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venerdì 13 marzo 2020

Liliana Segre: La marcia della morte. Tratto da: La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte e trascritte dalle sue testimonianze.

I prigionieri «ancora in piedi» e in vita, uomini e donne, circa 56.000 persone, di colpo, intorno al 20 di gennaio del 1945, senza aver capito che cosa stesse succedendo, furono obbligate tutte a uscire, messe in fila. E cominciò senza nessun preavviso, senza nessuna preparazione, senza nessuna provvista, senza nulla di nulla quella che giustamente si è chiamata la «Marcia della Morte.»
Settecento chilometri a piedi.
Voi pensate queste schiere di 56.000 scheletri.
Di gente che aveva perso già tutto.
Che era prigioniera da un anno come ero io o da più tempo, o qualcuno da poco.
Avviata per chilometri, per mesi, sulle strade prima polacche, poi tedesche, per sfuggire all’Armata Rossa. E i tedeschi non volevano far trovare noi.
Il 27 di gennaio del 1945, giorno della Memoria, io ero una di quelle disgraziate che camminava e che non poteva cadere per terra.
Non potevi appoggiarti a nessuno, e nessuno poteva appoggiarsi a te.
Non si poteva cadere: chi cadeva, in quei sentieri pieni di neve, veniva finito con una fucilata alla testa dalle guardie della scorta che venivano cambiate perché si dovevano riposare.
Nessuno poteva rimanere lì, sulla neve, vivo.
Tornata in Italia, alla fine di agosto del 45, dopo qualche tempo ho cominciato a guardare la carta geografica, perché la mia ignoranza era totale, e non avevo neanche ben capito da Auschwitz   dove ci avessero portato. E quando ho visto che da lì a piedi, in varie marce, siamo arrivati (quelli che sono arrivati vivi) fino al nord della Germania, che avevamo fatto settecento chilometri, beh... una volta di più ho pensato:
«Ma come ha fatto quella Liliana lì, di quattordici anni, compiuti ad Auschwitz da sola?»
Una gamba davanti all’altra.
Una gamba davanti all’altra, una gamba davanti all’altra, una gamba davanti all’altra...
Cammina, cammina, cammina...
Voglio vivere, voglio vivere, voglio vivere...

Ci gettavamo sui letamai, negli immondezzai, mangiavamo qualunque schifezza che avessimo trovato, gli scarti dei civili tedeschi che ci rubavamo una con l’altra, ossa rosicchiate già da un cane, sicure che il giorno dopo avremmo avuto vomito, diarrea... scheletri orribili con le bocche sporche... ma intanto lo stomaco si riempiva e il cervello comandava.
Cammina, cammina, cammina, cammina...
E allora la Marcia della Morte si trasforma in marcia per la Vita.
Voi giovani dovete sempre pensare che la vostra marcia deve esser sempre una marcia per la vita! Mai buttarla via questa vita! La vita è una cosa importantissima, è una cosa meravigliosa, è una cosa straordinaria perché anche attraverso il dolore, attraverso le esperienze più negative, ti può arrivare alla fine un bambino che ti dice: «Ma tu nonna sei il mio arcobaleno.»

La civile indifferenza. Le parole di Liliana Segre fedelmente raccolte e trascritte dalle sue testimonianze. A cura di Anna Squatrito. In appendice i testi delle leggi razziali dal 5 settembre 1938 e le foto dei giornali dell'epoca. 
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