dove gli Ungheresi, i Germanici, i Turchi, i Bulgari erano entrati a rubare pane e onore col più cinico degli oltraggi con una frenesia di criminali esasperati. La disfatta nemica già delineatasi fin dal 28, decisa il 29, precipitava il 30; il 31 il suo fronte del Grappa era crollato, il 1° novembre quello dell’Altopiano e con essa si dissolse l’esercito nemico. Così a un anno di distanza, quell’esercito austriaco che seguendo le avanguardie germaniche aveva spezzato il nostro fronte, ebbe a sua volta il fronte spezzato, e ripiegava inseguito dai nostri e dalle maledizioni degli oppressi.
Le truppe italiane alle ore 15 e ¼ entravano in Trento al trotto serrato: prima gli squadroni di Alessandria, poi le “Fiamme verdi”, poi gli Alpini “Pavione”, poi i fanti della “Volturno” fra una pioggia di fiori e un delirio di applausi.
Sui monti si combatteva ancora l’ultima battaglia. Il nemico raccoglieva le sue ultime forze a resistere; erano gli ultimi tratti di una belva che muore, le ultime scintille di un grande incendio che dopo aver divampato in pianura illanguidisce e si spegne. Il nemico raccoglieva le vele.
D’un tratto fu visto Pinocchio staccarsi sull’orizzonte, correre con due bandiere e salire su di un monte in vista al nemico. Tutti stettero stupiti a guardarlo. Giunto lassù, dove nessun nemico era mai potuto salire, né alpinista, né guerriero, si fermò, con gli abissi sotto ai piedi, con la testa nel sole, come in una gran gloria d’oro. Fu visto spiegare un vessillo con una grand’aquila a due teste nel mezzo; l’odiata bandiera austriaca. Da principio fu un urlo generale dei nostri, un applauso generale dell’esercito nemico. Poi la scena cambiò. Fu visto Pinocchio lanciare con le braccia una maledizione al nemico, poi avvicinare una face alla bandiera che divampò fra un urlo generale di gioia e di imprecazioni.
Allora incominciò lo scoppiettìo della fucileria avversaria. Cessato l’incendio, il gran gigante di legno spiegò al vento un’altra bandiera assai più bella, dai tre colori simbolici; il rosso dei siculi vulcani, il bianco delle nevi alpine, il verde delle pianure lombarde; con la gran croce dei Savoia inquartata nel mezzo e scritto a grandissimi caratteri “Vittoria!” e la piantò fissa sul cucuzzolo del monte.
- Viva Foch e Diaz! – gridò Pinocchio.
Abbasso s’intonò l’inno di Garibaldi, fra un coro di voci, imponente...


Annunciata Beatrice Arrigoni: Pinocchio nuovo Maciste. Sue gesta gloriose nella guerra mondiale. 
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato nel 1920 dalla Società Tipografica Artigianelli di Pavia. Illustrato con le immagini dell'epoca. 
Pagine 124 - Prezzo di copertina € 16,00
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime e al venditore I Buoni Cugini, Ibs e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60). 

venerdì 18 ottobre 2024

Annunciata Beatrice Arrigoni: Pinocchio è cresciuto un giovinetto ammodo, e parte pel fronte... Tratto da Pinocchio nuovo Maciste. Sue gesta gloriose nella guerra mondiale

