Tutti i volumi sono disponibili: dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia), su tutti gli store di vendita online e in libreria. Gli e-book sono disponibili su streetlib store e tutte le piattaforme online.

mercoledì 26 novembre 2025

Come il Dalai Lama salvò Palermo ovvero Noi palermitani siamo bellissimi, quasi tutti e quasi ogni giorno. Il nuovo libro di Gianluca Tantillo disponibile dal 1 dicembre 2025

Isbn: 9791255470434
 
È il 1996. Ruggero Torlonia è un palermitano che lavora all’ufficio anagrafe del suo comune. Conduce una vita regolare: fidanzata, ufficio, amici ecc. finché un giorno giunge alla conclusione che il calcio sta rovinando Palermo. Quell’anno a entusiasmare l’animo dei tifosi è il “Palermo dei picciotti” di Ignazio Arcoleo”. Decide allora di chiedere aiuto al Dalai Lama che con l’attore americano Richard Gere si trova in città. Vuole che Sua Santità redima Palermo, sostituendo al calcio il curling. Gianluca Tantillo in questo breve romanzo si lancia in una sconclusionata quanto assurda avventura, mettendo a nudo con ironia e cultura invidiabile le contraddizioni di una città, che altro non sono, se non quelle di un'Italia di trent’anni fa. Una delirante e scomposta avventura che, se avrete il coraggio di leggere, non vi porterà da nessuna parte ma forse vi permetterà di guardare fuori dalla finestra.

Pagine 138
Prezzo di copertina € 15,00

Il volume sarà disponibile dal 1 dicembre dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo), su tutti gli store online e in libreria. 

lunedì 10 novembre 2025

Benedetto Naselli: La tortura alla Vicaria di Palermo. Tratto da: I misteri di Palermo. Romanzo storico siciliano.

