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giovedì 8 agosto 2024

Giuseppe Garibaldi: Leggetela sino in fondo, se il cuore vi basta e letta che l'abbiate adorate ancora, se ve ne par degno, San Domenico di Guzman! Tratto da: Clelia ovvero il governo dei preti.

Nel breviario Romano approvato dal Concilio di Trento a pagina 498 sez. IV. Notturno II (edizione di Venezia anno 1740) esiste una lettera di S. Domenico di Guzman patrono di Torquemada e di Arbuez, diretta a Papa Onorio III, nella quale, con un cinismo spaventevole, con una crudeltà tanto freddamente calcolata da far inorridire, egli traccia di sè medesimo un ritratto ributtante ed orribile. Leggetela sino in fondo, se il cuore vi basta, e letta che l’abbiate, adorate ancora, se ve ne par degno, San Domenico di Guzman!

“Beatissimo Padre
 Linguadoca, 7 Aprile 1217
“Con l’ajuto del Signore, io e i miei compagni non cesseremo mai dallo sbarbicare dal campo della chiesa, quest’erba velenosa che merita il fuoco, prima in questa vita poi nell’altra. 
“E per consolare la santità vostra dalle cure gravissime dell’Apostolato, le accennerò quel poco di bene che con l’ajuto di Dio abbiamo operato in queste infelici provincie tanto desolate dall’eresia. Affrancati dal duca di Monfort già trentasettemila di questi nemici della religione cattolica stanno a bruciare nelle fiamme dell’inferno, e così, diradate le nuvole, pare che il sole della retta fede cominci a risplendere in queste contrade. 
“Il piissimo Duca è tanto infervorato dallo zelo cattolico, che dovunque ha sentore si annidino di queste fiere, accorre colle sue truppe e dà loro la caccia. Essi, o resistano, o fuggano, son sempre raggiunti e puniti. Non si usa pietà ai corpi di gente che non ne usò alle anime fedeli, cui uccise col mortifero veleno dell’errore. Egli li sottopone prima a tormenti per costringere la loro ostinazione a manifestare gli aderenti. È impossibile immaginare quanto lo spirito satanico s’impossessi di loro, e li renda fermi nella infernale impenitenza. Non si lasciano fuggire un accento dalla sacrilega bocca, che il demonio chiude con una a mano di ferro. Un vecchio, posto alla tortura, e quasi stritolato sotto ad una macina, rideva ed insultava i santi ministri, i quali gli ricordavano l’obligo della fede.
“Un’altra giovinetta di Belial, alla quale i soldati del Duca in punizione di aver alimentato le carni di un eretico, strapparono dall’ossa con una tanaglia, quelle carni maledette, sorrideva, metteva dentro le mani alle proprie piaghe, e diceva di sentirne refrigerio; sicchè i soldati a meglio refrigerarla, seguirono per un’ora a rinnovarle quella consolazione senza poterla indurre a manifestare, dove fosse l’iniquo, che essa aveva albergato ed alimentato.
“I poveri soldati sono instancabili nell’opera della fede, e la sera dopo la preghiera, e dopo innumerevoli meriti acquistati sono da me benedetti, con la papale benedizione che V. S. mi concedette di largire nel suo nome santissimo. Io crederei, Beatissimo Padre, che a rimunerare in qualche modo la fede ardente del sig. Duca, V. S. dovesse avere la benignità di conferire o a lui, o a suo fratello Don Rodrigo, canonico della cattedrale di Tolosa, la sacra porpora, la quale egli si ha già acquistato con le sue escursioni, tingendola nel sangue maledetto di quegli sciagurati. 
“Basta che in questi paesi si senta il suo nome perchè gli eretici Albigesi, tremino da capo a piedi. Il suo costume è di andare per le corte, spacciando in un sol colpo i più arrabbiati. Quanti gliene capitano nelle mani costringe a professare la nostra fede, con la formola ingiunta da V. S. 
“Se ricusano, li fa battere ben bene mentre che si accende il rogo. Quindi interrogati se si sien pentiti, ed ascoltato che no, conchiude: “O credi o muori”. Li mettono ad ardere a fuoco lento, per dare loro tempo di pentirsi, e di meritare l’eterno perdono. 
“Alcuno di questi miserabili, benché assai raramente, sullo spirare, ha dato segni di ritrattazione, e di orrore della morte, che maritamente subiva; ed io mi sono consolato nel Signore osservando quegli atti, che potevano essere indizio di pentimento. Quando più essi si dibattevano, tanto più noi godevamo nella speranza, che quelle brevi pene fruttassero loro il gaudio eterno, dove speriamo di trovarli salvi nel santo paradiso, quando al Signore piacerà di chiamarci agli eterni riposi. 
“Intorno poi agli altri che furono sedotti, e perciò meno rei, non si costuma di condannarli subito, ma per esercitare con essi quella carità, che il nostro Salvatore comanda, da principio si risparmia loro la vita, ed invece si adoprano alcuni tormenti, i quali per quanto siano gravi alla carne, sono infinitamente più lievi degli altri, riserbati allo spirito nelle fiamme eterne.  
“Si adoprano rotelle, eculei, letti di ferro, stirature, tanaglie ed altre simili mortificazioni del corpo, che secondo la legge del nostro Signor G. Cristo, dev’essere macerato in terra per averlo glorioso nella vita eterna. 
“In altra mia mi farò un dovere di rallegrare il cuore della Santità Vostra, con più minuta narrazione di quest’opera che il Signore si compiace di fare per nostro mezzo.  
“Intanto prostrato al sacro piede della S. V. imploro per me e per questi miei collaboratori e compagni, l’apostolica benedizione, e mi dichiaro.
Della S. V. 
Re dei Re e Pastore dei Pastori
l’ultimo dei servi e figli
Domenico Gusman"


Giuseppe Garibaldi: Clelia ovvero Il governo dei preti. Romanzo storico ambientato nella Roma del 1867. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato da Fratelli Rechiedei editori, Milano 1870.
Pagine 356 - Prezzo di copertina € 20,00
Copertina di Niccolò Pizzorno 
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