Il Collodi finisce il suo libro cambiando il Pinocchio di legno in un bel ragazzetto. Il nuovo libro o libretto che sia, piglia le mosse da questo punto. Pinocchio è cresciuto un giovinetto ammodo, e va soldato. 
In quartiere commette qualche marachella adatta all’indole sua, ma è sempre un fior di galantuomo. Dovendo partire pel fronte, vien mandato in breve licenza e trova nel portamonete d’avorio che la fata dai capelli turchini gli aveva lasciato, un biglietto che gli insegna il modo di tornare di legno per rendersi invulnerabile. Immaginarsi quante prodezze! I reticolati non gli daranno scariche fulminanti, la neve non gli congelerà i piedi, le schioppettate gli faranno qualche piccolo guasto che sarà subito aggiustato con chiodi e martello. Adibito ai servigi più disperati farà cose incredibili. Sono avventure rocambolesche. Prende parte a tutti i combattimenti. Così alla storia va unita la leggenda, all’istruzione il diletto. Corre ai reticolati e le sentinelle credendosi inseguite da un morto resuscitato, volgono in fuga precipitosa. Posto di vedetta, su di un monte, è incalzato dalla neve; un Kaiserjäger lo colpisce al fianco con una palla, egli cade e rotola giù pel monte e giunge a valle in valanga e seppellisce il nemico raccolto a simpòsio dentro una caverna; preso dal nemico in una tagliola di lupo, corre pericolo d’esser bruciato, ma si libera legandosi alla coda di un aeroplano che impegna battaglia. Prende parte alla conquista di Gorizia; in autunno cala negli stagni, e in un modo bizzarro si dà alla caccia delle anitre per la mensa dei suoi ufficiali. 
Creatura fra l’uomo e il regno vegetale, capisce il linguaggio degli animali, e trovandosi di guardia alla scuderia, sorprende il dialogo di due cavalli tedeschi; durante una notte di tempesta, sconquassa gli armamenti del campo nemico. È anch’esso con le brigate gloriose che dànno la scalata al Monte Santo; alla presa di Caporetto fa la parte di Laocoonte, cercando sventare il tradimento, ma è travolto dall’onda incalzante e, fatto prigioniero, viene mandato alla corte del Kaiser come opera d’arte insieme col bottino di guerra. Approfitta della notte dei morti per spaventare l’imperatore nelle sue stanze, poi trova la fuga cavalcioni ad un’aquila. 
Il racconto tien dietro fedelmente alla cronaca dei giornali. Perciò, quando l’imperatore Carlo cade in un fiume tributario dell’Isonzo, è lui che ha spaventato lo chaffeur, indi si salva a nuoto giù pel fiume, e passando per l’Adriatico, raggiunge i nostri al Piave. Salito su di un monte inaccessibile, si apparta in Italia dalla schiera dei combattenti e si fabbrica un meraviglioso aeroplano dalle cento eliche, col quale vola ad affrontare il ciclone del 12 dicembre sul Veneto, poi visita con Gelindo, la notte di Natale, Gerusalemme, presa dal Generale Allemby e al ritorno si sostituisce sulla forca ad una povera donna per salvarla, e salva anche sé. Incontratosi un giorno in un personaggio strano, apprende come siano stati mobilitati perfino i seleniti e fatti sbarcare dalla luna sulla terra per combattere coi tedeschi. Va fino al campo di Mauthausen nella gran cassa di un capo tamburo austriaco e torna pei due rami a Y di un vulcano spento. Con la ferrovia transiberiana imprende poi il viaggio fino al Giappone, dove riceve onori trionfali e ne ritorna carico d’oro per il 5° prestito nazionale. I tedeschi hanno inventato il cannonissimo col quale bombardarono Parigi ed egli va a punire gli artiglieri dopo essersi salvato in un modo assai bizzarro la prima volta, in un modo ancor più bizzarro la seconda. Fa un viaggio all’inferno e vi trova tutti i dannati di guerra e torna in vicinanza al Grappa su di un drago alato per virtù della sua fata. Assiste alla prima battaglia del Piave. Chiuso tra i nemici sulla sponda sinistra del Piave, se ne libera dando libertà alle fiere di un circo, poi col mezzo d’una valigia di calabroni toglie allo Stato Maggiore nemico i piani di guerra che fa pervenire al nostro Comando. Assiste alla seconda battaglia del Piave. 

Il racconto, come si vede, è fantastico e le azioni che compie Pinocchio sono tutte compatibili colla sua natura e in conformità degli avvenimenti. Il libro, che è palpitante di attualità, piacerà non solo ai piccoli, ma anche ai grandi. Sono 29 capitoli; 29 racconti cui va intessuta la storia, la geografia, l’umorismo. 
Una cosa di notevole: Pinocchio, il mio Pinocchio, non è più un ragazzo, il solito ragazzo descritto fin qui dagli altri valenti Autori; è un uomo serio. Sui ventiquattro anni o giù di lì, alto, dal naso alquanto lungo, tonso completamente poiché di legno, e robustissimo. E comincio senz’altro la mia storia. 


Annunciata Beatrice Arrigoni: Pinocchio nuovo Maciste. Sue gesta gloriose nella guerra mondiale.
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato nel 1920 dalla Società Tipografica Artigianelli di Pavia. Illustrato con le immagini dell'epoca. 
Pagine 124 - Prezzo di copertina € 16,00
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime e al venditore I Buoni Cugini, Ibs e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60). 

mercoledì 9 ottobre 2024

Dal 1871 ritorna ai lettori "Gabriele Lambert" novella di Alexandre Dumas. Collana Gli introvabili edita I Buoni Cugini

 
Isbn: 979-1255470458
Pagine 160
Prezzo di copertina € 
 
Pubblicata per l'ultima volta in Italia nel 1871, rivive oggi in queste pagine Gabriele Lambert, la novella di Alexandre Dumas oramai dimenticata dai lettori italiani, in una fedele trascrizione riprodotta senza alterare il linguaggio dell'epoca.
 
"Era un uomo di ventotto a trent’anni. All’opposto de’ suoi colleghi, sulle faccie arcigne de’ quali era facile ravvisar le passioni che li avevano trascinati in tanta bassezza, esso aveva uno di que’ volti senza fisonomia di cui, ad una certa distanza, non si distingueva le forme.
La barba, che s’era lasciata crescere dappertutto, ma che era rara e di colore sbiadato, non dava, a quel suo aspetto nessun carattere.
I suoi occhi, d’un grigio smorto, erravano vagamente da un oggetto ad un altro, senza essere animati da nessuna espressione; i suoi membri eran gracili, e pareva che la natura non li avesse destinati agli esercizj della fatica; tutto insomma il suo fisico si mostrava in opposizione agli attributi dell’energia.
Finalmente, dei sette peccati che fanno proseliti in questo mondo in nome del gran nemico del genere umano, quello, sotto del quale egli s’era arruolato, doveva essere evidentemente l’accidia.
Io avrei dunque ben presto distratto il mio sguardo da codest’uomo, il quale, d’altronde, non poteva offrirmi per argomento di studio senonchè un facinoroso di second’ordine, se una confusa reminiscenza non mi avesse fatto pensare, che certo lo aveva veduto altre volte.
Per mala sorte, era questa una di quelle fisionomie nelle quali non trovasi cosa che faccia colpo, e che se non vi sono ragioni particolari, non producono, in chi la vede così alla sfuggita, nessuna impressione.
Quantunque fossi convinto di aver altre volte incontrato quell’uomo, lo che d’altronde mi venìa confermato dalla sua perseveranza a sfuggire il mio sguardo, m’era non ostante impossibile il ricordarmi del come e del dove.
Avvicinatomi al guarda-ciurma gli chiesi il nome di quello tra i miei convitati, che faceva sì poco onore al mio trattamento.
Si chiamava Gabriele Lambert…"

Alexandre Dumas

Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime e tutti gli store di vendita online. 