La tortura!... Nata sotto al tiranneggio in Sicilia, visse e morì. Quindi risorse minacciante la seconda volta, variando nelle forme all’alito della viceregenza spagnuola e della inquisizione. Al primo Ferdinando poi, di augusta ricordanza, erane riserbata l’abolizione ed il suo totale sfracellamento. 
L’infelice Luigi soggiacque anch’egli al peso di questa satanica inspirazione, né potè esimersela, pel costante pensiero al suo infame persecutore rivolto. 
Verso le ore quattordici d’Italia, Luigi seguito da numeroso stuolo di guardie e di birri fu condotto in uno stanzone, che allora giacea a primo piano sulla dritta di chi entrava nell’antico carcere. La volta era nerastra come le murate rapprese da fuliggini che coprivano alcuni antichi affreschi di storia sacra. In fondo un gran tavoliere di legno dipinto a olio guarnito di un drappo verde, e suvvi un crocifisso, una calamariera di argento e diverse carte. Ivi sedute erano tre persone. 
Il primo che stava nel mezzo, un uomo sui sessant’anni, vestito di toga, con una faccia rosso sangue, ed un paio d’occhi così furbi ed incisivi da far venire la tremarella al più astuto scorridore del mondo, ed era il regio procurator fiscale; sulla sua dritta stava il contestabile così detto, ed alla sinistra un cerusico entrambi della sua corte. Ai fianchi di costoro eravi un altro tavolo senza apparecchio su cui giacevano diversi ordegni inservienti alla tortura, e scardellini in legno e forbici e tanaglie, e ferri piatti manicati in legno, e corde e uncini. 
Quando Luigi fu faccia a faccia al procurator fiscale, questi con una voce stentorea prese a dire: 
- Tu hai assassinato il nobil uomo signor Filippo segretario del signor principe di B….. di’ su, d’onde ti sei mosso, e denunzia l’iniqua trama. 
- Signore io non so nulla, nè intendo di che cosa vogliate parlarmi. 
- Non intendi brutto ceffo?.... Va bene, adesso te la faccio intendere io. 
Ed ordinò al contestabile la lettura del processo che consistea nella dichiarazione del signor Filippo e nella testimonianza di coloro che al suo fuggire lo aveano inseguito. Quando poi gli atti e le formole giunsero al loro termine, il procurator fiscale ripigliò: 
- Adesso spero bene che saprai dirmi qualche cosa, se no ti faccio stritolar vivo. 
E Luigi placidamente replicò: 
- Non so nulla. 
- Non sai dunque nulla?
- Signor no!
- Or bene, – seguì il procurator fiscale rivoltandosi al cerusico che gli stava ai fianchi, – dottore fate l’obbligo vostro. 
Allora Luigi fu denudato fino alla cintola ed esaminato costola per costola, braccio per braccio, e quasi arteria per arteria, nè ciò vuolsi credere per umanitaria filantropia, ma sivvero per evitare delle preparazioni che in quei tempi efferati e balordi credeansi possibili ad eludere lo strazio del tormento, e quando l’esame fu compiuto nel senso della legge, il cerusico accennò colla testa al procurator fiscale che tutto era in regola e che dalla parte sua non aveva ostacoli, a frapporre l’esecuzione. 
Dopo tale assicurazione un altr’uomo, che Luigi ancora non avea visto, si avanzò, un uomo terribilmente truce, di una fisionomia però stupida e ributtante allo stesso tempo, vestito colla sua uniforme, ed era il boja. 
Allora le sue braccia rivolte all’indietro vennero strettamente con tre giri di corda legate ai polsi e fu adagiato in un punto ove pendeva dal tetto una ben lunga e grossa fune a due capi raccomandata al di sopra ad una carrucola di legno. All’estremità dell’un capo era un uncino di ferro ricurvo quasi a mo’ di anello, che dalla sua punta fu introdotto fra mezzo i legami della corda che guardavangli i polsi, e vi restò senz’altro. 
Allora il procurator fiscale rivolto nuova volta a Luigi, dimandò: 
- Vuoi dunque dichiarare il perché assassinaste il signor Filippo?
- Io non so nulla. 
La sua negativa ancora non era ben pronunziata dalla sua bocca, e vide mancarsi il terreno di sotto ai piedi, chè con un cenno d’occhio del procuratore fiscale, il boja già avea tirata la corda, e sospingealo gradatamente in aria. Qui i tormenti e gli spasimi cominciarono atrocissimi per il povero Luigi. La pelle che covriva il di lui petto e le costole parea rompersi ai grandi conati che recavangli le stirature delle braccia. Le ossa scricchiolavano gradatamente, e sentiasi uno scroscio stridente, come quello di un mobile nei giorni estivi, quando le tavole e le contesture si fiaccano per i soverchianti calori. La sua faccia diventava livida come pure le mani, ove abbondava il sangue arrestato nella sua circolazione. Il suo corpo stava quasi boccone, se non che ribaltava agli scherzi di un infame saliscendere che procacciavasi accuratamente alla corda che il sospingea. Fu posto quindi per la prima volta a terra, ed il contestabile al quale ora la legge riserbava l’ufficio delle interrogazioni dimandò: 
- Vuoi dire la verità?
E Luigi sotto lo strazio di quel tormento facevasi ancora forte, chè non era arrivato al punto, e rispose: 
- Io non so nulla. 
Nè per questo si persuasero i custodi della esecuzione che anzi ordinarono rinnovarsi lo esperimento con aggiungervi talune battiture di verghe sul petto, e l’ordine saria stato replicato per una buona mezz’oretta, tempo dalle leggi volutone, se Luigi spasimando sotto lo strazio di dolori acutissimi ed incomprensibili da posporsi sempre alla morte, non avesse gridato ma agonizzante, esserne lui il colpevole. Fu quindi calato nuovamente per terra, e sciolto.
Le autorità quindi compilarono il loro processo verbale dell’eseguito sperimento colle formole prescritte, ed il reo fu nuova volta chiuso al carcere duro, per quindi ratificare alla presenza di tutta quanta la regia Corte la sua dichiarazione, alla quale era riserbato il giudizio e la condanna. 
E Luigi rifinito di forze e martoriato da acutissimi dolori, straziato nella mente e nel corpo, fu lasciato peggio che un animale, sul giaciglio che offriagli il nudo terreno privo d’ogni soccorso, con la funesta speranza d’una rovina sicura e imminente. Vedi quanto i tempi che oggi si decantano morali e migliori che i nostri non sono, erano fitti nella barbarie e negli stravizi d’uno smodato uso di legge, che alla fin fine non arrivava mai allo scopo, sendo che dalle atrocità tutti rifuggivano o non poteano sopportare, prescegliendo sempre la colpa e quindi la morte, per togliersi col soffrire di un attimo, la continuità di prolungati dolori.


