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lunedì 27 gennaio 2025

Il 27 gennaio del 1945 io ero una di quelle disgraziate che camminava e non poteva cadere per terra. Tratto da: La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze

Settecento chilometri a piedi.
Voi pensate queste schiere di 56.000 scheletri.
Di gente che aveva perso già tutto.
Che era prigioniera da un anno come ero io o da più tempo, o qualcuno da poco.
Avviata per chilometri, per mesi, sulle strade prima polacche, poi tedesche, per sfuggire all’Armata Rossa. E i tedeschi non volevano far trovare noi.
Il 27 di gennaio del 1945, giorno della Memoria, io ero una di quelle disgraziate che camminava e che non poteva cadere per terra.
Non potevi appoggiarti a nessuno, e nessuno poteva appoggiarsi a te. 
Non si poteva cadere: chi cadeva, in quei sentieri pieni di neve, veniva finito con una fucilata alla testa dalle guardie della scorta che venivano cambiate perché si dovevano riposare.
Nessuno poteva rimanere lì, sulla neve, vivo.
Tornata in Italia, alla fine di agosto del 45, dopo qualche tempo ho cominciato a guardare la carta geografica, perché la mia ignoranza era totale, e non avevo neanche ben capito da Auschwitz   dove ci avessero portato. E quando ho visto che da lì a piedi, in varie marce, siamo arrivati (quelli che sono arrivati vivi) fino al nord della Germania, che avevamo fatto settecento chilometri, beh... una volta di più ho pensato:
«Ma come ha fatto quella Liliana lì, di quattordici anni, compiuti ad Auschwitz   da sola?»
Una gamba davanti all’altra.
Una gamba davanti all’altra, una gamba davanti all’altra, una gamba davanti all’altra...
Cammina, cammina, cammina...
Voglio vivere, voglio vivere, voglio vivere...
Ci gettavamo sui letamai, negli immondezzai, mangiavamo qualunque schifezza che avessimo trovato, gli scarti dei civili tedeschi che ci rubavamo una con l’altra, ossa rosicchiate già da un cane, sicure che il giorno dopo avremmo avuto vomito, diarrea... scheletri orribili con le bocche sporche... ma intanto lo stomaco si riempiva e il cervello comandava.
Cammina, cammina, cammina, cammina...
E allora la Marcia della Morte si trasforma in marcia per la Vita.
Voi giovani dovete sempre pensare che la vostra marcia deve esser sempre una marcia per la vita! Mai buttarla via questa vita! La vita è una cosa importantissima, è una cosa meravigliosa, è una cosa straordinaria perché anche attraverso il dolore, attraverso le esperienze più negative, ti può arrivare alla fine un bambino che ti dice: «Ma tu nonna sei il mio arcobaleno.»
Una gamba davanti all’altra... ed era faticosissimo, ed era la neve e c’eravamo noi su quelle strade dove camminammo per giorni e giorni, traversando paesini e città, i cui nomi neanche mi ricordo, dove i civili tedeschi non aprivano mai le finestre per darci un piccolo aiuto, per darci una sciarpa, per darci un pezzo di pane. Come fecero i detenuti di San Vittore.
No... erano tutte asserragliate le persone.
Nell’indifferenza.
«Ma noi non sapevamo.» 
Hanno detto dopo la guerra. Non sapevano neanche quelli che avevano le case ai bordi del lager. Loro non sapevano. 
Era meglio non sapere. 
Era meglio dire: 
«No, non sapevamo niente.» 
Era più facile. 
L’indifferenza. Lo stupore per il male altrui. 
Beh, camminavamo su quelle strade, soprattutto di notte, strade di campagna, strade secondarie, e venivano uccisi con una fucilata alla testa quelli che cadevano... 
Morti senza tomba che sono rimasti lì per la colpa di esser nati. 
Io non li guardavo, io non volevo sapere. 
Non volevo vedere quella strada con la neve rossa. Non volevo vedere quello che accadeva intorno a me. 
E camminammo, camminammo. 
Eravamo fortissimi! 
Nella nostra debolezza eravamo di una forza straordinaria, e io cerco sempre di trasmettere questa forza a voi giovani, miei nipoti ideali. Non dite che siete stanchi, non è vero. Siamo fortissimi! Ce la fate, ce la facciamo, se vogliamo. Possiamo fare tantissimo con le nostre forze. 
Io l’ho visto in quella povera disgraziata Liliana che camminava con le altre, una gamba davanti all’altra. 
E ci furono altri lager.
Tutti pensati dal male assoluto, tutti pensati con crudeltà, con cattiverie, con togliere la dignità completamente alle persone. 
Arrivammo al campo di Ravensbruck... 