Dal 1920 ritorna "Pinocchio nuovo Maciste. Sue gesta gloriose nella guerra mondiale" di Annunciata Beatrice Arrigoni. Collana Gli Introvabili edita I Buoni Cugini

Isbn:
 979-1255470472 
Pagine 124
 
Nel 1920, la Società Tipografica Artigianelli di Pavia pubblica il romanzo Pinocchio nuovo Maciste di Annunciata Beatrice Arrigoni, di cui non si sa nulla, illustrato con pregevoli tavole da un disegnatore, anch’esso sconosciuto, che si firma con una sigla dai più interpretata come F Ne. Il romanzo, mai più ripubblicato fino ad oggi di tutte le pinocchiate, ossia di quei testi che in modi e in forme diversi fanno rivivere il famoso burattino di Pinocchio, è davvero meritevole di attenzione per il suo divertente scopo istruttivo tra fantasia e storia.
 
Il Collodi finisce il suo libro cambiando il Pinocchio di legno in un bel ragazzetto. Il nuovo libro o libretto che sia, piglia le mosse da questo punto. Pinocchio è cresciuto un giovinetto ammodo, e va soldato. Dovendo partire pel fronte, vien mandato in breve licenza e trova nel portamonete d’avorio, che la Fata dai capelli turchini gli aveva lasciato, un biglietto che gli insegna il modo di tornare di legno per rendersi invulnerabile. Immaginarsi quante prodezze! I reticolati non gli daranno scariche fulminanti, la neve non gli congelerà i piedi, le schioppettate gli faranno qualche piccolo guasto che sarà subito aggiustato con chiodi e martello. Adibito ai servigi più disperati farà cose incredibili. Sono avventure rocambolesche. Prende parte a tutti i combattimenti. Così alla storia va unita la leggenda, all’istruzione il diletto. Il racconto tien dietro fedelmente alla cronaca dei giornali e come si vede, è fantastico e le azioni che compie Pinocchio sono tutte compatibili colla sua natura e in conformità degli avvenimenti. Il libro, che è palpitante di attualità, piacerà non solo ai piccoli, ma anche ai grandi. Sono 29 capitoli; 29 racconti cui va intessuta la storia, la geografia, l’umorismo. Si obbietterà: e lo stritolamento dei mortali? E il peso della catena? E i materiali?... È un libro di aneddoti piccanti per rendere più gustosa la storia. Del resto, quali cose più inverosimili non furono scritte dallo Swift, dal Pöe, dal Barone di Monchausen e da tanti altri? tollerate anche tutte queste fantasie: in fine si tratta di un continuo scherzo per mettere in burla la potenza smargiassona tedesca. 

Annunciata Beatrice Arrigoni

Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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lunedì 16 settembre 2024

Un nuovo volume si aggiunge alla Collana Gli Introvabili edita I Buoni Cugini: Gabriele Lambert, di Alexandre Dumas

Pubblicata per l’ultima volta in Italia nel 1871, rivive oggi in queste pagine Gabriele Lambert, la novella di Alexandre Dumas oramai dimenticata dai lettori italiani, in una fedele trascrizione riproposta senza alterare il linguaggio dell’epoca.

"Era un uomo di ventotto a trent’anni. All’opposto de’ suoi colleghi, sulle faccie arcigne de’ quali era facile ravvisar le passioni che li avevano trascinati in tanta bassezza, esso aveva uno di que’ volti senza fisonomia di cui, ad una certa distanza, non si distingueva le forme. 
La barba, che s’era lasciata crescere dappertutto, ma che era rara e di colore sbiadato, non dava, a quel suo aspetto nessun carattere. I suoi occhi, d’un grigio smorto, erravano vagamente da un oggetto ad un altro, senza essere animati da nessuna espressione; i suoi membri eran gracili, e pareva che la natura non li avesse destinati agli esercizj della fatica; tutto insomma il suo fisico si mostrava in opposizione agli attributi dell’energia. Finalmente, dei sette peccati che fanno proseliti in questo mondo in nome del gran nemico del genere umano, quello, sotto del quale egli s’era arruolato, doveva essere evidentemente l’accidia. Io avrei dunque ben presto distratto il mio sguardo da codest’uomo, il quale, d’altronde, non poteva offrirmi per argomento di studio senonchè un facinoroso di second’ordine, se una confusa reminiscenza non mi avesse fatto pensare, che certo lo aveva veduto altre volte. Per mala sorte, era questa una di quelle fisionomie nelle quali non trovasi cosa che faccia colpo, e che se non vi sono ragioni particolari, non producono, in chi la vede così alla sfuggita, nessuna impressione. Quantunque fossi convinto di aver altre volte incontrato quell’uomo, lo che d’altronde mi venìa confermato dalla sua perseveranza a sfuggire il mio sguardo, m’era non ostante impossibile il ricordarmi del come e del dove. Avvicinatomi al guarda-ciurma gli chiesi il nome di quello tra i miei convitati, che faceva sì poco onore al mio trattamento. Si chiamava Gabriele Lambert".