Benedetto Naselli: I misteri di Palermo. Romanzo storico siciliano ambientato agli inizi dell'ottocento. 
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato nel 1852.
Pagine 276 - Prezzo di copertina € 21,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile: 
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo. Consegna con raccomandata postale o corriere in tutta Italia)
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=misteri
Disponibile su tutti gli store online. 
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour) Spazio Cultura libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102) 

Benedetto Naselli: Il "cassettone" della Vicaria di Palermo... Tratto da: I misteri di Palermo. Romanzo storico siciliano

In quel momento fu scosso da uno scricciolare di chiavi e catenacci vicini alla sua porta che indi a poco si aprì.
Comparve allora sulla bassa soglia, curvantesi la testa di un omaccio ad una quarantina d’anni. Gli occhi roteavano obliquamente nell’orbita squadrando tutto a colpo, e la bocca articolò:
- Ehi! galantuomo favorite.
E Pietro macchinalmente si prestò allo invito, e viddesi quando fu fuori dalla sua stamberga in uno oscurissimo corridoio, faccia a faccia col suo albergatore che lo distinse ad un gran mazzo di chiavi appuntato alla sua cintura, e con un altro che non conobbe a prima giunta, ma che si annunziò subito, ghermendo col braccio destro il nostro Pietro pel collaretto.
Il carceriere chiudendo la porta dalla quale era uscito il suo ospite ripigliò:
- Giovannino attento, che questi son giovinotti da galera sai... e la sanno lunga... – e continuava... – Eh non c’è che fare i birbanti sono sempre i più fortunati!... Ecco qua sono arrestati ieri sera due di questi... una notte in secreta, e poi a carcer largo, in camerone. Eh! eh! che si fa presto così la mala vita... Il nostro capitano Giustiziere è assai umano... Io poi vedete, – fermandosi alla fine del corridoio e rivoltandosi a Pietro... – Io poi vi avrei fatti contare cento legnate a culo nudo... i vostri pari così s’interrogano, e non colle semplici dimande.
Quindi avanzò nuovamente il passo, scesero tre o quattro gradini, e furono in altro corridoio più grande e più arioso, quinci andaron giù nuovamente per altra scala ben lunga, svoltarono a sinistra, e Pietro fu colpito dal frastuono di mille vo-ci di mille dimande, di mille risposte, e grida e urli e lagni di donne e pianti di bambini, che il pover’uomo non risensava da quella specie di tregenda indiavolata, che presentavasi ai suoi sguardi.
Il carceriere quindi, e l’uomo che lo tenea tutt’ora pel collaretto, si avvicinarono ad una ben grossa grata che dividea il secondo dal terzo piano, quegli aprì un catenaccio e il nostro amico sgarbatamente e con qualche urtone fu spinto lì dentro chiudendosi alle spalle la porta. 
Egli restò ritto alla soglia stralunato e confuso. Le parole del suo carceriere insolenti e schifose aveanlo per un momento scosso da quella specie di stoicismo che da qualche tempo lo governava, ma ben tosto ricadde nella sua primitiva indifferenza, non sapendo non manco risolversi a muovere un passo.
Sentiva più da vicino l’orribile frastuono ed i suoi nuovi compagni muovevansi verso lui, chè è qualche cosa d’importante fra loro l’arrivo di un forestiere; e tutti cominciarono a sminuzzarlo sogguardandolo, ed a colpo d’occhio decisero che era un mal capitato in quel locale, un uomo insomma, che per caso trovavasi fra di loro, ma non ne avea nè le colpe nè le tendenze. E in ciò non si sbagliavano, e difficilmente tal classe di gente s’inganna nei suoi concetti, nelle proprie determinazioni.