La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente racconte e trascritte dalle sue testimonianze. A cura di Anna Squatrito 
Pagine 174 - Prezzo di copertina € 13,00
In copertina: Foto di Maria Luisa Lamanna
Il volume è disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia. Consegna gratuita a Palermo) 
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In ebook su tutti gli store online. 

Ma quando i russi entrarono nel campo di Auschwitz, i tedeschi erano fuggiti da giorni... Tratto da: La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte dalle sue testimonianze.

Da un anno ero prigioniera.
Avevo imparato a parare i colpi quando mi arrivavano. Avevo imparato a essere invisibile, anche a me stessa.
Verso la fine di gennaio del 1945, anzi diciamo verso il 20 (io le date le ho sapute dopo perché non avevamo né radio, né calendario, mai letto un giornale, vivevamo nel nulla) cominciammo a sentire rumori di aerei che passavano sopra di noi, cosa che non avevamo mai sentito prima, perché vivevamo in un mondo di solitudine assoluta e circondati dall’indifferenza del mondo.
E qui apro una parentesi.
Si è molto discusso, teologi, filosofi, liberi pensatori che hanno detto la loro sui grandi silenzi di quel tempo.
Ci fu il silenzio degli alleati che non bombardarono le ferrovie, portatrici fino all’ultimo di ebrei e oppositori ai regimi, e le tennero sane e salve perché servirono dopo, avendo fatto già un progetto del dopoguerra.
Ci fu il silenzio della Croce Rossa, a cui venne fatto vedere quello che faceva comodo ai nazisti e loro non si diedero da fare più di tanto.
Ci fu il silenzio della chiesa, sul quale ancora si parla tantissimo. Prima o poi credo che si parlerà fino in fondo del silenzio di Pio XII, anche se è verissimo che i conventi si aprirono in tutta l’Italia occupata dai tedeschi e i miei nonni materni si salvarono a Roma in un convento di suorine poverissime che non avevano da mangiare neanche per loro e divisero con una ventina di ebrei la cena tutte le sere.
Queste persone si salvarono.
Noi vivevamo in un limbo dove non sapevamo niente della guerra, ma non sapevamo neanche l’ora, il giorno, solo dalle stagioni e dai nuovi arrivi potevamo capire in che mese fossimo. E dopo un anno di questa non-vita improvvisamente capimmo che stava cambiando qualcosa.
Alcune, meno sciocche, dissero:
«Sono i russi.»
I russi... finalmente... avevano rotto il fronte dell’Est e si avvicinavano ad Auschwitz così in fretta che i nostri persecutori decisero di far saltare con la dinamite le strutture di morte: i crematori, le camere a gas, molte segreterie, molti documenti, e altri li portarono via e noi dalla fabbrica sentivamo questi scoppi e non sapevamo se fosse un bombardamento o qualche altra cosa.
Ma quando i russi, in questo famoso 27 gennaio del 1945, giorno della Memoria, entrarono nel campo di Auschwitz, i tedeschi erano fuggiti già da giorni. Quindi non lo liberarono, come si è detto dopo.
Falso storico non da poco. Quando arrivarono il 27 gennaio trovarono migliaia di corpi mischiati, i morti e i vivi, perché c’erano migliaia di cadaveri e forse duemila prigionieri, fra cui Primo Levi, che essendo gravissimamente malati non avevano potuto obbedire all’ordine di evacuazione.
I russi erano arrivati così in fretta che i tedeschi non avevano fatto in tempo a uccidere tutti i prigionieri malati ancora in vita. Primo Levi racconta dei quattro soldati a cavallo entrati una settimana dopo che i tedeschi avevano abbandonato il Campo. Erano ragazzi ignoranti, quattro soldati semplici di campagna e lui lesse nei loro occhi tutto lo stupore per il male altrui.
I prigionieri «ancora in piedi» e in vita, uomini e donne, circa 56.000 persone, di colpo, intorno al 20 di gennaio del 1945, senza aver capito che cosa stesse succedendo, furono obbligate tutte a uscire, messe in fila. E cominciò senza nessun preavviso, senza nessuna preparazione, senza nessuna provvista, senza nulla di nulla quella che giustamente si è chiamata la «Marcia della Morte.»


La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente racconte e trascritte dalle sue testimonianze. A cura di Anna Squatrito 
Pagine 174 - Prezzo di copertina € 13,00
In copertina: Foto di Maria Luisa Lamanna
Il volume è disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia. Consegna gratuita a Palermo) 
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