Alexandre Dumas: Gabriele Lambert. Novella
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato nel 1846 da Scotti e Borroni (Milano).
Copertina originale dell'antica edizione.
Pagine 156 - Prezzo di copertina € 15,00
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime, Feltrinelli, Ibs e tutti gli store di vendita online. 
In libreria al momento presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro)

venerdì 13 settembre 2024

Santo Lombino, Giuseppe Spallino: Non esiste, forse, personaggio della storia contemporanea che ha accumulato un’aggettivazione ideologica più ricca e così molteplice... Tratto da: Carlo Pisacane. Il realismo utopistico di un rivoluzionario.

 
“Singolare destino, quello di Pisacane. Non esiste, forse, personaggio della storia contemporanea che ha accumulato un’aggettivazione ideologica più ricca e così molteplice. Si pensi – e solo per esemplificare – alle definizioni con le quali di volta in volta è stato collocato: anarchico, federalista, collettivista, libertario socialista democratico, repubblicano, sindacalista rivoluzionario, militarista, mazziniano, ammiratore di Cattaneo, nazionalista, materialista, patriota, romantico, volontarista, populista, idealista, comunista, spiritualista. [...] Ancor più di Garibaldi, certamente, e anche di Mazzini, egli – proprio per la sua natura di vinto – è stato costantemente oggetto di contesa storiografica”. 
Così affermava lo storico Luciano Russi all’interno di una delle più ricche e lucide ricostruzioni della vita dell’autore dei Saggi, della sfortunata impresa per cui divenne famoso, delle sue opere, delle rivendicazioni e delle “annessioni” del suo pensiero e della sua concezione politica. 
Questo lavoro vuole seguire il persistente interesse presso la storiografia contemporanea per il pensiero del rivoluzionario napoletano, il permanere cioè di un “problema Pisacane” che, come ogni altro nodo che riguardi qualcosa di vitale, rimane aperto a nuove ricerche e nuovi punti di vista.
Mentre novant’anni fa Nello Rosselli, a conclusione della sua biografia, giudicava “estremamente misera” la letteratura sull’autore della Guerra combattuta, oggi possiamo dire che gli studi, da diverse prospettive, hanno raggiunto una vastità ed una profondità che è dato riscontrare per pochi altri rappresentanti del nostro Risorgimento.
La persistenza dell’interesse di tanti studiosi per l’ex ufficiale della Nunziatella deriva dall’originalità delle sue tesi e dal carattere di attualità che alcune questioni da lui affrontate conservano, per tutto l’arco del secolo e mezzo trascorso dalla sua morte, nella storia e nel dibattito sull’unificazione nazionale e sul movimento operaio e democratico italiano. 

Santo Lombino, Giusepppe Spallino: Carlo Pisacane. Il realismo utopistico di un rivoluzionario. 
Pagine 120 - Prezzo di copertina € 18,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli e tutti gli store di vendita online.
In libreria al momento presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro)

Santo Lombino, Giuseppe Spallino: Scopi ultimi della rivoluzione dovevano essere l'abolizione della proprietà privata, dei mezzi di produzione e del principio di autorità... Tratto da: Carlo Pisacane. Il realismo utopistico di un rivoluzionario