Mentre Pietro adunque guardava tutto quanto eragli attorno che lo sbalordiva e lo confondeva e i compagni radunatisi a crocchio parlottavano sul suo conto, il chiavistello girò e rigirò altra volta, e Luigi fu buttato con lo stesso garbo a Pietro compartito, nel sito istesso. 
- Giovinotti, e non venite lì dentro? Fatevi avanti... Qui siete fra buoni amici e si sta allegramente... Ehi ragazzo! A voi che piangete dico... fatevi coraggio... qui i guai si lasciano alla porta... qui non si pensa che allo star bene, a mangiare e bere a più non posso, a crepapelle. Animo su... animo su... venite avanti... i nostri compagni vi aspettano...
Quest’uomo che assumea la qualità di maestro di cerimonie in quel locale, avea un corpo gigante, e le sue membra anche nella loro smisuratezza erano così ben adattate alla sua corporatura, che davangli un assieme maestoso ed imponente. La natura annunziava la superiorità di quello spirito colle forme esterne, e con una tal quale maestà, che anco ai più feroci e destri facea passar la volontà a misurarglisi. 
L’uomo, che così garbatamente esibivasi ai nostri due buoni amici, era invecchiato ladro ed omicida, chè avea passata buona parte della sua vita in carcere senza che una condanna avesse potuto buscarsi, tant’era destro e scaltrito. Le sue qualità, il suo coraggio, la sua fermezza, gli aveano procacciato il posto di camorrista, carica assai interessante in carcere, che costa alle volte sangue o la vita, come appresso vedremo. Egli chiamavasi Salvadore, ed era stato nella prima età di mestiere ciabattino, poi corso l’aringo del delitto, fu battezzato col nome di Forca e così lo chiamavano i suoi compagni d’impiego, gli altri col nome solamente. Colui al quale si diresse presentando i nuovi arrivati Pietro e Luigi, era un certo Biaggio, sartore una volta, poi speculatore, bancarrottiere e ladro, ed ora lampiere al camerone, che è altra carica interessantissima, cose che vedremo in appresso. Questi avea ricevuto il soprannome di Fonciuto, perché i suoi labbri erano assai prominenti. Quando poi fu lontano, Forca ripigliò:
- Giovinotto, qui bisogna che vi adattiate agli usi nostri e alle nostre leggi per vivere allegramente e tranquillo in caso diverso e non saprei... 
- Adattiamoci pure, – replicò Luigi, – e pare che già ci siamo.
- Bene adunque, voi altri siete in due, gentiluomini, ben vestiti, – calcolava fra se stesso Forca... – bene, pagherete un oncia a testa per la lampade.
- Per la lampade? un oncia a testa? – osservava il solo Luigi, chè Pietro parea di sasso, e non curavasi, anzi assistiva macchinalmente quella versazione, – ma io davvero, che non vi capisco dapprima, e poi chi ha tutto questo denaro, se sapeste amico mio...
- Ah! ah! capisco... non volete pagare, peggio per voi. Qui non si fanno chiacchere, qui si va subito ai fatti, – e in così dire chiamò l’amico Biaggio ordinandogli: – Gli amici in cassettone.
- In cassettone? – quegli replicò, – per la Madonna del Carmine, questo è un affare che non succede da un pezzo...
- Non ci pensare, se la vedranno loro.
E i nostri due poveri sventurati, che non capivano quel tale linguaggio, ed erano storditi dalla misteriosa gradazione dei sentimenti di Forca che dalla più squisita urbanità passava al più sprezzante indifferentismo, furono condotti da Biaggio sur un sei palmi di terreno assegnatogli pel loro dormire, terreno che era immediatamente sottostante ad una porticina che dava ingresso alla latrina, locale in gergo loro appellato cassettone, talchè chi è ivi destinato è costretto star sveglio tutta la notte pel continuo chiudersi  ed aprire della porta, e più dalla pestifera esalazione, che un tal ricetto naturalmente emana.



