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venerdì 12 luglio 2024

Oreste Lo Valvo: La vita della gloriosa Santuzza. Tratto da: L'ultimo ottocento palermitano. Storie e ricordi di vita vissuta.

Santa Rosalia segna nella vita palermitana due epoche: la prima, in cui nacque e morì, affidata alla tradizione, sostenuta da ricordi ed avanzi prossimi alla sua stessa morte; la seconda nella quale, a distanza di più che cinque secoli, si rinvennero le sue ossa, epoca, quest’ultima, storicamente documentata, che rivela il miracolo, per cui Palermo fu, per sempre, libera dalla peste.
Dove, però, la storia non entra con l’evidenza dei fatti, dando alle cose una realtà troppo tangibile, che quasi urta con il loro carattere soprannaturale e restano, invece, le memorie affidate alla tradizione, si ha allora la grande poesia della leggenda, in cui lo sfondo, originariamente vero, si arricchisce, man mano, di quella bellezza suggestiva, che rispecchia tutto un sentimento particolare delle anime ingenue, spinte ad esaltarsi in una fede, che non vuole limiti e che più s’ingigantisce col fervore dell’immaginazione.
La vita, appunto, della nostra gloriosa Santuzza, che, per quanto non documentata, ha una certa storia tradizionale, attraverso la fantasia popolare, è stata, in ogni tempo, oggetto di cunti, strofe, canzoni e ninareddi, che con mille particolari di ingenua e fervida creazione, hanno dato luogo alla più mistica, sentimentale e poetica leggenda, che ancora e sempre tocca, commuove ed esalta gli ottimi cuori della nostra gente.
Così, dopo secoli, quasi con la dolce risonanza d’un’eco lontana, la vecchia leggenda ancora ripete e canta: ai tempi di Ruggiero II il Normanno, entro il mille e cento, fra i baroni che componevano la Corte del Re, primeggiava il suo congiunto Sinibaldo, signor della Quisquina e delle Rose, che discendeva dal ramo diretto di Carlo Magno Imperatore.
Aveva Sinibaldo, sola figlia, la bionda Rosalia, serafica creatura, dotata di soave e mistica bellezza, che, appena adolescente, fra tutte le donzelle, tosto divenne la prediletta della Regina Margherita di Navarra, moglie di Guglielmo I, già succeduto al padre.
Ben presto, di tanti giovani e prodi cavalieri, d’alto lignaggio, che frequentavano la Corte, fu, l’incantevole fanciulla, oggetto di ambito e dolce sogno, per cui, fra dispute e disfide, ognuno sperava di essere prescelto in compenso di feudi, manieri, avita nobiltà e gloria di sangue.
Ma la bella Rosalia, che si era tutta votata al Signore, pur costretta a vivere, in mezzo a tanto fasto, passando la vita tra balli, conviti, giostre e tornei, preferiva le ore tranquille in cui, restando da sola, poteva cullarsi nella pace delle ascetiche contemplazioni, meditando sulla passione del suo amato Gesù.
Essendo, però, a quei tempi, assoluta l’autorità paterna e, malgrado non avesse mai pensato Rosalia al terreno amore, e fosse rimasta insensibile alle profferte di tanti pretendenti, un giorno, ancora non essendo in grado di opporre l’interna ripugnanza, dovette cedere al volere del padre, che le impose di passare a vita di mondo.
Pertanto, Rosalia fu promessa in isposa a Beltramo da Girgenti, che era un ricco e prode cavaliere, fra i più belli della Corte.
Subiva, ella, l’amore del premuroso giovane, sentendo, invece, ardere nel suo cuore l’amore divino, onde sperava di trovare la via di scampo verso il suo sognato e glorioso destino.
Si appressava, intanto, il giorno delle nozze e Rosalia, malgrado sentisse più vivo il ribrezzo per le umane cose, non aveva ancora la forza bastevole per ribellarsi all’imminenza dello odiato evento.
Un giorno, però, che essa stava ad acconciarsi i capelli e prendeva cura di agghindarsi, dovendo far corona, fra le belle, alla Regina, che andava a festa, le apparve nello specchio in cui miravasi, Gesù spirante sulla Croce, che tutto grondava sangue dalle sue ferite.
- Tu godi del mondo ed io muoio per la tua salvezza – le disse e sparì.
Rosalia, dopo quella visione, non seppe oltre rassegnarsi a tradire il suo voto, e senza manifestare ad alcuno il suo fermo e repentino proposito si partì dalla Reggia, andando raminga per monti e piani sino a ridursi verso la Quisquina, ove scelse come rifugio una fredda e buia spelonca, a tutti sino allora sconosciuta.
Ivi la vergine anacoreta iniziò il suo romitaggio, vivendo nella beata solitudine per parecchi anni, sino a quando, forse perchè seguita nelle sue peregrinazioni dai terrazzani del luogo, che già l’avevano in odore di santità, non decise di trasferirsi sul Monte Pellegrino, in quella grotta ove, dopo non molto, sfinita dal digiuno e dai patimenti, passò alla gloria di Dio, dopo avere ricevuto la Santa Eucaristia dal Sac. Cirillo, che avvisato dall’Angelo erasi, a posta, recato sulla montagna. Ed egli raccolse l’ultimo anelito, compose la piccola Santa nel duro giaciglio, ove erasi da sè adagiata, a dormire l’ultimo sonno, con la mano sotto la guancia, nel sereno atteggiamento della pace eterna.
Ciò avveniva il 4 di Settembre, dicesi, dell’anno 1160.