 
N
el marzo 1849 Pisacane raggiunse Roma, dove era stata proclamata la Repubblica; nominato capo di Stato Maggiore, durante la difesa della città ebbe dei contrasti con Giuseppe Garibaldi, poco incline a sottostare alla rigida organizzazione che l’ex ufficiale della Nunziatella cercava di trasmettere all’esercito repubblicano. 
Tali contrasti e la critica a Carlo Alberto, accusato di volersi sostituire all’Austria come baluardo della conservazione, furono documentati nel volume La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, pubblicato a Genova nel 1851; nella stessa opera Pisacane prese le distanze dalle idee di Giuseppe Mazzini, criticato in quanto fautore di un semplice mutamento nella forma del governo: non prospettando alcun miglioramento nelle condizioni di vita dei ceti popolari, tale cambiamento era ritenuto da Pisacane insufficiente a suscitare l’interesse delle masse alla rivoluzione nazionale. 
Sempre a Genova Pisacane attese ai Saggi storici-politici-militari sull’Italia (4 voll., post., 1858-60), in cui riaffermò il primato della questione sociale su quella politica: scopi ultimi della rivoluzione dovevano essere l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e del principio di autorità, essendo la sovranità un diritto di natura inalienabile e non delegabile, che risiede nell’intera nazione; solo il socialismo, cioè una completa riforma dell’ordine sociale, avrebbe spinto il popolo alla battaglia, offrendogli la speranza di un futuro migliore. 
Pur restando fedele alle proprie convinzioni socialiste e rimanendo critico nei confronti delle idee di Mazzini, Pisacane nel 1855 si riavvicinò a quest’ultimo. I due studiarono un’azione rivoluzionaria nel Mezzogiorno che, collegata all’attività cospirativa del comitato napoletano di Giuseppe Fanelli, ex combattente per la Repubblica Romana, scongiurasse la soluzione moderata e monarchica della questione italiana perseguita dal Piemonte. Un primo tentativo di raggiungere le coste del napoletano fallì perché Pisacane, che doveva impadronirsi con alcuni compagni del vapore Cagliari, per una tempesta non poté ricevere il carico di armi che Rosolino Pilo gli avrebbe dovuto consegnare in mare il 9 giugno 1857. Recatosi a Napoli per avvertire del contrattempo il comitato, nonostante le perplessità espresse da Fanelli, Pisacane rientrò a Genova deciso a ritentare l’azione e il 25 giugno con una ventina di uomini s’impossessò del Cagliari. Anche questa volta Pisacane non poté ricevere le armi da Pilo, le cui barche, a causa della nebbia, non riuscirono a incontrare il vapore, ma proseguì ugualmente facendo rotta su Ponza. Conquistato il castello e liberati i prigionieri ivi reclusi, con circa trecento di essi Pisacane sbarcò a Sapri il 28 giugno. Non avendo trovato traccia della sperata insurrezione, cui avrebbe dovuto lavorare il comitato napoletano, Pisacane e i suoi cercarono invano di far sollevare le popolazioni di Torraca e Casalnuovo il 30 giugno. Circondati e decimati dai soldati borbonici nei pressi di Padula, si aprirono un varco verso Buonabitacolo, quindi verso Sanza, dove furono attaccati dai contadini, chiamati a raccolta dal parroco il 2 luglio. Pisacane, ferito in combattimento, si uccise.
Sull’onda dell’emozione per la morte di Pisacane e dei suoi compagni, venne scritta la poesia La spigolatrice di Sapri di Luigi Mercantini, celebre per il ritornello “Eran trecento, eran giovani e forti,/e sono morti!”. Composta alla fine del 1857, essa narra la sfortunata spedizione nel Regno delle Due Sicilie con il massacro che ne seguì, vista dagli occhi di una giovane contadina di Sapri. Ospite fissa di tutte le antologie scolastiche fino a tempi abbastanza recenti, questa poesia è considerata come una delle migliori testimonianze della lirica patriottica risorgimentale. Infatti, a perenne memoria del tentativo insurrezionale, il 25 settembre 2021, sul lungomare del paese del Cilento, è stato inaugurato un monumento in bronzo rappresentante la spigolatrice.     
Nel 1975 sulla sua figura e in particolare sulla spedizione di Sapri, è stato tratto il film Quanto è bello lu murire acciso di Ennio Lorenzini, che ebbe importanti riconoscimenti cinematografici.

 

Santo Lombino, Giusepppe Spallino: Carlo Pisacane. Il realismo utopistico di un rivoluzionario. 
Pagine 120 - Prezzo di copertina € 18,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli e tutti gli store di vendita online.
In libreria al momento presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro)

Un nuovo volume si aggiunge alla Collana Risorgimentalia: Carlo Pisacane, il realismo utopistico di un rivoluzionario. Di Santo Lombino e Giuseppe Spallino

Fino a pochi decenni or sono, Carlo Pisacane (Napoli 1818 – Sanza 1857) era conosciuto dai più per la tragica conclusione del tentativo insurrezionale da lui organizzato nel Regno delle Due Sicilie, di cui narrava la poesia di Luigi Mercantini La spigolatrice di Sapri, celebre per il ritornello “Eran trecento, eran giovani e forti,/ e sono morti!”. Dopo una lunga serie di tentativi di annessione da parte dei più disparati mov imenti politici, il pensiero e la vita del rivoluzionario napoletano sono stati oggetto di rigorose indagini da parte di studiosi come Nello Rosselli, Aldo Romano, Giuseppe Berti, Franco Della Peruta, Luciano Russi ed altri, indagini che hanno consentito di chiarire e valorizzare il contributo di Pisacane alla maturazione del movimento rivoluzionario a metà Ottocento. A suo giudizio, la lotta per l’indipendenza della Penisola dal dominio straniero non poteva essere separata da quella che si prefiggeva l’instaurazione di un nuovo ordinamento che garantisse nello stesso tempo la giustizia sociale, l’uguaglianza di tutti i cittadini, la libertà individuale e l’autonomia delle comunità locali. Solo con queste finalità si potevano coinvolgere le classi meno abbienti nel processo di unificazione e trasformazione della realtà nazionale. Questo libro intende aiutare il lettore a seguire le varie tappe di questa riscop erta integrale di Pisacane e della sua giusta collocazione nel dibattito culturale sviluppatosi negli ultimi centocinquant’anni nell’ambito del movimento demo cratico e socialista del nostro Paese.

Santo Lombino, Giusepppe Spallino: Carlo Pisacane. Il realismo utopistico di un rivoluzionario. 
Pagine 120 - Prezzo di copertina € 18,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
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venerdì 9 agosto 2024

Antonino Cutrera: L'agosto dal 1517 al 1583 a Palermo, quando nel piano della Marina si giustiziavano i Condannati... Tratto da Cronologia del giustiziati di Palermo 1541-1819

3 agosto 1517 – Nel piano della Marina furono impiccati; Simona Branciforte, Giuseppe di Tarando, Nicolò Russo e Cataldo di Gangi.

