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lunedì 21 maggio 2018

Benedetto Naselli: La camera della tortura alla Vicaria e i "tratti di corda". Tratto da: I misteri di Palermo.


Verso le ore quattordici d’Italia, Luigi seguito da numeroso stuolo di guardie e di birri fu condotto in uno stanzone, che allora giacea a primo piano sulla dritta di chi entrava nell’antico carcere. La volta era nerastra come le murate rapprese da fuliggini che coprivano alcuni antichi affreschi di storia sacra. In fondo un gran tavoliere di legno dipinto a olio guarnito di un drappo verde, e suvvi un crocifisso, una calamariera di argento e diverse carte. Ivi sedute erano tre persone. 
Il primo che stava nel mezzo, un uomo sui sessant’anni, vestito di toga, con una faccia rosso sangue, ed un paio d’occhi così furbi ed incisivi da far venire la tremarella al più astuto scorridore del mondo, ed era il regio procurator fiscale; sulla sua dritta stava il contestabile così detto, ed alla sinistra un cerusico entrambi della sua corte. Ai fianchi di costoro eravi un altro tavolo senza apparecchio su cui giacevano diversi ordegni inservienti alla tortura, e scardellini in legno e forbici e tanaglie, e ferri piatti manicati in legno, e corde e uncini. 
Fu denudato fino alla cintola ed esaminato costola per costola, braccio per braccio, e quasi arteria per arteria, né ciò vuolsi credere per umanitaria filantropia, ma sivvero per evitare delle preparazioni che in quei tempi efferati e balordi credeansi possibili ad eludere lo strazio del tormento, e quando l’esame fu compiuto nel senso della legge, il cerusico accennò colla testa al procurator fiscale che tutto era in regola e che dalla parte sua non aveva ostacoli, a frapporre l’esecuzione. 
Dopo tale assicurazione un altr’uomo, che Luigi ancora non avea visto, si avanzò, un uomo terribilmente truce, di una fisionomia però stupida e ributtante allo stesso tempo, vestito colla sua uniforme, ed era il boja. Come gli si appressò ghermendolo fra le braccia, il povero Luigi cadde in un tremendo spasimo nervoso vedendosi ridotto a tal punto di degradazione sociale, che facealo dapresso a quell’uomo così osceno e così schifoso; ma soffrì anco in pace sempre fermo nel suo proposito di vendetta, quest’altra umiliazione. 
Allora le sue braccia rivolte all’indietro vennero strettamente con tre giri di corda legate ai polsi e fu adagiato in un punto ove pendeva dal tetto una ben lunga e grossa fune a due capi raccomandata al di sopra ad una carrucola di legno. 
All’estremità dell’un capo era un uncino di ferro ricurvo quasi a mo’ di anello, che dalla sua punta fu introdotto fra mezzo i legami della corda che guardavangli i polsi, e vi restò senz’altro. 
Allora il procurator fiscale rivolto nuova volta a Luigi, dimandò: 
- Vuoi dunque dichiarare il perché assassinaste il signor Filippo?
- Io non so nulla. 
La sua negativa ancora non era ben pronunziata dalla sua bocca, e vide mancarsi il terreno di sotto ai piedi, chè con un cenno d’occhio del procuratore fiscale, il boja già avea tirata la corda, e sospingealo gradatamente in aria. 
Qui i tormenti e gli spasimi cominciarono atrocissimi per il povero Luigi. La pelle che covriva il di lui petto e le costole parea rompersi ai grandi conati che recavangli le stirature delle braccia. Le ossa scricchiolavano gradatamente, e sentiasi uno scroscio stridente, come quello di un mobile nei giorni estivi, quando le tavole e le contesture si fiaccano per i soverchi calori. La sua faccia diventava livida come pure le mani, ove abbondava il sangue arrestato nella sua circolazione. Il suo corpo stava quasi boccone, se non che ribaltava agli scherzi di un infame saliscendere che procacciavasi accuratamente alla corda che il sospingea. Fu posto quindi per la prima volta a terra, ed il contestabile al quale ora la legge riserbava l’ufficio delle interrogazioni dimandò: 
- Vuoi dire la verità?
E Luigi sotto lo strazio di quel tormento facevasi ancora forte, chè non era arrivato al punto, e rispose: 
- Io non so nulla. 
Né per questo si persuasero i custodi della esecuzione che anzi ordinarono il rinnovarsi lo esperimento con aggiungervi talune battiture di verghe sul petto, e l’ordine saria stato replicato per una buona mezz’oretta, tempo dalle leggi volutone, se Luigi spasimando sotto lo strazio di dolori acutissimi ed incomprensibili da posporsi sempre alla morte, non avesse gridato ma agonizzante, esserne lui il colpevole. Fu quindi calato nuovamente per terra, e sciolto; dichiarò la sua reità accompagnandola con la sua storia, che al sentirla, anco quei cuori duri ad ogni sentimento gentile, n’ebbero pietà…
Le autorità quindi compilarono il loro processo verbale dell’eseguito sperimento colle formole prescritte, ed il reo fu nuova volta chiuso al carcere duro, per quindi ratificare alla presenza di tutta quanta la regia Corte la sua dichiarazione, alla quale era riserbato il giudizio e la condanna. 
E Luigi rifinito di forze e martoriato da acutissimi dolori, straziato nella mente e nel corpo, fu lasciato peggio che un animale, sul giaciglio che offriagli il nudo terreno privo d’ogni soccorso, con la funesta speranza d’una rovina sicura e imminente. Vedi quanto i tempi che oggi si decantano morali e migliori che i nostri non sono, erano fitti nella barbarie e negli stravizi d’uno smodato uso di legge, che alla fin fine non arrivava mai allo scopo, sendo che dalle atrocità tutti rifuggivano o non poteano sopportare, prescegliendo sempre la colpa e quindi la morte, per togliersi col soffrire di un attimo, la continuità di prolungati dolori.


Benedetto Naselli: I misteri di Palermo. 
Nella versione originale pubblicata per la prima ed unica volta nel 1852.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 274 - Prezzo di copertina € 21,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
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