Benedetto Naselli: I misteri di Palermo. Romanzo storico siciliano ambientato agli inizi dell'ottocento. 
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato nel 1852.
Pagine 276 - Prezzo di copertina € 21,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile: 
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo. Consegna con raccomandata postale o corriere in tutta Italia)
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=misteri
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour) Spazio Cultura libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102) 

Benedetto Naselli: La Vicaria di Palermo o pubbliche prigioni. Tratto da: I misteri di Palermo. Romanzo storico siciliano.

Di fronte alla piazza marina a Palermo, sorge un bellissimo fabbricato di stile toscano a tre piani, vestito di stucco lucido, guardate le finestre da verdi gelosie e adorno il vestibolo da uno spaziosissimo portico ricco di colonne, d’intagli, arabeschi, con lo stemma reale nel centro, e chiuso da una ricchissima inferriata fusa a fantasia. Ai lati sorgono due smisurati candelabri dello stesso metallo, lavorìo dei nostri artigiani e delle fonderie nostre. 
Sul frontone del portico a lettere di rame dorato leggesi  “Reali Finanze”. 
Questo palazzo fu eretto nel 1578, e poi fu destinato a servire per le pubbliche prigioni, e prendea nome di Vicaria. La sua forma era quale osservasi tuttora, ma la sua figura era ben diversa. Allora non sorgeano colonne scannellate a sorreggere l’ampiezza del portico ma invece aprivasi un meschinissimo portone raccomandato a due o tre ordini di grate di ferro, e grate di ferro spesse e replicate stavano in luogo delle attuali linde e leggiere gelosie. Allora non eranvi candelabri e colonnette e intagli ed arabeschi, ma due sole fontane di marmo ad uso pubblico, e qualche lapide su cui, leggevasi il nome di Diego Enriquez de Guzman conte di Albadelista. Al portone, alle grate succedevano il cortile e le scale quali osservansi tutt’ora se non che meno linde e luride, come più triste e più barocco era l’insieme del palazzo, e parea che anco l’architettura contribuisse alla laidezza del locale, alla squallida miseria di un buon migliaretto di delinquenti ed inquisiti e condannati di tutte le forme, di tutti i modi, di tutti i delitti. Quel fabbricato era un osceno contrasto, tra la imponenza del nostro Toledo e la meschinità e luridezza della sua forma, una anomalia topografica per dir così, un errore di scopo.
La prima pietra di questo palazzo fu gettata il 3 aprile del 1578 dal vicerè Marco Antonio Colonna, chè a spese del Real Governo imprendevasene la fabbrica destinandolo ad uso fondaco di Dogana una porzione, e il rimanente per tribunali. Fu poscia continuato a spese del Senato di Palermo e nel 1595 coprivasene la fabbricazione sotto la vice reggenza di Arrigo de Guzman conte di Olivares il quale fece adorno il palazzo di due fontane a uso pubblico, su le quali scolpivasi il suo nome, e quell’altro del Pretore di allora. Nel 1844 poi, l’attuale re Ferdinando II intento sempre ad immegliare e riformare il paese, destinò quell’edifizio alle principali officine dello Stato, regolarizzandolo ed abbellendolo con immense e ingenti spese. Le grandi prigioni d’allora passarono in altro edifizio fabbricato da cima a fondo d’ordine del Re istesso con disegno dell’architetto Dimartino, ad imitazione d’inglese sistema raggiante a cellule, da Julius descritto e riportato nella sua opera del sistema penitenziario. Sorge nel piano della Consolazione lungo la strada del Molo. 