Oreste Lo Valvo: L'ultimo ottocento palermitano. Storie e ricordi di vita vissuta. 
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato con le Industrie Riunite Siciliane nel 1937. Collana L'Isola a Tre Punte.
Pagine 258 - Prezzo di copertina € 22,00
Copertina: Esedra in villa Giulia di Umberto Coda. 
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dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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giovedì 11 luglio 2024

Alexandre Dumas: Finalmente al corpo della Santa fu sostituita una bella statua di marmo... Tratto da: Pasquale Bruno. Romanzo storico siciliano.

È anche questa una delle caratteristiche di Palermo, città tutta di amore, quella di essersi messa sotto la protezione di una santa giovine e bella. E quindi santa Rosalia è a Palermo ciò che san Gennaro è a Napoli, la onnipotente dispensatrice de’ benefici del cielo; ma più di san Gennaro ella è di razza francese e reale e discende in retta linea da Carlo Magno, siccome dimostra un albero genealogico, dipinto sopra la porta esterna della cappella, albero il cui tronco esce dal petto del vincitore di Vitikind, e che, dopo di essersi diviso in più rami, si riunisce in cima per dare nascimento a Sinibaldo, padre di santa Rosalia. Ma tutta la nobiltà della sua prosapia, tutta la ricchezza della sua casa, tutta la beltà della sua persona, non cangiarono in nulla le risoluzioni della giovane principessa; lasciò ella, a diciotto anni, la corte di Ruggiero, e, trasportata alla vita contemplativa, sparve ad un tratto, né si seppe più ciò che ne fosse, se non che dopo la sua morte fu rinvenuta bella e fresca, come se ancora vivesse, nella grotta da lei abitata, e nell’attitudine stessa in che erasi addormentata del sonno casto ed innocente degli eletti.
Finalmente al corpo della santa fu sostituita una bella statua di marmo, coronata di rose, e coricata nell’attitudine stessa in cui la santa erasi addormentata, ed al luogo medesimo dove fu rinvenuta. Il capo d’opera dell’artista fu ancora arricchito da un dono reale; poiché Carlo III di Borbone vi aggiunse un abito di tessuto d’oro, stimato del valore di cinquemila scudi, una collana di diamanti e di pietre magnifiche, e, volendo accoppiare gli onori cavallereschi alle ricchezze mondane, ottenne per essa la gran croce di Malta, che pende da una catena d’oro, e la decorazione di Maria Teresa, ch’è una stella circondata di alloro, con questa leggenda: Fortitudini.