17 agosto 1517 – Nel piano della Marina furono impiccati Giovanni… e Pietro La Matina. Altro individuo, del quale si sconosce il nome, fu decapitato.

22 agosto 1549 – Nel piano della Marina, furono impiccati: Antonino Crapi, Antonino la Castellana, Filippo Malerva, Pietro di Tusa, Antonino la Ferrera, Bartolomeo Castellana, Silvestri Castellana, Girolamo Pirrello, Ponzio Chiavetta, Annibale Pirrello, Pietro Lauricella, Cataldo di Buscemi, Mariano di Palma, Antonino Ricco alias lo Virdello ed Antonio d’Amico alias Chirca.

22 agosto 1553 – Nel piano della Marina furono impiccati: Giovanni Bellacera, alias Surci e Giovanni Failla.

4 agosto 1557 – Nel piano della Marina fu impiccato Lorenzo Benestanti.

9 agosto 1557 – Nel piano della Marina furono impiccati: Pietro, Michele e Marco di Marino.

4 agosto 1564 – Alla via di S. Antonio presso porta di Termini fu giustiziato Filippo di Gangi. Secondo la sentenza egli fu posto nudo sopra un carro e portato in giro per la città, arrivato sul luogo dell’esecuzione fu quasi strozzato, e ancora semivivo diviso in otto pezzi.

11 agosto 1567 – Furono impiccati: Vincenzo li Pecori di Piazza, Bartolomeo di Rosa, alias Milicchia da Nicosia e Tomaso di Dionisio da Sutera.

Vincenzo Li Pecuri per lo furto commesso nel Convento et Ecclesia di S. Francesco di questa città, fu impiccato in piazza S. Francesco. Bartolo di Rosa discursore di campagna e reo di altri delitti e Masi di Dionisio prosecuto di nece, fu impiccato in piazza Marina. I cadaveri furono portati alle forchi di fuori.

12 agosto 1569 – Furono giustiziati: Pietro d’Ajello di Castelvetrano e Gaspare lo Coco, calabrese, condannati dalla Corte Capitaniale di Palermo: “per haviri ammazzato la quondam Lauria la Catanisa in la casa di la sua solita habitactioni… si havirà di exequiri la Iusticia in lo Cortiglio di Amato di Pettineo, undi fu commisso ditto omicidio e si hanno di strascinare, in ditto loco”.

6 agosto 1571 – Nel piano della Marina, fu impiccato per sentenza della R. Corte Capitaniale Bartolomeo la Tinella.

8 agosto 1572 – Nel piano della Marina fu impiccato e lasciato sulle forche, per sentenza della R.G.C. Vincenzo Marotta latrone pubblico e scorritore di campagna.

26 agosto 1573 – Nel piano della Marina fu impiccato Fabrizio Palombo detto Giov. Antonio d’Arienti, condannato dalla Corte Capitaniale di Palermo per avere fatta moneta falsa.

26 agosto 1574 – Nel piano della Marina, per sentenza della R.G.C. fu decapitato lo Magnifico Girolamo Valdaura, accusato: “de mandato circa nicem et mortem quondam miserandi Guglielmi Valdaura cum illu scopettarum”. La sua testa fu lasciata a lu loco di la Iustitia per demostratione de esecutione di Iustitia.

2 agosto 1575 – Nel piano della Marina furono impiccati: Pietro di Reina da Cammarata, per sentenza della R.G.C. e Costantino la Marabella per sentenza della Corte Capitaniale.

16 agosto 1575 – Nel piano della Marina, per sentenza della R. Corte Capitaniale venne impiccato Giuseppe Bongiorno, per avere ammazzata e rubata Margarita Castella. Fu portato al supplizio sopra un carro e tenagliato lungo il tragitto; in loco delitti gli fu tagliata la mano destra.

7 agosto 1577 – Nel piano della Marina, per sentenza della R.G.C. fu impiccato Mondo Valastro di Linguagrossa perché: “presecuto per lo Fisco de discursu Campania, furtis commissis in ditta Campania, in comitiva delinquentium”.

12 agosto 1577 – Nel piano della Marina fu impiccato, per sentenza della R.G.C. Giovan Batta Marziani da Taormina, scorridore di campagna ed autore di vari furti. Il condannato lasciò per testamento fatto ai confrati dei Bianchi un “ferrajuolo quale si deve dare à due fratelli che sono carcerati in Castellammare, che si chiamano li Vigneri di Catania”

26 agosto 1577 – Nel piano della Marina per sentenza della R.G.C. fu impiccato Vito Passalacqua, alias Colletto per: “apportatione Scopettonis con lo quale fu preso in fragrante”.

18 agosto 1578 – Nel piano della Marina, per sentenza della R. Corte Capitaniale furono giustiziati Pietro Gargotta e Abbattista Gerbino. Il primo per avere stuprato e conosciuto carnalmente a sua figlia, fu condotto a supplizio, nudo sopra un carro, tenagliato durante il tragitto, in fine strozzato. Il Gerbino fu impiccato per avere ucciso entro la chiesa di S. Sebastiano un Genovese.

