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giovedì 1 febbraio 2024

Filippo La Torre: Gli odori di una città non profumano... Tratto da: La primavera della strummula. Romanzo.

Appena la mamma ed io entrammo, la suora portinaia esclamò:
«Che bel bambino!» ma io ero lacrima senza sangue, sterile e senza vita.
Alla mia sinistra, accanto a una Madonna dal manto celeste, vidi enormi scaloni di marmo di colore grigio scuro, quasi ardesia, che a torciglione salivano sempre più in alto. Questo lo ricordo benissimo perché mi trasmise una sensazione di freddo, così intensa da farmi asciugare il sudore perlato sulla fronte. Non avvertii più il calore dello scirocco sulla mia pelle. Soltanto per brevi istanti quegli scaloni mi sembrarono tante balate di marmo, come quella che aveva addosso nonna Angela al cimitero. Furono pensieri di morte che cessarono subito. La stanza in cui ci trovavamo non aveva odori, proprio come il sapone inerte e molle con cui la mamma lavava i nostri panni. O forse i profumi c’erano ma non li percepivo. L’aria era così diversa da quella di Villa Nave!...
«Gli odori di una città non profumano» – pensai. 
La suora, incrociando le mani al petto, piegò la testa da un lato e mi sorrise. Un sorriso di bambina ancora ingenua che però sapeva di ripetuta formalità, così come la carezza sui miei capelli. Mi chiese:
«Come ti chiami?»
«Filippo, comu u nonnu Filippo!»
Così risposi, evidenziando nel tono rauco e volutamente basso, il mio orgoglio e l’indisponibilità al dialogo. Volevo dare l’impressione alla mamma di essere sicuro di me stesso, un ometto, come diceva lei, e non un bambino di appena sei anni. La suora ci fece accomodare in una stanza disadorna. Una parete era arricchita da un enorme quadro raffigurante un signore barbuto. I suoi capelli erano lunghi e fluenti, appoggiati sulle spalle. Stringeva tra le braccia un bambino così paffuto da sembrare pompato. Era S. Giuseppe con il bambinello e quell’immagine la conoscevo abbastanza bene. Nonno Filippo aveva un quadro simile nella stanza da letto e io di bambini pasciuti, a Villa Nave non ne conoscevo. Appoggiate alle altre pareti smorte di bianco stavano solo sei sedie, due per ogni lato, a farsi solitaria compagnia. Al centro della stanza un cono di luce proveniente da un lucernario, illuminava il pavimento nudo. Non c’era nemmeno un tavolo. Appesi alle pareti, al posto delle finestre, dei quadri scuri con ritratti di suore. Nessuna delle religiose si mostrava sorridente, anzi le loro labbra, strette e senza colore, le facevano apparire abbastanza incazzate. Mi sedetti accanto alla porta. Anche se socchiusa, lasciava scorgere uno scorcio dell’ampia scalinata di cui non vedevo la fine. Saliva su in alto e ricordo che la sua forma, sinuosa e agile, somigliava all’ala aperta di un gabbiano in volo. Abbassai la testa per osservare le mie scarpe di pelle lucida. Anche i miei occhi erano lucidi, ma non traboccanti. Poi, sentii rumore di passi. Incuriosito, rialzai la testa. Un’altra suora scendeva dalla scalinata. Sembrava volasse in alto, anche se veniva da noi che eravamo in basso. Non si scorgeva il movimento veloce dei piedi perché la tonaca, molto lunga, strusciava fino a lambire il pavimento. Rimasi colpito da quella semplice eleganza. Il colore del suo volto era simile alla bianca ceramica della dama con orologio e colombe, che il nonno Filippo aveva portato dall’America, come se vi fosse stesa farina o polvere di gesso. Desiderai accarezzarle il viso per sentire la setosità della sua pelle. A ogni passo la tonaca ondeggiava mollemente, una volta a destra e una volta a sinistra, trascinata da una musica silenziosa e da fianchi piuttosto larghi. Scomparve all’improvviso, insieme agli ultimi scalini. Di botto abbassai la testa. Me la sentivo vuota e leggera, e gli occhi mi pesavano. 


Filippo La Torre: La primavera della strummula. Romanzo. 
Pagine 270 - Prezzo di copertina € 22,00
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