 
Alexandre Dumas: Pasquale Bruno. Romanzo storico siciliano (pubblicato per la prima volta a Palermo dallo Stabilimento Poligrafico Empedocle nel 1841) preceduto dal saggio storico "Storie di Banditi" di Luigi Natoli (pubblicato in tre puntate sul Giornale di Sicilia dal 14 gennaio 1930)
Pagine 129 - Prezzo di copertina € 13,50
Copertina di Niccolò Pizzorno
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Benedetto Naselli: Dal tepor di quelle ossa le benedizioni sgorgarono, ed il sorriso. Tratto da: I misteri di Palermo. Romanzo storico

 
Quando una pestifera lue nel giugno 1623, violenta, subitanea contaminava la bella Palermo, che apparve quasi incredibile come vi si andasse rapidamente moltiplicando, e tanto mutamento facea, onde gli umani aiuti prodigati con sol­lecitudine e magnanimità, mancaron d’effetto. Ma un’angioletta della prosapia dei Marsi e per essi di Carlo Magno, congiunta per consan­guineità a Costanza figlia di Ruggiero, nel pa­rentado affine all’imperatrice Costanza ed al pri­mo Guglielmo; Rosalia riportava all’eterno colle sue lacrime i pianti di quaggiù, tenera colomba che sospirando il suo compagno fuggìa dal fre­mito d’ogni umano consorzio ricercandolo nella solitudine. Essa dietro una vita di stenti volò agli amplessi beati, all’ebbrezza interminabile lasciando la fredda salma su di un’erta inacessa. Ecco l’erta sacra, ecco la statua di sua onoranza. Il suo piano ci valse nei dì del dolore il perdono dell’eterno; si terser le lacrime, la chiesa fu in ricca veste, la salma di lei rinvenuta sul ciglione rimoto, fu iride di speranze e consolazioni avvenire. 
Oh! le lacrime tergete o dolenti nella sventura! fu sgombra la nube malaugurata! Come il sole che lanciandosi dal balzo Eoo riflette sulle onde smeraldine i suoi raggi dorati, ed il creato risveglia, vivificando del suo lume l’addormita natura, non altrimenti si operò, tostochè per volere del cielo furono rinvenute le sospirate ossa benedette. 
Pei borghi, per le campagne, pei trivi, e per le strettissime vie della città di Palermo, si conducevano quelle reliquie preziose; e qual nelle uste lande di Egitto spargeva tra il popolo immenso, immense le grazie l’arca del patto, così dal tepor santo di quelle ossa era scacciata la peste ingagliardita, dal tepor di quelle ossa si ebbe la salvezza fra tutti, dal tepor di quelle ossa le benedizioni sgorgarono, ed il sorriso.  
Nell’orridezza dei ciglion di Quisquina, nel­l’alpestre montagna dell’Ercta che secoli scorsi risuonava per mille trambusti d’armi e d’armati, di sterminate falangi puniche; ove l’intera for­midabil oste di Amilcare inalberò il punico leone per avverso le aquile latine; ove non sorgea lappola o cardone, i figli di Panormo l’obbietto trovavano e trovano mai sempre di loro delizie. Quei greppi sol dal serpe lambiti, quei gio­ghi visti nel fuggevol tocco dello sparviere, fu­ron calcati da gente devota nelle lacrime di tenerezza. 
E non delle grame femine e paurosi vegliardi fu sola la credenza, la venerazione ed il culto, ma di cuori i più rotti alle sfrenatezze, delle menti trascendentali che riverenti prostraronsi ad omaggio della vergine, e che la gente minuta non solo, ma ben anco duchi e baroni disarmato il fianco e col cereo votivo, procedeva­no a ringhiere innanzi la sacra urna che contenea le reliquie della benedetta. 
A meglio perpetuarne la gioia quindi, della ricevuta beneficenza si vollero dai palermitani istituite annue solennità; si volle, e ogni anno alla cara memoria del fatto e ad eternare gli encomi, il giubilo e laudazioni, cinque dì si consacrano alla Verginella romita come in tenero tributo di amore. 
