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mercoledì 8 aprile 2020

Vincenzo Linares: La casa maledetta. Tratto da: Maria e Giorgio o Il Cholera in Palermo

- Vedi – rabbiosamente gli diceva una delle vecchie, battendogli la testa con la conocchia – vedi a che hai ridotto quella creatura innocente? – e indicò nell’angolo della stanzuccia un giaciglio donde uscivano de’ sospiri e de’ lamenti, e attorno al quale si affaticava una donna, la giovane appunto che sappiamo, recitando rosarii, e bagnando la bocca del moribondo bambino.
- Dì – continuava la vecchia – che intendevi di fare con quella carta? Dì, figlio del demonio, da chi avesti il veleno?
- Io! veleno! che so io di veleno!
Allora i sospiri e i lamenti raddoppiarono presso il giaciglio, forse perché il bambino lottava con la morte, e la giovane affannata dal dolore, e perduta quasi di speranza si stracciò i capelli.
- Figlio, figlio! – gridando con voce che spezzava il cuore. Le sue strida furono interrotte da non so che rumore.
Era una sera di luglio, un vento caldo e diabolico facea saltar per aria le tegole della casuccia, e piegare sino a terra le alte cime degli ulivi che la circondavano. Si vedevano pei campi grandi fiamme, da cui usciva un fumo denso di zolfo e di pece, e a quando a quando sentivasi lo scricchiolare delle ruote di qualche funebre carro. Invece del russo dello stanco mietitore, e del canto monotono del villanzone rompeva il silenzio della notte lo squillo della campana, che ricordava l’ora di migliaia di uomini.
Le donne furono scosse altra volta dal rumore, origliarono alcun poco, e loro parve udire vicino un calpestìo di persone, e un lontano scalpitar di cavalli. Certo sembrerà strano a chi rifletta lo stato spaventevole che dipingo, trovarsi gente all’aria aperta con quel vento che soffiava.
È da sapersi però che non tutti la pensavano ad un modo. Come vi ho detto una voce circolava nella città, che metteva in forse l’esistenza del morbo, e che poi fu cagione di accreditare nella mente del volgo i più neri sospetti di veleno. Nelle campagne e nei villaggi questa voce correva più aperta: nel volto de’ foresi si leggeva il dispetto, lo sdegno, la minaccia: si adunavano nelle piazze, convenivano nei cimiterj, sparlavano, tumultuavano. Quella sera appunto più gruppi di persone si aggiravano in quei dintorni, e una banda di soldati a cavallo dava loro la caccia.
Subitamente si aprì l’uscio ch’era socchiuso, e comparve un uomo, nel cui abito e nell’aspetto spiccava non so che di bizzarro e di sorprendente. Avea le brache corte di color bruno, strette al di sopra del ginocchio, una pelle nera che gli copriva la gamba e metà del piede, un cinturino a’ fianchi, a cui stava appeso un coltellaccio; in capo un berretto, che gli cascava sulle larghe spalle co’ lunghi e rossi capelli. Il suo viso aveva una tinta bruna, folto di peli, fiero ma bello. Pareva trafelato e sudante dal correre, grondava sangue dal braccio, e da una scalfitura nella fronte. Si piantò innanzi l’uscio come uno spettro, volgendo attorno uno sguardo, in cui scorgevasi l’uomo della sventura: s’arrestò come chi fosse colpito da una rimembranza, e portò una mano alle ciglia per nascondere la vista di quel luogo. Scorsi un quattro minuti l’uomo si fece avanti, pose a un angolo della stanza l’archibugio, e accostò il braccio manco alla lucerna.
- Oh! è nulla! – egli disse tastando una piccola ferita che aveva sul braccio. – Non è questa la casa di Francesco?
Le donne rimaste estatiche non risposero, prendendo un’attitudine disegnata dallo spavento, Giorgio atterrito si strinse ad esse. Un forte sbuffo di vento spense la lucerna, s’udì vicino lo scalpitar de’ cavalli.
- Maledetta casa! – sclamò con voce cupa l’uomo nel riprendere l’archibugio, e uscì dalla porta ripetendo – maledetta casa!
Non appena fu egli uscito, s’udì un gran fischio, più spesso il calpestio delle persone, uno stormire di fronde. I soldati a cavallo fecero un giro attorno della capanna. 

Vincenzo Linares: Maria e Giorgio o Il Cholera in Palermo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1837 devastata dal Cholera. Nella versione originale pubblicata dalla tipografia Francesco Lao nel 1838.
Pagine 163 - Prezzo di copertina € 16,00
Copertina di Niccolò Pizzorno

Vincenzo Linares: Il timor panico. Maria e Giorgio o Il Cholera in Palermo.