3 agosto 1579 – Nel piano della Marina, per sentenza della R. Corte Capitaniale furono giustiziati d. Paolo Beveaceto e Carlo Barone, che furono decapitati e dopo bruciati; D. Carlo Abate e Zimbaldo de Pietro Ponzio, che vennero decapitati; Giacomo Russitano e Antonio Scolaro che furono strozzati e dopo bruciati; Vincenzo Cannata, Filippo Genco alias Scacciaferro e Francesco Ferranti i quali vennero impiccati.

25 agosto 1581 – Nel piano della Marina, per sentenza della R. Corte Capitaniale furono strozzati Bastiano di Polizzi e Francesco La Rocca.

8 agosto 1583 – Nel piano della Marina, per sentenza della R. Corte Capitaniale, furono impiccati e lasciati sulle forche a pubblico esempio: Salvatore Lo Monte, Andrea Sogliano e Francesco Bartuccello. 



Antonino Cutrera: Cronologia dei Giustiziati di Palermo 1541-1819. L'opera di Antonino Cutrera che nasce grazie alla preziosa consultazione degli archivi della Compagnia dei Bianchi, integrata con note del Mongitore, Villabianca, Auria, Pirri, Paruta, Di Marzo, Zamparrone, La Mantia Un completo e fedele studio dei secoli bui della giustizia terrena che esclude solo le esecuzioni capitali, che si fecero per sentenza del Tribunale dell’inquisizione.
Pagine 396 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60)


giovedì 8 agosto 2024

Giuseppe Garibaldi: Leggetela sino in fondo, se il cuore vi basta e letta che l'abbiate adorate ancora, se ve ne par degno, San Domenico di Guzman! Tratto da: Clelia ovvero il governo dei preti.

Nel breviario Romano approvato dal Concilio di Trento a pagina 498 sez. IV. Notturno II (edizione di Venezia anno 1740) esiste una lettera di S. Domenico di Guzman patrono di Torquemada e di Arbuez, diretta a Papa Onorio III, nella quale, con un cinismo spaventevole, con una crudeltà tanto freddamente calcolata da far inorridire, egli traccia di sè medesimo un ritratto ributtante ed orribile. Leggetela sino in fondo, se il cuore vi basta, e letta che l’abbiate, adorate ancora, se ve ne par degno, San Domenico di Guzman!

“Beatissimo Padre
 Linguadoca, 7 Aprile 1217
“Con l’ajuto del Signore, io e i miei compagni non cesseremo mai dallo sbarbicare dal campo della chiesa, quest’erba velenosa che merita il fuoco, prima in questa vita poi nell’altra. 
“E per consolare la santità vostra dalle cure gravissime dell’Apostolato, le accennerò quel poco di bene che con l’ajuto di Dio abbiamo operato in queste infelici provincie tanto desolate dall’eresia. Affrancati dal duca di Monfort già trentasettemila di questi nemici della religione cattolica stanno a bruciare nelle fiamme dell’inferno, e così, diradate le nuvole, pare che il sole della retta fede cominci a risplendere in queste contrade. 
“Il piissimo Duca è tanto infervorato dallo zelo cattolico, che dovunque ha sentore si annidino di queste fiere, accorre colle sue truppe e dà loro la caccia. Essi, o resistano, o fuggano, son sempre raggiunti e puniti. Non si usa pietà ai corpi di gente che non ne usò alle anime fedeli, cui uccise col mortifero veleno dell’errore. Egli li sottopone prima a tormenti per costringere la loro ostinazione a manifestare gli aderenti. È impossibile immaginare quanto lo spirito satanico s’impossessi di loro, e li renda fermi nella infernale impenitenza. Non si lasciano fuggire un accento dalla sacrilega bocca, che il demonio chiude con una a mano di ferro. Un vecchio, posto alla tortura, e quasi stritolato sotto ad una macina, rideva ed insultava i santi ministri, i quali gli ricordavano l’obligo della fede.
“Un’altra giovinetta di Belial, alla quale i soldati del Duca in punizione di aver alimentato le carni di un eretico, strapparono dall’ossa con una tanaglia, quelle carni maledette, sorrideva, metteva dentro le mani alle proprie piaghe, e diceva di sentirne refrigerio; sicchè i soldati a meglio refrigerarla, seguirono per un’ora a rinnovarle quella consolazione senza poterla indurre a manifestare, dove fosse l’iniquo, che essa aveva albergato ed alimentato.
“I poveri soldati sono instancabili nell’opera della fede, e la sera dopo la preghiera, e dopo innumerevoli meriti acquistati sono da me benedetti, con la papale benedizione che V. S. mi concedette di largire nel suo nome santissimo. Io crederei, Beatissimo Padre, che a rimunerare in qualche modo la fede ardente del sig. Duca, V. S. dovesse avere la benignità di conferire o a lui, o a suo fratello Don Rodrigo, canonico della cattedrale di Tolosa, la sacra porpora, la quale egli si ha già acquistato con le sue escursioni, tingendola nel sangue maledetto di quegli sciagurati. 
“Basta che in questi paesi si senta il suo nome perchè gli eretici Albigesi, tremino da capo a piedi. Il suo costume è di andare per le corte, spacciando in un sol colpo i più arrabbiati. Quanti gliene capitano nelle mani costringe a professare la nostra fede, con la formola ingiunta da V. S. 
“Se ricusano, li fa battere ben bene mentre che si accende il rogo. Quindi interrogati se si sien pentiti, ed ascoltato che no, conchiude: “O credi o muori”. Li mettono ad ardere a fuoco lento, per dare loro tempo di pentirsi, e di meritare l’eterno perdono. 
“Alcuno di questi miserabili, benché assai raramente, sullo spirare, ha dato segni di ritrattazione, e di orrore della morte, che maritamente subiva; ed io mi sono consolato nel Signore osservando quegli atti, che potevano essere indizio di pentimento. Quando più essi si dibattevano, tanto più noi godevamo nella speranza, che quelle brevi pene fruttassero loro il gaudio eterno, dove speriamo di trovarli salvi nel santo paradiso, quando al Signore piacerà di chiamarci agli eterni riposi. 
“Intorno poi agli altri che furono sedotti, e perciò meno rei, non si costuma di condannarli subito, ma per esercitare con essi quella carità, che il nostro Salvatore comanda, da principio si risparmia loro la vita, ed invece si adoprano alcuni tormenti, i quali per quanto siano gravi alla carne, sono infinitamente più lievi degli altri, riserbati allo spirito nelle fiamme eterne.  
“Si adoprano rotelle, eculei, letti di ferro, stirature, tanaglie ed altre simili mortificazioni del corpo, che secondo la legge del nostro Signor G. Cristo, dev’essere macerato in terra per averlo glorioso nella vita eterna. 
“In altra mia mi farò un dovere di rallegrare il cuore della Santità Vostra, con più minuta narrazione di quest’opera che il Signore si compiace di fare per nostro mezzo.  
“Intanto prostrato al sacro piede della S. V. imploro per me e per questi miei collaboratori e compagni, l’apostolica benedizione, e mi dichiaro.
Della S. V. 
Re dei Re e Pastore dei Pastori
l’ultimo dei servi e figli
Domenico Gusman"