Quella sera che Pietro e Luigi furono arrestati come il lettore conosce, dopo un lungo interrogatorio sostenuto in presenza del capitano d’arme in persona che per forza o per amore volea farne di quei due disgraziati i compagni di un fuor-bandito come diceva, verso la mezzanotte furono condotti alla Vicaria, e posti separatamente a carcere duro, volgarmente detto fra noi camera serrata. 
Queste prigioni, o a meglio dire questa specie di sepolture, erano di forma bislunga, ed alte pressoché la statura regolare di un uomo. Aveano un piccolissimo pertugio che malamente chiamavasi finestrino a discapito della nostra filologia e della nostra architettura, e vi si entrava da una stretta e bassissima porticina, raccomandata a due o tre buonissimi chiavistelli e catenacci. Una luridissima stuoia per terra che rigurgitava acqua, inzuppata com’era da una soperchiante umidità, facea le funzioni di letto, ed un accurato lavorio di ragno suppliva alla coltrice. Altri mobili non ve n’erano, che l’angustezza del locale nol permetteva mica.
 A Luigi parve più orribile e strana che non immaginolla nella oscurità. Il tetto era gocciolante acqua e cosparso in molti siti da ragni, e da fuligini, le murate erano ruvide e sporche, se non che in qualche punto osservavansi, quasi imbianchite e raffinate dallo strofinio di una lima, ed ivi erano talune righe come una scrittura.
Luigi, anco nel suo dolore fu colpito a tal vista, e facendosi puntello colla mano sinistra alzossi dalla sua positura e lesse. 
Infelice colui che in questa terra non seppe ispirare che odio, ma infelicissimo quegli che abbisogna della pietà altruisettembre 179..” e al fianco: “I costumi non si migliorano con una legge penale, e chi tutto tende a riformare, nulla riforma – 18...” Queste poche righe erano dell’istessa mano e scritte a lapis e ricalcate. Più sotto, poi vidde incisi i seguenti versi, ed erano incisi e non altrimenti, e non col bulino o qualche altro strumento dell’arte, ma con un semplicissimo chiodo.

E tanto valse il tremito
Di un scellerato male
M’eran sì diri i palpiti, 
Ch’esterrefatta, e frale 
L’alta possente e provvida,
Natura ammutolì. 
D’atra bufera al fremito 
Per se tremaro i figli,  
A’ padri ansanti esanimi 
Mancarono gli ausigli,
Fu visto un tetto accogliere 
Chi visse, e chi morì.

La poesia era continuata, ma vedeasi cancellata e rotta dalla umidità, e del suo seguito, non leggevansi che altri due versi:

D'accatastate vittime 
Morte trionfa, e sta.

E sotto 18... Era forse la cifra del millesimo, ma non poteasi leggere il rimanente mancamento non procacciato dalla mano del tempo, o dalle gocciolature dell’acqua, ma dal pentimento forse o dal proposito dell’autore.
Pietro, accovacciato in altra segreta di simil genere, non mise fuori un lagno. Sogguardò le murate del suo carcere, che erano anco piene d’iscrizioni, sfogo di desolati, o bestemmie d’anime perdute. Ne lesse qualcuna e ne ebbe schifo e vergogna, come esseri così degradati possono a viso scoperto insultare Dio e l’umanità che non hanno potenza di conoscere, e volontà solo di deturpare: trasse un pezzettino di lapis dalla sua saccoccia e in mezzo a quelle laidezze scrisse: – La storia dell’uomo è la storia dei delitti.
(Foto in alto dal web: la Vicaria di Palermo nel 1686)


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venerdì 7 novembre 2025

Come il Dalai Lama salvò Palermo ovvero Noi Palermitani siamo bellissimi, quasi tutti e quasi ogni giorno. Il nuovo libro di Gianluca Tantillo disponibile dal 1 dicembre 2025

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