Il popolo, come vi ho detto, da che si sparse la nuova fatale fece orecchie da mercante, rimase incredulo alle buone ragioni, ai buoni consigli; emise anzi la sua sentenza: non esservi cholera. Ad accreditar la quale assai valse l’incertezza de’ medici, lo sfrenato gridare di alcuni anche fra loro, che gli era un mezzo di far danaro. Il sospetto corso di bocca in bocca, agitato e discusso in varii crocchi divenne una certezza: nè giovò a distruggerlo il fatto stesso, i cadaveri che passavano per le strade, lo sperpero generale, la morte d’illustri vittime. Fermo nel suo proposito spregiava la presenza del morbo, mangiava, beveva, rideva gridando:
- Vedete come si cura il cholera!
Io potrei contarvi più d’un fatto funesto, che seguì questa insana aberrazione di mente, ma allora dicevasi “È morto del vino, dello stravizzo.” Bel modo in vero di ragionare, che persuadendo gli eccessi trovava negli eccessi la causa del funesto avvenimento. La quale incredulità accrescendo la crapula non poco forse contribuì all’aumento del morbo. E questo era il minor male, perché in sostanza non si possono obbligare gli altri a pensare come volete; e se male faceano, lo faceano per sè stessi: il peggio fu che non si contennero allo stravizzo, ma scoppiarono in odio ed in sarcasmi contro i medici.
- Vedete questi dottori; ora vi danno un rimedio, ora un altro; ora c’è cholera, ora non c’è cholera; oggi è epidemico, domani è contagioso. Eh! gatta ci cova! Vogliono malattie, vogliono ospedali, chi sa che cosa essi vogliono!
Il morbo intanto, sebbene lentamente, cresceva e con lui altri mali non meno funesti. Tutto ad un tratto cessò il lavoro, cessò il commercio, l’annona rincarì, il monopolio fu nelle piazze: il popolo si vide privo di mezzi e di soccorsi. Quinci doglianze, quinci sinistri augurî e voci di spavento. Il popolo pria dominato da un cieco scetticismo, poi atterrito dalla miseria si diede in braccio a terrori di fantasia, al che contribuirono non poco le circostanze! Un teschio fu trovato nel cancello del Duomo, varii cartelli minaccevoli per le mura; qualcuno insolentiva per forza togliendo il pane ai venditori, di che la fama pel momento magnificava la violenza ed il numero: le quali cose operate da pochi, che volean pescare nel torbido, lungi d’incitare atterrivano. Nulla veramente di reo si macchinava, come il fatto istesso ha dimostrato, nulla era di positivo tranne il timore del disordine.
I magistrati della città, i sanitarî e la pubblica forza operavano dal canto loro con quella prudenza che i tempi volevano. Si chiudevano le case degli appestati, si portavano a lazzeretto le persone sospette, si promuoveva per quanto era possibile la salubrità e l’abbondanza delle vettovaglie: l’annona rincarita fu in sulle prime moderata, finchè diffuso poi il morbo, ruppe ogni freno l’ingordigia dei venditori: si profumavano le piazze e i luoghi immondi; si pubblicavano avvisi prescriventi un metodo più esatto di vita e misure di cautela. Fu raddoppiata la vigilanza, raddoppiata la pubblica forza, richiamata dalle provincie buona mano di soldati d’arme, gente di mal affare arrestata; punito solennemente quel solo che avea dato il mal esempio di rubare il pane nella piazza, con pronta pena se non approvata dal buon senso, certo dalle circostanze che erano difficili: le feste che chiamano folla di popolo proibite pel doppio oggetto della pubblica salute e della tranquillità pubblica: furon cacciati via i legni venuti da Napoli, ancorati al nostro porto. Le quali saggie e prudenti misure impedirono disoneste voglie e disordini; ma non bastarono a togliere l’agitazione degli animi che cresceva collo scorrer de’ giorni.
Ecco gli eccessi del popolo; poco avanti non badava ad un male presente, ora tremava di un pericolo futuro. Col cadere del giorno ventitrè parvero avverarsi i sinistri augurj. Come, quando e da chi, s’ignora; certo sorse una gran voce di scoppiato tumulto, sorse a un punto dall’uno all’altro lato della città. Quanti erano per le strade correvano a tutta furia, gridavano a piena gola, fuggivano come se la città fosse posta a ferro ed a fuoco. Invano gridavasi “è nulla è nulla” invano la pubblica forza sboccando da tutti i lati fermava i fuggenti, cercava di rianimare gli animi atterriti: fu generale il trambusto.
La pressa maggiore era, appunto, nel luogo ove si trovavano i nostri personaggi: ei si videro urtati e assordati da una moltitudine di persone, che scompigliata si aggirava per la chiesa. Ognuno faceasi avanti per gittarsi alla porta; qua peggio: gente di fuori, gente di dentro, quella irrompeva, questa lanciavasi, e nell’urto accresceva il terrore e lo scompiglio. 


Vincenzo Linares: Maria e Giorgio o Il Cholera in Palermo. 
Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1837 devastata dal Cholera. Nella versione originale pubblicata nel 1838 dalla Tipografia Francesco Lao. 
Pagine 163 - Prezzo di copertina € 16,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
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