Fin da quell’anno poi, cioè dal 1626, come che avesser cambiato i costumi e le tendenze, a seconda delle diverse fisonomie del secolo pure fermo e duraturo è rimasto, e rimarrà pei tempi avvenire l’istesso culto e gli stessi trion­fi; poiché ogni secolo ha la propria fisonomia, ogni tempo ha le sue mode, i suoi costumi, le sue scene di vita; ogni epoca è sempre avida di novità buone o cattive poco monta, purché s’innovi, non si cura del vantaggio o del detri­mento; nelle società vi è sempre vaghezza di riforme, di mode, di tramutamenti negli abili, negli adorni, nei passatempi; ma le religioni che vi regnano sono indelebili, il culto che si pro­fessa è sempre intaminato, in ciò sol non s’in­nova, si è ligi ben anco nei pregiudizi, si è uni­formi anche nel modo. 
Era la gran macchina del trionfo un magni­fico carro, che già dì faceasi altissimo tanto da sprofondare il terreno, far guasti e rovine; ma di anno in anno si è venuto diminuendone la mole, accrescendone però la gaiezza dei drappi che l’adornano, meliorandone il disegno, l’idea e la maniera. Esso carro giunto a porta Nuova pose termine per quel dì alla sua missione. La folla dietro a lui dileguavasi equilibrandosi per la città insino a sera, che alle ore 24 comin­ciava a illuminarsi la via Toledo ed il Foro Bor­bonico, ove sorgea la gran macchina dei fuochi artificiali, che rappresentava un tempio sullo stile composto, negl’intramezzi del quale erano dipinti temi esclusivamente propri di glorie patriottiche, pel santo scopo, onde il popolo per vie indirette conosca la sua prisca grandezza, e perché una volta privo di avere attinto al sacro fonte della storia patria, o a delle luminose tradizioni, possa conoscere qual furono gli avi suoi, per mezzo dei simulacri e dei dipinti. 
Un popolo immenso affollato stretto sino a perderne il respiro, gremiva tutto il Foro Borbo­nico; un’onda di popolo sbucava incalzando dalle porte cittadine, e parea che la piena rovinosa volesse soverchiare il terreno; ma più che si avanzava, più correva al suo equilibrio, come l’onda marina incalzata dall’onda, si sconvolge per poco e si appiana. Da ogni altura, da ogni terrazzo era un brulicar di teste, che miste tra il buio della notte, parean fantasmi vagolanti nell’aere. Le due ore della notte si udivano battere più d’una volta successivamente dagli spessi oriuoli della città, ed era il punto che Sua Maestà Ferdinando I, di augusta ricordanza, giun­geva col treno al terrazzino di contro alla gran macchina dei fuochi. Ciò era in quei dì beati quando la Corte allietava Palermo colla sua pre­senza. Colà era tutt’altra scena e tutt’altra ga­iezza. Una tenda vaga di bei colori, rischiarata da mille profumate facelle, ove un coro di scelte dame, cavalieri e baroni, ricambiavano i loro complimenti: ah! quella era tutt’altra scena! I brillanti dei loro monili che gareggiavano col foco delle torce, i colori svariati dei loro veli, dei loro ricami e dei loro guardinfante, sem­bravan quelle dell’arcobaleno; tutto era brio e magnificenza, tutto era vago e leggiero come i loro pensieri, tutto era caro come la loro leg­giadrìa, tutto cortese, tutto alla moda, perché la moda predominava nei loro vestiti, nelle loro maniere, nei bei motti, nelle loro arrendevo­lezze. Un folgore che si lanciò per l’aere, poi uno ed un altro, annunziavano lo sparo. E allora bombe che si estollevano in alto co­me palle di fuoco, e ricadevano scoppiando a forme di pioggia d’oro e d’argento...
(Nella foto: Carro trionfale 1625)


Benedetto Naselli: I misteri di Palermo. Romanzo storico. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale, pubblicato unicamente nel 1852. 
Prezzo di copertina € 21,00 - Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60).