Giuseppe Garibaldi: Clelia ovvero Il governo dei preti. Romanzo storico ambientato nella Roma del 1867. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato da Fratelli Rechiedei editori, Milano 1870.
Pagine 356 - Prezzo di copertina € 20,00
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Il volume è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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martedì 6 agosto 2024

Giulia Petrucci: Il giorno 6 agosto 1985 la mafia uccideva il Vice Questore Ninni Cassarà... Tratto da: Giustizia a Palermo. Romanzo ambientato nella Palermo degli anni '80.

Il giorno 6 agosto 1985 la mafia uccideva il Vice Questore Ninni Cassarà davanti all'ingresso del palazzo dove abitava e davanti agli occhi della giovane moglie. Si dice sia stata una vendetta della mafia per la precedente morte di un pregiudicato che avviene per mano di alcuni poliziotti durante un interrogatorio, al quale comunque il Cassarà non avrebbe partecipato.
La fine ingiusta di una persona amata e stimata da chiunque lo conoscesse veramente lascia tutti nel dolore e nel panico, ma colpisce particolarmente me e mio fratello, che del Cassarà era stato compagno di classe alle scuole elementari e suo compagno di liceo al Garibaldi di Palermo nel periodo in cui anche io frequentavo quel liceo. Per me, che ero più piccola, Ninni era il ragazzo più bravo, più bello, più intelligente del liceo.
Non riuscivo ad accettare l'idea che avessero potuto ammazzarlo così. Con tanta crudeltà e disprezzo. Mi capitò di vedere delle foto, una in particolare, che ancora oggi non riesco a dimenticare. La mia mente cominciò ad elaborare l'ipotesi di un romanzo in cui cittadini onesti, stanchi dei delitti della mafia, ma soprattutto stanchi della lentezza e della inefficienza della Legge, si riunissero in una società segreta, come era stata la leggendaria setta dei Beati Paoli, per fare finalmente giustizia a Palermo, cominciando a eliminare per primi i veri intoccabili della mafia, i veri e nascosti responsabili dei delitti perpetrati contro magistrati e uomini di legge.
Il tema era abbastanza scottante e difficile da trattare, soprattutto da un punto di vista morale perché rischiavo di giustificare, comunque, degli omicidi. Il risultato è questo romanzo, che solo ora ho pensato di pubblicare, essendo passato tanto tempo e avendo avuto la possibilità di considerare le vicende narrate con maggiore obbiettività. Non ho modificato quasi nulla per non guastare ciò che spontaneamente era sgorgato dalla mia fantasia in quei momenti così drammatici.
La mafia oggi non uccide con la frequenza e la facilità di allora, continua i suoi loschi traffici in modo meno appariscente ma non meno pericoloso di allora. 
Chi mai sarà capace di fare davvero giustizia a Palermo, in questa città meravigliosa e terribile nello stesso tempo? 
Ma poi, esiste veramente la giustizia in questo mondo o bisognerà attendere la giustizia divina?


Giulia Petrucci: Giustizia a Palermo. Romanzo ambientato nella Palermo degli anni '80.
In copertina: "La dolcezza tra le spine" di Natale Petrucci. 
Prezzo di copertina € 16,00
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15%, consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su tutti gli store di vendita online e in libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro) La Nuova Bancarella (Via Cavour), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56).